Disabilità. Da Centro Diurno a Servizio Diurno Territoriale, spunti per un’evoluzione possibile La lettura dell'articolo-intervista di Fabio Ragaini a Mario Paolini (Appunti sulle politiche sociali, n. 4/2015) ha sollecitato l’interesse di un gruppo di operatori piemontesi che lavorano con la disabilità, perché alcune tematiche affrontate richiamano il percorso da questi condotto negli ultimi tre anni[1]. Claudio Caffarena, Studio “Il Nodo”, Franco Marengo, presidente, Il Riccio scs Abbiamo perciò immaginato di poter dar vita ad una sorta di “dialogo virtuale” attraverso le pagine della rivista utilizzando le suggestioni di Paolini per interloquire con le riflessioni che abbiamo fatto e che vogliamo presentare di seguito, anche per raccogliere il suo invito espresso nelle parole “mi piacerebbe che tutti quelli che stanno leggendo questo articolo vi scrivessero subito dicendo ‘io la penso così, noi la pensiamo così…’, senza essere spettatori del pensiero altrui”. “abbiamo un po’ perso la capacità di condividere pensieri e idee… noi la pensiamo così” Le riflessioni che seguono sono il frutto di circa tre anni di confronto, da quando, in preparazione di un Seminario della Associazione di Promozione Sociale “La Bottega del Possibile” di Torre Pellice (TO), ci si è posta la domanda e, attraverso il lavoro fra i due seminari (2013 “Centri diurni e disabilità: pensare futuro” e 2015 “Un decalogo per i servizi diurni territoriali. Indirizzi e norme a supporto del cambiamento”), si è cercato di fornire una risposta al profondo cambiamento in atto. Il gruppo ha scelto di provare ad assumere un atteggiamento positivo, non soffermandosi tanto sui malfunzionamenti e sulle criticità, ma cercando di individuare quelle caratteristiche, quegli aspetti dell’attività di questi servizi, maturati e sviluppati in anni ed anni di esperienza, che li rendono servizi di qualità, aspetti che sono stati definiti irrinunciabili, imprescindibili e che sono stati sviluppati come un “decalogo”, per evidenziare sia che si tratta di principi con i quali l’operatività e la normativa debbono interfacciarsi, sia che rappresentano uno “zoccolo duro” che gli operatori stessi considerano doveroso salvaguardare all’interno di qualsiasi ripensamento che, doverosamente, il tempo richiede per adeguare i servizi al mutare delle esigenze. Da questo lavoro è scaturito il “decalogo” il cui testo integrale è collocato in coda all’articolo. L’esperienza stessa condotta come gruppo di tecnici di rappresentanze differenti è per noi fortemente in sintonia con l’idea di non poter rimanere sulla medesima strada sempre solo con le proprie idee, e rappresentativa semmai dell’opportunità e del beneficio di “condividere pensieri e idee” per immaginare, insieme, direzioni di lavoro ulteriori. “le attività che si fanno rispondono al ‘secondo me’ di diversi soggetti” (Punti 6 e 8) E’ necessario ricondurre tutti questi “secondo me” ad un principio di unità affinché aumentino la loro dotazione di senso all’interno dei contesti. Fondamentale è il “creare sistema nell’interno e all’intorno”: riconoscere e sviluppare il lavoro di progettazione, di iniziativa, di coordinamento e di impegno sul territorio, nella costruzione di un sistema di alleanze che favorisca l’attivazione delle risorse presenti e attivabili della comunità, lo sviluppo di processi partecipativi, il processo di inclusione nel quale la persona con disabilità possa esprimersi come risorsa e divenire ella stessa uno dei soggetti che contribuisce a definire le scelte. Di qui la necessità di garantire alle équipe, che si intendono obbligatoriamente multi professionali e multi disciplinari, il riconoscimento della complessità del lavoro svolto; ma anche la garanzia di un tempo di pensiero che va ad aggiungersi al tempo impegnato con le persone, il tempo della programmazione, della progettazione educativa e/o assistenziale individualizzata, la definizione di incarichi, competenze, lo