Data di pubblicazione: 02/11/2016
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Servizi sociosanitari. Due anni dall’accordo Regione-Enti gestori. Un bilancio


In "Appunti sulle politiche sociali", n. 4/2016 (218). Intervista a Fabio Ragaini, Gruppo Solidarietà e coordinatore Campagna Trasparenza e diritti

Quale la situazione dei servizi sociosanitari diurni e residenziali a due anni dall’Accordo, che ha definito standard e tariffe, tra Regione ed enti gestori? Come sono cambiati? Abbiamo chiesto a Fabio Ragaini di aiutarci a capire meglio. L’occasione ha permesso anche una riflessione più generale sullo stato delle politiche e dei suoi attori (intervista a cura della redazione). Ulteriori approfondimenti nella sezione  Osservatorio Marche

Tra pochi giorni saranno due anni dalla approvazione della delibera regionale  (1331/2014), nota come “Accordo sulle tariffe” tra Regione ed enti gestori, successiva alle delibere dell’anno precedente (dgr 1011 e 1195 del 2013) di ridefinizione del sistema dei servizi sociosanitari diurni e residenziali. Possiamo iniziare da qui. Puoi proporci una sintesi dei contenuti ed un rapido bilancio?

Prima di  alcune sintetiche considerazioni, rimandando per un’analisi più dettagliata ad altri approfondimenti che abbiamo prodotto[1], è opportuno ricordare di cosa stiamo parlando. La dgr 1331/2014, porta a compimento il percorso iniziato l’anno precedente con le dgr 1011 e 1195. La prima definisce il cosiddetto modello assistenziale[2], in sostanza la filosofia degli interventi, stabilendo o modificando standard del personale, intervenendo sui modelli organizzativi, in particolare i dimensionamenti delle “strutture” e proponendo una nuova classificazione dei servizi a partire dalla “intensità assistenziale”; la seconda applica, per l’area sociosanitaria la normativa sui LEA (DPCM  29.11.2001), stabilendo le quote a carico del fondo sanitario e quelle sociali (utente/Comune) sulle tipologie di servizi riclassificati dalla dgr 1011. Non determina però le tariffe, che vengono fissate, appunto, dalla dgr 1331/2014, che contemporaneamente, modifica anche alcuni standard assistenziali e tariffari stabiliti nelle altre due delibere.

Si tratta di provvedimenti che riguardano servizi fruiti da circa 15.000 persone.  Veniamo, ora ad alcune brevi considerazioni che partono da una valutazione fortemente critica dell’approccio assunto dal  modello assistenziale. Un modello centrato sulla struttura più che sulla persona, con l’idea di strutture modulari rivolte indistintamente a “diverse tipologie di utenti” (salute mentale, anziani non autosufficienti, demenze, disabilità). I modelli comunitari, caratterizzante parte dell’offerta residenziale dell’area disabilità e salute mentale, vengono, di fatto, cancellati. Si tratta di un sostanziale copia incolla, con l’aggravante di una scarsissima conoscenza dei servizi presenti,  del documento della Commissione LEA sulle “strutture semiresidenziali e residenziali”. L’approccio è stato meramente adempimentale (funzionale al monitoraggio LEA)  non ci si è minimamente preoccupati di fare previamente una valutazione di impatto sui servizi già presenti. L’unico effetto di cui si è tenuto conto partendo dal quale poi sono stati definiti gli standard è stato quello economico. Dopo aver fatto i conti si sono determinati gli standard. Ma non per tutti i servizi e per tutti i gestori è andata così.

Approfondiamo questo aspetto a partire dal fatto che comunque la delibera è frutto di un accordo con gli enti gestori (tra questi anche Comuni e cooperative) e che tiene conto delle proteste di molti, successive alle delibere del 2013, a partire dalla Campagna “Trasparenza e diritti”, nella quale tu hai giocato un ruolo di primo piano.    

