Articolo di Appunti (Accesso libero)
Articolo pubblicato sul numero 239, 2/2022
aprile-giugno 2022
RIPENSARE I SERVIZI. Personalizzare gli interventi
Gruppo Solidarietà
Tipologia: Articolo
La necessità di "Ripensare i servizi" non nasce certo con l'avvento della pandemia. Le persone più avvertite da tempo hanno posto l'urgenza di un ripensamento delle politiche e degli interventi. L'introduzione del nuovo libro del Gruppo Solidarietà.
Nel libro dello scorso anno, NON COME PRIMA. L’impatto della pandemia nelle Marche, avevamo analizzato gli effetti della pandemia sul sistema dei servizi nella nostra regione. A distanza di un anno proponiamo un nuovo approfondimento avendo come riferimento una prospettiva più generale. Crediamo valga ancora quanto affermato nel giugno scorso: Il coronavirus è stato il detonatore, che ha messo in luce la fragilità del sistema e la sua disfunzionalità. Mentre scriviamo questa presentazione siamo alle fine della seconda ondata. La domanda (e la preoccupazione) è se saremo capaci di accogliere gli insegnamenti di questi mesi, oppure, nella “foga della ripresa”, ci dimenticheremo in fretta quanto accaduto, attribuendolo ad una fatalità non prevedibile. Purtroppo temiamo che questa sia più di una possibilità.
La necessità di “Ripensare i servizi” non nasce certo con l’avvento della pandemia. Le persone più avvertite e più attente da tempo hanno posto l’urgenza di un ripensamento delle politiche e degli interventi. La pandemia ci ha riproposto in maniera violenta l’urgenza del cambiamento. Cambiamento che chiede di declinare attraverso la prassi affermazioni come: “de-istituzionalizzare”, “sostenere la domiciliarità”, “centralità del progetto di vita”, “superamento del modello biomedico”; “territorialità dei servizi”, “benessere delle persone” e molto altro ancora.
I contributi presenti in questo nuovo Quaderno, scritti a partire dalla fine della prima ondata, anche quando trattano temi diversi, rimandano alla necessità di questo cambiamento.
I primi due (Ragaini, Panizza) pur partendo da diversi punti di osservazione riprendono un tema molto caro al Gruppo Solidarietà. Ovvero il tema della territorializzazione degli interventi, la de-istituzionalizzazione e la neo-istituzionalizzazione. I percorsi storici ci aiutano a capire come una forte mobilitazione dal basso abbia determinato percorsi di “restituzione alla comunità” di persone allontanate verso luoghi di custodia ammantati di specialismo.
Non è solo la storia dei manicomi ma anche di molte strutture rivolte a persone con disabilità. Oggi, seppur forte è la spinta dell’associazionismo delle persone con disabilità, affinché venga rispettata la Convenzione delle Nazioni Unite, ratificata dall’Italia con la legge 18/2009, nella quale (art. 19) si riconosce il “diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società (..) 1, continuano ad essere fortissime le spinte alla neo- istituzionalizzazione. Ne dà conto il primo contributo. A fronte di percorsi riguardanti poche persone centrati sulla effettiva personalizzazione degli interventi e dunque il benessere delle persone, si sviluppano nella ordinarietà modelli istituzionalizzanti, supportati, troppo spesso, da organizzazioni profit ma purtroppo anche non profit che sposano la cosiddetta efficienza gestionale con un mix di “moduli” e “nuclei” che nulla hanno in comune con l’abitare, luoghi permanentemente di passaggio in cui transitano le persone in alcune fasi della vita. Qualche “scala di valutazione” registra i cambiamenti e su quella base si programmano spostamenti di … “piano”. Si declina così la parola magica: “sostenibilità”, coniugata sempre in termini finanziari e mai legata alla qualità di vita.
Le istituzioni, in particolare quelle regionali, si caratterizzano per distrazione. E se qualche orizzonte sembra aprirsi per le persone con disabilità, le persone anziane, nell’ultima fase della vita, sembrano destinate a spersonalizzazioni più che personalizzazioni.
Ma altrettanto cara al Gruppo è la riflessione sul ruolo del volontariato e più in generale del terzo settore cui il contributo di Panizza, in particolare, si sofferma. Si può accettare e concepire che organizzazioni del terzo settore (non sono esperienze che nascono all’interno delle comunità con un forte legame con il territorio?) non siano impegnate in percorsi territoriali, di de-istituzionalizzazione, di lotta per il riconoscimento di dignità delle persone? Quando questo accade, evidentemente, la forma giuridica non assume significato valoriale. Queste organizzazioni, nella prassi, sono e divengono uno strumento del mercato volto principalmente alla calmierizzazione dei costi.
In realtà questi primi contributi ben si integrano con i quattro successivi (Censi, Fazzi, Zuppiroli, Dirindin). Scritti in fasi diverse della pandemia riprendono, in particolare, una delle questioni più tragiche e dolorose emerse: la situazione degli anziani e in particolare dei servizi residenziali rivolti a quelli non autosufficienti. Contagi, decessi (che ancora non siamo riusciti a contare a conferma della invisibilità di queste persone), solitudini e isolamenti hanno portato per un periodo all’attenzione la condizione dell’assistenza residenziale in Italia. Un sistema di servizi che neanche le istituzioni centrali conoscevano (e forse neanche oggi conoscono), basti vedere le difficoltà nella realizzazione di report attendibili (peraltro terminati nel maggio 2020) riguardanti queste strutture.
Ma il cuore del ragionamento riguarda il funzionamento di questi servizi e i loro modelli di riferimento. D’altra parte se ancora oggi, ad oltre due anni dall’inizio della pandemia, a qualche mese dalla fine formale dell’emergenza nella gran parte delle strutture in Italia sembra ancora lontano un segnale di avvicinamento alla normalità (visite ancora cadenzate sulla settimana, in alcuni casi ancora evitato il contatto fisico, ecc..) evidentemente è ancora fortissima l’inconsapevolezza sugli effetti dell’isolamento e della mancanza di relazioni e affetti. Molti di questi luoghi, attendono, evidentemente, una rigenerazione.
Gli ultimi articoli (Giancaterina, Gagliardini, Medeghini e collaboratori) hanno tutti un focus sui temi della disabilità e rendono ben ragione del “Ripensare i servizi”. Si tratta di un’urgenza particolarmente avvertita (vedi anche i contributi di un nostro precedente libro, Persone con disabilità. Politiche, sostegni, interventi, servizi, 2020), che il periodo pandemico ha ancora con più forza evidenziato. C’è urgenza di rivedere modelli, luoghi, approcci. Ma soprattutto di evitare che a parole nuove corrispondano vecchie prassi. La fase attuale può essere, forse, occasione per innescare cambiamenti ineludibili.
Sono processi che devono affrontare forti resistenze, nutrite di consuetudini e inerzie.
Il libro vuole essere un contributo in questa direzione.