studio di diverse modalità organizzative e relazionali idonee alla presa in carico della famiglia, il lavoro di rete collaborante con gli Enti ed i Servizi competenti e coinvolti nei processi e nei percorsi educativi dell’utenza, il lavoro di coordinamento, di confronto e di ricerca/studio fra i professionisti dei Servizi coinvolti, i percorsi di formazione secondaria e di aggiornamento, il tempo della supervisione. “per avere un’identità bisogna avere una storia” (Punti 7 e 9) La storia è frutto delle esperienze e delle loro correlazioni, come quella fra progetto individuale e progetto di vita, che suscita da tempo accesi dibattiti anche fra gli addetti ai lavori, con posizioni che vanno dal “mi occupo al meglio della persona dalle 9,00 alle 16,00, ma il resto della sua vita si svolge altrove, indipendentemente da me” al “proprio perché mi occupo della persona dalle 9,00 alle 16,00, non posso non preoccuparmi anche di cosa succede nelle restanti ore”. Un dibattito che non ha trovato ancora sintesi e che ciascuno risolve nell’operatività personale e di servizio. Vi è, invece, un consenso diffuso sul dover assicurare il prendersi cura della persona disabile e della sua famiglia durante i momenti di “passaggio”. Con momenti di passaggio si intendono sia i periodi intorno al transito della persona disabile e della sua famiglia da un servizio all’altro (ad es.: dalla scuola al Centro Diurno), sia più in generale le tappe e i passaggi segnati da riti simbolici, che ciascuna persona sperimenta nel corso della sua vita (inizio e conclusione della scuola, la maggiore età, il primo lavoro, l’uscita dalla casa genitoriale etc.), vivendoli con aspettativa o timore a seconda dello stato emotivo e del contesto. I diversi passaggi sono i mattoni che costruiscono il percorso di vita di ciascuno e pertanto la sua storia. Strumento concreto che tutti i servizi utilizzano, declinandolo in varie formulazioni che possono andare dalla mera compilazione al dotarlo di valenza programmatoria, il Progetto Educativo Individualizzato (P.E.I.). Tale strumento permette di mantenere la focalizzazione dell’intervento sull’individuazione, sviluppo e mantenimento delle capacitazioni e dell’autonomia, sulla realizzazione di programmi favorenti l’inclusione sia all’interno che all’esterno dei Servizi, attraverso una presa in carico globale e condivisa dai diversi operatori e soggetti coinvolti nel Progetto stesso, in modo congruente con il Progetto di Vita, intendendo l’autonomia in senso ampio, non solo come rincorsa di una irrealistica autosufficienza ma come condizione che contempla anche la moltiplicazione di rapporti e di legami, contribuendo, così, a creare una storia personale. “sembra aumentata la distanza tra la dimensione progettuale e la quotidianità”, (…)la cultura dell’inclusione è cultura della pace, del civismo; l’agire inclusivo è un agire ecologico e si fonda sul rispetto dell’ambiente” (Punto 3) Una visione cosi civile non può prescindere in quello che deve rimanere un impegno istituzionale. Riteniamo sia fondamentale mantenere una regia pubblica come elemento di garanzia affinché tutti gli attori e soggetti coinvolti si impegnino a promuovere e perseguire la rimozione degli ostacoli che limitano la partecipazione e l’inclusione sociale della persona fragile e con ridotta autonomia, nonché come sistema che sappia ottimizzare sinergicamente un modello di sussidiarietà virtuosa con tutto ciò che il Terzo Settore è in grado di mobilitare, apportare e proporre, assicurando e investendo sulla coprogettazione e sul coinvolgimento attivo di tutte le istituzioni e degli attori locali interessati in tutte le fasi del processo di aiuto e nel loro esperire il ruolo di funzione pubblica. Si tratta di una Funzione che rappresenta l'esercizio di una cittadinanza attiva e responsabile per la piena attuazione del mandato Costituzionale, tesa alla promozione e mantenimento della centralità della