Per prima cosa merita di essere ricordato quello che è accaduto[3]. Mentre era  aperto un Tavolo di confronto – istituito, con delibera, dopo le nostre proteste e avviato dopo la manifestazione del novembre 2013 -  volto a modificare le delibere del 2013, tra Regione e rappresentanti di associazioni, enti gestori, ordini professionali, contemporaneamente la Regione stringeva con i soli gestori (tutti presenti anche al Tavolo di confronto)  un accordo che confermava, nei fatti, che il vero Tavolo era quello “segreto” e non quello formale, funzionale unicamente a dimostrare che la Regione si confrontava con tutti i “portatori di interessi”.  Ad  ogni modo, nel luglio 2014, venivano presentate al Tavolo istituzionale alcune ipotesi regionali estremamente penalizzanti per alcuni servizi (e per alcuni gestori) e almeno favorevoli per altri. 

Scrivemmo in proposito, Chi vince e chi perde nelle ipotesi tariffarie della regione Marche[4] Perché Comuni e cooperative abbiano firmato, continua a rimanere inspiegabile stando ai contenuti dell’Accordo. Tutti gli altri firmatari hanno avuto, più o meno, buone  ragioni per farlo. I gestori di strutture di riabilitazione ex art. 26  che rappresentano la quasi totalità del sistema di offerta extraospedaliero (la sola residenzialità con le diverse tipologie di offerta, stimabile in circa 700/800 posti, assorbe - anno 2015 -, circa 44 milioni di euro), non vengono intaccati dall’accordo. Mantengono le tariffe, non certo poco remunerative, precedentemente pattuite. I gestori privati, alcuni coincidenti con i Centri di riabilitazione, di RSA anziani mantengono sostanzialmente le tariffe che già avevano in corso garantendosi la quota fissa di compartecipazione di 42,50 euro (precedentemente, con una variabilità del 25%, a partire da 33€). Ai gestori di residenze protette anziani,  che escono più penalizzati con una tariffa sicuramente sottostimata rispetto agli standard, viene lasciata aperta la valvola d’ossigeno delle prestazioni aggiuntive a carico dell’utente. Da li possono recuperare quello che perdono in termini di tariffa e quota sanitaria.

Riguardo Comuni e cooperative. E’ necessaria una premessa. Ovvero che la Regione per determinare tariffe e compartecipazione non ha bisogno dell’assenso degli enti gestori. Dunque chi lo dà, firmando un accordo, ritiene che sia vantaggioso per la sua parte. Che i Comuni (tutti) possano dimostrare che così per loro è stato o meglio che lo è stato per i loro servizi,  ho qualche difficoltà a immaginarlo. Basti prendere a riferimento la situazione dei Centri diurni disabili e anziani (riguardo standard, tariffa e quota sanitaria). Accettare che il 35% degli utenti dei Centri diurni per disabili gravi abbia una quota sanitaria pari a 15,10 euro al giorno significa affermare e accettare che all’interno ci sono disabili che non devono frequentare un diurno per gravi. Quanto al modello assistenziale, se ne sono disinteressati, accettando la fine dei modelli comunitari. Riguardo la cooperazione la mia impressione è duplice: a) hanno considerato una conquista sedersi, per la prima volta, al tavolo con gli altri e mettere anche la loro firma; b) quei contenuti erano accettabili per la fetta di cooperative con più risorse economiche, che dunque più contano e  che gestiscono alcuni tipi di servizi (in particolare residenzialità anziani). E dunque la firma garantiva queste. In questo contesto, le persone, i servizi e la loro qualità sono passate decisamente in secondo piano.

Quanto agli effetti delle proteste, rimango convinto che la critica al modello assistenziale non abbia modificato in alcun modo l’approccio regionale. Per questo ho più volte ripetuto che il movimento che si è opposto a quella impostazione, esce sconfitto.  Tutta la vicenda è stata, peraltro, governata dai dirigenti regionali all’interno di un gigantesco vuoto politico. Assessori (alla Salute e Servizi sociali) del tutto assenti, che non hanno nemmeno tentato di capire le ragioni di chi si opponeva a quell’approccio. Se non è andata immediatamente avanti la previsione minima di residenze con capacità recettiva da 20 (con accorpamenti) è stato solo per ragione tattiche e per la difficoltà di cambiare in breve tempo l’organizzazione dei servizi. Peraltro, gli stessi dirigenti, si sono accorti, con un po’ di ritardo, che con una delibera di giunta non potevano modificare la gran parte degli atti, oggetto di competenza del Consiglio. Quando se ne sono accorti hanno modificato i requisiti con la legge di assestamento di Bilancio 2014. Modifiche proposte e approvate dalla Commissione Bilancio, prima dell’approdo in Aula.  

D’altra parte la gran parte dei soggetti gestori delle piccole comunità nella quasi totalità non profit,  non mi sembra abbiano opposto resistenza; difficile, peraltro, dopo che le cooperative, principali gestori di queste comunità, hanno firmato l’accordo con la Regione. Evidentemente la prospettiva di trasformare le piccole comunità in nuclei, all’interno di palazzi con più piani e più moduli, non dispiace.  Non solo dunque non c’è stata contaminazione del modello comunitario, ma è accaduto esattamente l’opposto. Modelli comunitari che sono stati peraltro fortemente voluti dalla stessa Regione (assessorato ai servizi sociali)  nei primi anni 2000 promuovendone la realizzazione in  tutto il territorio regionale. Nessuno si è accorto di una difesa di quel modello da parte dell’assessorato che lo aveva  promosso. Ora ci si è innamorati della “polifunzionalità” delle “aree di degenza”, del nucleo su nucleo che gestori profit e non profit hanno, peraltro, inaugurato da tempo nella nostra Regione.  

Hai toccato più questioni. Riguardano la compatibilità economica, la differente “forza” dei soggetti gestori  ed il modello di servizi.  Un quadro nel quale sembrerebbe essere stata flebile la voce dei fruitori dei servizi.

Brevemente sui diversi aspetti. Riparto dai Centri diurni (CD) disabili perché ben fotografano i diversi aspetti sopra richiamati (qualità, diritto, equità, rapporti di forza). Nel confermare che riguardo agli ex CSER, la Regione abbia prima fatto i conti rispetto all’entità della spesa sanitaria, poi ha stabilito le tariffe ed infine lo standard[5], vorrei mettere in relazione la situazione delle due tipologie di Centri diurni  presenti: quello ex legge 20/2002 (CSER) e quello ex legge 20/2000 (CD), sostanzialmente gestito dai Centri di riabilitazione (ex art. 26/833). Così si capisce dove stanno i forti, dove i deboli e direi, gli indifferenti (ovvero coloro che hanno lasciato che nulla cambiasse). Gli ex CSER sono circa 70 per circa 1050 posti. Devono essere aperti almeno 7 ore al giorno, e sono da sempre stati fissati gli standard di personale. Abbiamo già detto delle quote sanitarie assunte. Per questi Centri, la sanità spende circa 8 milioni di euro all’anno. Per i circa 300 posti ex legge 20/2000 (a totale onere sanitario), rispetto ai quali nessuno standard è stato mai fissato, le tariffe vanno da 91 a 137 euro/giorno per una spesa annua sostanzialmente analoga. C’è “differenza” tra gli utenti dei due Centri? A parte alcune specificità (vedi ad esempio il CD della Lega Filo d’oro), nessuna. Allora perché questa abissale differenza? Per le ragioni che abbiamo sopra elencato. Ecco allora che a fronte di un quadro di questo tipo, ogni motivazione economica sostenuta dalla Regione è inaccettabile. Sottostimare la tariffa e declassare gli utenti a “non gravi” per ridurre gli oneri sanitari,  quando contemporaneamente 300 posti vengono remunerati  quanto 1050, rende improponibile qualsiasi motivazione che fa riferimento all’assenza di risorse.