persona, alla creazione di nuovo capitale sociale, al rafforzamento della coesione sociale e partecipazione democratica, nonché alla lotta all'esclusione sociale e alle diseguaglianze sociali. Mantenere in capo all’Ente Pubblico il ruolo di regia permette di salvaguardare impostazioni di servizi che assicurino accessibilità e non esclusività delle prestazioni, in questo tempo di ridefinizione del welfare, nel quale maggiormente occorre investire sul coinvolgimento diretto e partecipato del Terzo Settore nella fase progettuale e programmatica, oltre che in quella gestionale. “rapporto con il territorio… bisogna essere capaci di pensarsi come uno degli elementi dell’ambiente” (…) posso migliorare la qualità della vita di una persona se questa domanda di qualità è al centro dei progetti e se c’è un continuo monitoraggio che oltre a dire qualcosa su come sta quella persona rende via via più normale il porsi la domanda per tutti” (punto 4) La terminologia è importante, al mutare delle esigenze e dei significati occorre mutare anche le espressioni usate, ad esempio per definire come intendere la qualità di vita nei servizi per persone con disabilità. Se in precedenza l’istanza era di superare il CST chiamandolo CD, ora proponiamo un ulteriore sviluppo dal CD al SDT, Servizio Diurno Territoriale. I Centri sono luoghi fisici, edifici, strutture attrezzate per accogliere nelle ore diurne, da sei a otto in media, persone disabili che partono dalla propria casa e poi vi fanno ritorno. Dalla propria, quindi, si passa in un’altra casa, adeguata, accessibile, in genere personalizzata con i lavori artigianali ed hobbistici di chi vi abita, gradevole nell’aspetto, attrezzata anche per persone con gravi compromissioni, ci si augura vicina ai centri abitati, in cui lavorano educatori, OSS, terapisti della riabilitazione, consulenti di attività e di animazione. E’ un edificio che accoglie persone esterne, rappresentate per lo più dalla rete che gira intorno alla disabilità, i volontari della Croce Rossa, i volontari di associazioni del territorio, i volontari del servizio civile, oltre, naturalmente, ai familiari. Da questo edificio le persone escono per realizzare attività esterne, laboratori, gite, partecipazioni ad eventi, con uscite strettamente correlate e funzionali all’attività da svolgere. Cosa significa passare al Servizio Diurno Territoriale? La nostra proposta è superare il vincolo del modello valido per tutti i contesti di riferimento, lasciando aperte la sperimentazione e l’innovazione, intese come pratiche e percorsi di aiuto allo sviluppo delle capacitazioni e degli apprendimenti, allo scopo di realizzare proposte polifunzionali e maggiormente flessibili nella possibilità di riconoscere e soddisfare il mutare delle esigenze dei fruitori. Significa uscire dal Centro e individuare luoghi alternativi sul territorio, non più luoghi e edifici dedicati, ma luoghi abitati anche da altri attori della comunità locale, con i quali l’integrazione non è da perseguire attraverso comuni attività, ma attraverso la coabitazione. Concretamente, proponiamo che per i “Servizi Diurni Territoriali” di nuova realizzazione occorra incentivare una collocazione non in edifici esclusivi, ma in luoghi in cui siano già presenti altre attività o servizi, implementandoli, integrandoli, arricchendoli e che per quelli già esistenti occorra implementare le possibilità di agevolazione (burocratica, economica, ecc.) nella ricerca di legami di integrazione territoriale. “penso che ogni giorno dovrebbe esserci chi chiede ‘come va?’, ma autenticamente, prendendosi il tempo per la risposta, quale che sia il modo e il tempo necessario perché essa arrivi” (punto 1) Saper chiedere “come va?” significa riconoscere i bisogni individuali e prendersene cura. Trasferendo questi pensieri nel SDT, andiamo al punto 1 del Decalogo: “Mettere al centro di ogni progettualità, predisposta da qualsiasi servizio, la Persona con i suoi diritti e desideri, promuovendone, per quanto possibile, una sua partecipazione attiva, sia nella predisposizione e nell’utilizzo dei P.E.I. sia nell’individuazione della pluralità di offerte di attività e percorsi”. Come tradurlo nella pratica? Come conciliare la persona e la produzione, o l’organizzazione? Come conciliare l’attenzione alla persona disabile, ai suoi ritmi, tempi, esigenze, desideri con la macchina organizzativa, i turni di servizio, il rispetto dei capitolati e dei mandati istituzionali? La fragilità delle persone non è automaticamente sinonimo di incapacità ed è possibile essere al tempo stesso fragili ma “portatori di competenze”, in grado di offrirsi come risorsa per la cittadinanza. Riteniamo determinante, anche per un’evoluzione culturale, promuovere l’identità delle persone con disabilità come quella di soggetti che possano assumere ruoli attivi socialmente riconosciuti e riconoscibili, in qualità di attori di un welfare restitutivo e generativo di risorse. Allora il “come va?” può diventare “come va, qui, così come sei, con ciò che fai e proprio perché sei tu?”. “importante definire dei criteri di valutazione condivisi” (punto 2) Il P.E.I. non può essere autoreferenziale, ma deve indicare obiettivi, misurarne il raggiungimento, ridefinire altri obiettivi. Imprescindibile sviluppare un percorso di valutazione partecipata e misurazione dell’efficacia degli stessi P.E.I. attuati nei servizi in relazione agli esiti dello sviluppo delle capacitazioni acquisite, alla coerenza fra i bisogni espressi dalla persona e il mandato progettuale attivato, ai processi operativi progettuali agiti, alla maggior integrazione/inclusione della persona con disabilità e di maggior “tenuta” del sistema famiglia, del sostegno alla domiciliarità e all’abitare sociale. Per assumere la valutazione come elemento fondante è necessario promuovere e sviluppare un processo di negoziazione che si realizza all’interno di uno specifico contesto culturale fra i diversi attori portatori di diversi interessi e di particolare coinvolgimento emotivo che viene legittimato come importante valore aggiunto e non come ostacolo. Essenziale è il riconoscimento, anche in sede normativa, della valutazione partecipata come strumento di controllo democratico sulle istituzioni, di garanzia dell’efficace attuazione dei livelli essenziali di assistenza, della corretta gestione delle risorse, di aumento delle condizioni di salute e benessere della popolazione. “rivedere gli approcci alle attività che si fanno sempre uguali da vent’anni” (punto 5) La ripetitività blocca, cristallizza il modello. Strettamente correlata all’idea di superare il modello è invece la necessità di sviluppare processi flessibili. Flessibilità è la parola chiave che rende possibile operare a partire dai bisogni delle persone: “lievi disabilità” (punto 10) Ci siamo interrogati anche noi su questa questione e riteniamo importante superare la logica che la disabilità lieve necessiti di interventi meno consistenti rispetto alla disabilità grave, predisponendo percorsi ed interventi professionali educativi a valenza abilitante e riabilitativa che, attraverso le pratiche del lavoro di comunità, favoriscano il coinvolgimento della comunità territoriale per una presa in carico solidaristica e comunitaria, facilitante i processi di inclusione sociale ed integrazione occupazionale, in un’ottica di riduzione di costi sociali ed economici a favore di un investimento collettivo di responsabilità. La consapevolezza della importanza che viene ad assumere un cambiamento di prospettiva e di progettualità come quella delineata, implica l’individuazione di un percorso per proseguire questo cammino. Di seguito indichiamo alcune tappe che ci sembrano essenziali. Un secondo aspetto è la costante sperimentazione di nuove modalità di intervento che tengano conto della realtà in continuo mutamento: una fantasia progettuale che registra le esigenze derivanti non