Rimane l’ultima questione posta, quella della rappresentanza degli utenti dei servizi. Si, la loro voce è stata flebile. Trasparenza e diritti ha cercato di rappresentare trasversalmente queste istanze attraverso: a) la messa in discussione del modello (che non si prende cura delle persone); b) ritenendo l’applicazione della  normativa LEA non corretta; c) rifiutando la modalità di costruzione delle tariffe, non conseguenti alla definizione corretta dello standard.

Perché c’è stata poca resistenza  da parte di chi dovrebbe rappresentare gli utenti? Credo ci siano più motivi.  Molte associazioni di rappresentanza sono anche enti gestori di servizi e dunque risulta complicato negoziare con la stessa Istituzione per i propri servizi e contemporaneamente  rappresentare le istanze degli utenti, quando questo determina conflittualità. Ciò vale sia per la salute mentale che per la disabilità. Altre fanno fatica ad avere le competenze per fronteggiare problematiche di questo tipo. Quanto al volontariato, non c’è nelle Marche un suo organismo di rappresentanza. Il Forum del terzo settore, che ha al suo interno anche la componente del volontariato, fin qui, purtroppo, ha rappresentato le istanze degli enti gestori. E d’altronde il suo portavoce è stato il rappresentante delle cooperative nell’Accordo tra Regione ed enti gestori.  In questo quadro, forse è stato già miracoloso quello che si è evitato.

Riprendiamo la questione dei modelli cercando di allargare il discorso anche ad altri aspetti del sistema dei servizi. Il tema della programmazione e del sostegno alla domiciliarità.

Sui modelli abbiamo in parte già detto, quando abbiamo descritto l’impostazione regionale dei servizi sociosanitari diurni e residenziali contenuta nelle delibere sociosanitarie. Ma occorre dire che la programmazione regionale esprime anche quello che i territori sanno porre e proporre. Tenuto conto che si è anche di fronte ad un forte accentramento regionale, disposto a confrontarsi solo quando entrano in gioco i rapporti di forza. O meglio, per la parte sanitaria, tutto si decide all’interno del confronto/negoziazione/accordo/scontro tra Regione e Azienda sanitaria unica regionale (ASUR). Le Aree Vaste ed i loro direttori non contano, sostanzialmente, nulla. Per quanto riguarda i Comuni, ed i loro organi di rappresentanza, in primis l’ANCI, la povertà della loro analisi e proposta si è ben esemplificata sia nella vicenda delle delibere sociosanitarie che in quella dell’azzeramento dei fondi sociali.

Tornando alla questione domiciliarità. E’ possibile ad esempio un riorientamento della spesa in questa direzione? E’ possibile se ci si crede e lo si vuole. A partire dall’obiettivo  del mantenimento a domicilio delle persone. Perché non dobbiamo garantire a genitori anziani con figli disabili, la possibilità che i propri figli possano continuare a vivere, anche “durante loro”, in quello stesso territorio in cui sono cresciuti, all’interno di normali contesti abitativi, in luoghi che rassomigliano alla casa nella quale sono sempre vissuti (abitazione)? Rimanendo su questo aspetto allargo la riflessione e riprendo il tema della programmazione. Nelle Marche, sulla base di dati regionali, ci sono circa 400 persone con grave disabilità, tra i 55 e 65 anni, che fruiscono di servizi domiciliari e diurni. Cosa ci dice questo dato? Che, se ancora ci sono, i loro genitori sono molto anziani, che da oggi potrebbero avere bisogno di “sostegni ulteriori”. Ma se davvero oggi ciò accadesse che risposta troverebbero? Sul versante del sostegno alla domiciliarità, forse (perché non c’è automatismo con situazione di gravità secondo legge 104/1992)  il contributo (di qualche centinaio di euro al mese) dell’assistenza indiretta al “disabile in particolare situazione di gravità”; se chiedessero l’ingresso in comunità troverebbero pochissimi posti disponibili e forse neanche vicino la loro residenza. Nel triennio 2015-2018 - Fabbisogno convenzionabile - si prevedono aumenti di qualche decina dei posti rispetto a quelli già presenti. La domanda è: possiamo permetterci di non tener conto di queste  questioni e quindi non assumerle in termini programmatori?  Assunzione che  deve tradursi in risorse. Se siamo in una situazione nella quale non c’è possibilità di risorse aggiuntive, allora occorre riorientare la spesa. Se non lo si fa, per la presenza di  budget intoccabili allora bisogna che chi governa si  assuma la responsabilità di queste non scelte.