solo dai ‘bisogni’ ma anche dai ‘desideri’ delle persone di cui ci si occupa. Il gruppo di studio che ha elaborato il decalogo si muoverà proprio in questa direzione per approfondire la sua ricerca attraverso l’individuazione di progetti e sperimentazioni che diano forma concreta ai principi espressi nel decalogo. Infine un terzo aspetto sta nella necessità di un costante confronto con altre esperienze collocate in differenti realtà italiane. In tal senso gli appuntamenti derivanti dai seminari de “La borsa degli attrezzi” organizzati da La Bottega del Possibile sono una occasione di incontro e di confronto particolarmente arricchenti[2]. Bibliografia di riferimento AAVV, Figli per sempre, La cura continua del disabile mentale, Carocci Faber, Roma, 2002 AAVV, Disabilità a confronto, Atti dei seminari de ‘La Bottega del Possibile’, Erickson, Trento,2013 AAVV, Prendeteci sul serio! Atti del seminario de ‘La Bottega del Possibile’, Erickson, Trento, 2013 Cavagnola R., Il centro socioeducativo, Erickson, Trento, 1994 Contardi A., Verso l’autonomia, Carocci Faber, 2004 Lepri C., Viaggiatori inattesi. Appunti sull'integrazione sociale delle persone disabili, Franco Angeli Editore, Milano, 2011 Mannucci A., Crescere insieme, Del Cerro, 2005 Medeghini R., Disabilità e corso di vita, Franco Angeli Editore, Milano, 2006 Paolini M., Chi sei tu per me?, Erickson, Trento, 2009 Piccinino L., Santa Maria C., Non tanto diversi, Franco Angeli Editore, Milano, 2013 Quaderni di Animazione e Formazione, Supplemento al numero 1/2006 Costruire biografie nella disabilità, Luoghi sociali aperti alla diversità, Animazione Sociale, Gruppo Abele Edizioni, Torino Rivista PROSPETTIVE SOCIALI E SANITARIE: “I centri diurni per disabili e il territorio” - monografia – n.7 - aprile 2006 – “I centri diurni per disabili: una costante evoluzione” – monografia - n.13 luglio 2009 “Centri diurni per disabili”- Quali sfide nei nuovi scenari del welfare – n.3.1/2014 “Lentius, profundius, suavius” – Franco Marengo – n.3.2 – settembre 2014 DECALOGO Principi imprescindibili per una riforma dei servizi diurni per le persone con disabilità nella Regione Piemonte 1 Mettere al centro di ogni progettualità, predisposta da qualsiasi servizio, la Persona con i suoi diritti e desideri, promuovendone, per quanto possibile, una sua partecipazione attiva, sia nella predisposizione e nell’utilizzo dei Progetti Educativi Individualizzati (P.E.I.) sia nell’individuazione della pluralità di offerte di attività e percorsi. 2 Sviluppare un percorso di valutazione partecipata e misurazione dell’efficacia degli stessi P.E.I. attuati nei servizi in relazione: 3 Mantenere una regia pubblica come elemento di garanzia affinché tutti gli attori e soggetti coinvolti si impegnino a promuovere e perseguire la rimozione degli ostacoli che limitano la partecipazione e l’inclusione sociale della persona fragile e con ridotta autonomia, nonché come sistema che sappia ottimizzare sinergicamente un modello di sussidiarietà virtuosa con tutto ciò che il Terzo Settore è in grado di mobilitare, apportare e proporre, assicurando e investendo sulla coprogettazione e sul coinvolgimento attivo di tutte le istituzioni e degli attori locali interessati in tutte le fasi del processo di aiuto e nel loro esperire il ruolo di funzione pubblica. 4 Superare il vincolo del ‘modello’ valido per tutti i contesti di riferimento, lasciando aperta la sperimentazione e l’innovazione, da intendersi non come individuazione di nuove categorie di centri, ma come: Si propone di passare dal concetto di “Centro diurno” al concetto di “Servizio Diurno Territoriale”, focalizzando l’attenzione sui contenuti e sui processi piuttosto che sui contenitori. 5 Sviluppare processi di intervento che garantiscano: 6 Garantire alle équipes multi professionali il riconoscimento della complessità del lavoro svolto, nonché il tempo della programmazione, della progettazione, della formazione e della supervisione, anche per contrastare la delega allo specialismo con conseguenti deresponsabilizzazione e riduzione dell’orizzonte di intervento e per favorire un approccio partecipativo e multidisciplinare. 