Oggi, per diversi motivi (per i privati direi esclusivamente per motivazione economica), assistiamo ad una proliferare di riclassificazione (e di richieste in tal senso) di posti e dunque di offerta di “residenzialità estensiva” variamente denominata. Mi chiedo se siamo così sicuri ne serva così tanta, quando poi a valle (domicilio e “residenzialità di mantenimento o lungoassistenza”), troviamo poco sia in termini quantitativi che qualitativi. 

Ma la questione del sostegno alla domiciliarità, evidentemente, non riguarda solo le persone adulte con disabilità. Investe fortemente le persone anziane non autosufficienti e con demenza. Anche qui, se si vuole fare seriamente programmazione, occorre mettere in relazione bisogno e offerta. Nelle Marche, a fronte di 40.000/42.000 anziani non autosufficienti, beneficiari di indennità di accompagnamento che vivono a casa, meno del 5% riceve un assegno di cura di 200 euro mese derivante dal fondo nazionale non autosufficienze. Non si può parlare di investimento. Ovviamente il sostegno alla domiciliarità non passa solo attraverso il contributo economico ma anche attraverso i servizi. Tra questi, le cure domiciliari che invece continuano a caratterizzarsi, nelle maggior parte dei casi, per un approccio prestazionale e dunque strutturalmente residuale.

Cambierà qualcosa con la legge appena approvata sulle autorizzazione e accreditamento? E poi vuoi spiegare, seppur sinteticamente, cosa significa (dgr 1331/2014) che le Comunità socio educative riabilitative (CoSER)  e le residenze protette (RP)  si trasformeranno in RSA?

Parto dalla seconda questione per poi riagganciarmi alla prima. Le RSA disabili (circa 250 posti) hanno uno standard di 140 minuti/giorno (senza indicazioni delle figure professionali che lo compongono) ed una tariffa di 120,57 euro/giorno. La capacità recettiva non è stata mai fissata. Ma diverse di queste sono parte di strutture più ampie (moduli).   Le altre due tipologie hanno standard più alti con  tariffa che non è stata mai determinata. Le tariffe praticate oscillano (parliamo di entrambe le tipologie) da 100 a 170 euro giorno. Mediamente è ipotizzabile che le Coser - quasi 300 posti -  si attestino sui 130 euro. Le RP che hanno una storia un po’ tormentata[6], quando non sono situate all’interno di altre strutture (sono quelle a 100 euro/giorno) tariffano circa 120 euro.  La capacità recettiva  è di 10 (1 posto per emergenze) e di 20 per due nuclei autonomi (di cui 2 per emergenze).  Sono complessivamente circa 450 posti.

Cosa significa, come indica la dgr 1331/2014, che dal 1.1.2018 si trasformeranno in RSA? Vuol dire che, a legislazione invariata,  da quella data verranno tariffate 120 euro. Dunque ci sarà impatto su quelle che oggi hanno standard e costi superiori (che arrivano  fino al  40%). A normativa vigente, dunque, non c’è alcun obbligo di aumentare la capacità recettiva, ma diversi gestori si stanno organizzando per aumentare i posti (accorpamento di moduli). Mi aggancio ora all’altra domanda riguardante la nuova legge sulle autorizzazioni e accreditamenti. La legge prevede che fino a quando non verranno approvati i nuovi requisiti valgono quelli in vigore. Dunque occorrerà vedere quali saranno le scelte regionali (questa volta, a differenza della precedente legge, basterà delibera di giunta, previo parere commissione consiliare). Ritengo che la loro linea non sia cambiata. Indicazione di moduli da 20, preferibilmente accorpati con altri e tariffa bassa che disincentiva  il mantenimento di comunità da 10.  