7 8 Riconoscere e sviluppare il lavoro di progettazione, di iniziativa, di coordinamento e di impegno sul territorio, nella costruzione di un sistema di alleanze che favorisca l’attivazione delle risorse presenti e attivabili della comunità, lo sviluppo di processi partecipativi, il processo di inclusione nel quale la persona con disabilità possa esprimersi come risorsa. 9 Condividere il Progetto Educativo Individualizzato con la famiglia e/o i caregiver della persona con disabilità, nella prospettiva di una reale e possibile autonomia ed inclusione sociale, riconoscendo e salvaguardando il ruolo determinante di questi attori, nel rispetto della persona in termini di: Ai Servizi è chiesto di garantire accoglienza, supporto e orientamento per le persone e di predisporre interventi di: 10 Superare la logica che la disabilità lieve necessiti di interventi meno consistenti rispetto alla disabilità grave, predisponendo percorsi ed interventi professionali educativi a valenza abilitante e riabilitativa che, attraverso le pratiche del lavoro di comunità, favoriscano il coinvolgimento della comunità territoriale per una presa in carico solidaristica e comunitaria, facilitante i processi di inclusione sociale ed integrazione occupazionale, in un’ottica di riduzione di costi sociali ed economici a favore di un investimento collettivo di responsabilità. [1]Al Gruppo appartengono tecnici con esperienze e provenienze diverse. Salvatore Rao, Presidente APS La Bottega del Possibile; Guido Bodda e Maria Luisa Pilan, Cooperativa Sociale Il sogno di una cosa; Rosanna Taberna, Con.I.S.A. Valle di Susa; Elvira De Nucci, Servizi Sociali Bra ASL CN2; Giannina Tresso, esperta sistemi informativi sociali; Manuela Caula, Cooperativa Sociale Proposta 80; Claudio Caffarena, Studio Il Nodo; Franco Marengo, Il Riccio scs; Ornella Morpurgo, psicologa; Nives Danieli, ref.CD ‘CIAO’ –CISS Pinerolo. Il gruppo è in stretto collegamento con il “Coordinamento servizi area disabilità - cintura di Torino” (nato nel 1983) che rappresenta un momento privilegiato nel quale operatori socio-educativi, coinvolti direttamente ed in differenti ruoli nell’attività con persone disabili, si confrontano su temi correlati, partendo dalla quotidianità del loro agire, con l’obiettivo di delineare tracce di lavoro, direzioni sulle quali ri-orientare l’agire e le rotte di navigazione nei mari dei servizi. [2] consultare il sito www.bottegadelpossibile.it. LA RICHIESTA DI SOSTEGNO del Gruppo Solidarietà Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali. La pubblicazione delle norme della regione Marche richiede un lavoro sistematico quotidiano sia per la ricerca che per la pubblicazione in unico file pdf scaricabile. Per questo lavoro il Gruppo Solidarietà non riceve alcun sostegno. Se lo ritieni importante e ti è anche utile PUOI SOSTENERLO CON UNA DONAZIONE.
Alterneremo, come un dialogo a distanza, citazioni dal pensiero di Mario con le riflessioni che il gruppo ha fatto in questi anni evidenziando tutte le possibili convergenze che emergono da questo incontro, citando dove opportuno e per facilità di lettura i vari punti del decalogo che intervengono come argomentazioni.
Innanzitutto il coinvolgimento dei vari livelli sul piano tecnico e politico. Si è consapevoli che per dare seguito alle prospettive nuove derivanti da una progettualità adeguata alle nuove esigenze, è necessario accompagnare il processo con norme analogamente innovate e innovative. Un passo in questa direzione è stato compiuto attraverso l’acquisizione della adesione al ‘decalogo’ da parte del Coordinamento dei Presidenti e dei Direttori della Regione Piemonte e la sua successiva presentazione all’Assessore Regionale, avvenuta nell’autunno scorso.