Concludiamo questa analisi spostando ora l’attenzione alla questione dei fondi sociali. Un segnale positivo è stato dato con il finanziamento degli interventi in materia di disabilità (ex legge 18) raddoppiato rispetto allo scorso anno.

Il contributo regionale che finanzia quattro interventi della legge 18/96 (inserimenti lavorativi, assistenza domiciliare ed educativa scolastica ed extrascolastica) è passato da 5,8 a 11,8 milionieuro. Mai per questi interventi la Regione aveva destinato tanti finanziamenti. Una cifra molto significativa che dovrebbe togliere, peraltro, ogni alibi ai Comuni per qualsiasi ipotesi di taglio. A fronte di un finanziamento di questa entità, continua invece a ritardare il finanziamento per il cosiddetto fondo di solidarietà (previsto dalla dgr 1195/2013) a sostegno di utenti e Comuni per servizi, che a seguito dell’applicazione delle delibere sociosanitarie - con decorrenza gennaio 2015 -  non sono più a completo carico sanitario. Riguarda alcune centinaia di persone cui sono stati addebitati oneri pari a circa 1100-1300 euro/mese (13-15.000 euro anno). Un impegno che la Regione continua, purtroppo, a disattendere con gravi effetti sulle persone e sui loro nuclei familiari. Per quanto riguarda invece il fondo sociale si è in attesa della delibera di finanziamento degli interventi 2016. Nei giorni scorsi il presidente Ceriscioli ha comunicato che il fondo complessivo sarà di 70 milioni contro lo storico di 60 (fino al 2014 ripartito sostanzialmente in pari misura da fondi sociali nazionali e regionali). Ma sociale, per la regione Marche, è troppo spesso una parola onnicomprensiva e bisognerà dunque vedere nell’atto quanto di questi fondi sono quote sanitarie di servizi sociosanitari che non possono considerarsi spesa sociale e dunque verificare quanto, dello storico finanziamento sociale (fino al 2014) regionale, di circa 30 milioni di euro verrà compensato con altri fondi.

 

[2] il cui approccio “ha permesso di superare l’attuale visione prevalentemente ancorata alla tipologia di struttura che eroga prevalentemente un unico livello di intensità assistenziale per una singola categoria di destinatari, per approdare invece ad un sistema gestionale in cui le strutture stesse siano in grado di fornire un’assistenza distribuita su più livelli di intensità e, possibilmente, per più categorie di destinatari”. (Dal documento istruttorio della dgr 1195/2013).

[3] Il libro curato dal Gruppo Solidarietà (2015), “Dove sono i forti, dove i deboli”, documenta le vicende anteriori alle dgr del 2013 e successive alla dgr 1331/2014.

[4] In, “Dove sono i forti, dove i deboli” (2015).

[5] In questo modo si  arrivati al  65% dei posti tariffato 62 euro con quota sanitaria del 70%. Il restante 35% non è stato tariffato ed è stata prevista una quota sanitaria forfetaria di 15,10 euro. Per ogni CD sono 10, al massimo, i posti tariffati a 62 euro e con quota sanitaria al 70% (standard 110 minuti). Gli  “eccedenti”, seppur in condizione identica, valgono meno: non hanno tariffa e la sanità paga 15,10 euro (standard 70 minuti). I nuovi standard, come detto accettati dai gestori, quasi tutti Comuni, dei CSER hanno peraltro impattato pesantemente sulla situazione precedente in quanto la gran parte dei CSER aveva standard e tariffe più alte.

[6] Diverse RP, seppur hanno autorizzazione per disabili, sono a tutti gli effetti servizi che afferiscono all’area salute mentale.


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