Articolo di Appunti (Accesso libero)
Articolo pubblicato sul numero 237, 4/2021
ottobre-dicembre 2021
Il maltrattamento nelle strutture residenziali per anziani
Luca Fazzi
Tipologia: Intervista
La causa principale del maltrattamento va ricondotta alla diffusione dei modelli di gestione manageriale e a una concettualizzazione della non autosufficienza come patologia da affrontare con procedure e standard. L'esito è la diffusione di pratiche di erogazione dell'assistenza centrate su tempi e compiti e non su progetti individuali che produce effetti paradossali sia in termini di efficacia che di efficienza
Tu lavori da diversi anni sul tema del maltrattamento delle persone anziane nelle strutture residenziali e hai appena pubblicato un libro su questo argomento che è la prima ricerca in profondità realizzata in Italia (‘Il maltrattamento dell’anziano in RSA’, Maggioli, 2021). Cosa intendiamo per maltrattamento o comportamento maltrattante?
Il maltrattamento è tecnicamente un comportamento che causa danni fisici o psichici alle persone che ne sono vittime. Spesso si confonde il maltrattamento con le sole pratiche che generano danni fisici ma questo è estremamente limitante perché soprattutto nel caso degli anziani il maltrattamento assume una dimensione psicologica e emotiva molto importante e spesso devastante. Dal punto di vista scientifico si parla di forme plurali di maltrattamento. La violenza fisica è il comportamento maltrattante più evidente e noto. Di solito quando si parla di maltrattamento si pensa immediatamente a questo aspetto e anche i casi riportati dai media riguardano direi quasi esclusivamente la violenza fisica. Oltre al maltrattamento fisico esistono però anche altre forme di comportamento maltrattante. Una variante del maltrattamento fisico è il maltrattamento o l’abuso sessuale che riguarda sia la violenza sessuale classica che forme più sottili di violenza come quella verbale a valenza sessuale per esempio i giudizi o le richieste di rapporti sessuali. Si tratta di una forma di maltrattamento poco indagata perché si crede che una persona anziana non possa essere un oggetto di attenzioni sessuali. In realtà questa forma di maltrattamento esiste e purtroppo non è così rara come si potrebbe immaginare. Una terza forma di maltrattamento o abuso ha natura economica. Gli anziani possono essere vittime di furti o raggiri che producono perdite economiche anche all’interno delle strutture e non solo a livello domestico dove inevitabilmente il fenomeno è molto più diffuso. Le due ultime forme di maltrattamento sono le meno considerate anche se sono quelle più diffuse e che generano gli effetti più devastanti. Il maltrattamento emotivo e psicologico riguarda tutto l’insieme di comportamento che producono sugli anziani perdita di autostima, umiliazione, disconoscimento del sé eccetera. Spesso questi comportamenti sono messi in atto in modo inconsapevole anche perché una condizione di malessere psicologico con sintomi di depressione e ansia è comune in molti grandi anziani e questo può rendere più difficile la correlazione tra specifici comportamenti e lo stato psicologico e emotivo dell’anziano. Esempi di maltrattamento psicologico e emotivo sono l’esautorazione che si prende forma ogni qual volta a un anziano parzialmente autosufficiente non viene chiesto il consenso di compiere talune operazioni come gli spostamenti o l’igiene, l’infantilizzazione che si sostanzia nella scelta di attività ricreative molto semplificate e umilianti. A fianco di queste forme di maltrattamento emotivo e psicologico non intenzionali e calate nella routine quotidiana dell’assistenza ve ne sono altre naturalmente di intenzionali come lo scherno, le punizioni conseguenti a comportamenti dell’anziano considerati disfunzionali che possono portare a non prestare più attenzione alle richieste di aiuto eccetera. L’ultima forma di maltrattamento è l’incuria, una condizione molto pesante che si sostanza in genere in comportamento di mancata stimolazione fisica psicologica e sociale dell’anziano, nella carenza di cure, igiene o nutrizione oppure nella mancanza di precauzioni per la sicurezza che possono ingenerare deperimento sia psichico che fisico delle persone fino a provocarne la morte. Il fenomeno del maltrattamento come si vede è molto complesso e è fuorviante limitarsi a osservare la violenza fisica che pure è un tema drammatico ma certamente non esaurisce le dimensioni né le caratteristiche del comportamento maltrattante.
E’ possibile avere una dimensione del fenomeno e le sue articolazioni? Ci sono differenze tra la diffusione del maltrattamento domestico e in struttura?
E’ molto difficile stabilire le dimensioni del fenomeno anche perché la sua definizione risente di molti fattori non ultimi quelli culturali che portano a considerare un comportamento come maltrattante in certe culture e non in altre. Le rassegne più recenti e sistematiche di letteratura a livello internazionale indicano che il maltrattamento psicologico emotivo è diffuso tra l’11,6% della popolazione over 60, fisico tra il 2,6%, economico finanziario tra il 6,8%, mentre incuria e trascuratezza tra il 4,2% e il maltrattamento sessuale tra lo 0,9%. Diverse forme di maltrattamento sono in genere messe in atto in modo congiunto quindi si possono avere forme di maltrattamento fisico emotivo e economico per esempio insieme. Molte ricerche mostrano come gli anziani vittime di un tipo di abuso hanno subito frequentemente anche esperienze di maltrattamento di altro genere. L’elemento che a mio parere è più rilevante degli studi disponibili a livello internazionale e delle poche informazioni reperibili in Italia è che il maltrattamento non avviene però solo a livello domestico ma anche e più spesso nelle strutture residenziali che dovrebbero essere teoricamente dei luoghi dediti alla cura e quindi più sicuri rispetto alle abitazioni private. Le ricerche forniscono risultati abbastanza differenziati e le stime sono molto diverse. In genere però si pensa che tra il 10 e il 15% degli anziani sia oggetto di qualche forma di maltrattamento ma indagini più approfondite arrivano a dire che due operatori su tre delle strutture residenziali hanno assistito negli ultimi dodici mesi a atti di negligenza, incuria o maltrattamento psicologico e emotivo da parte di loro colleghi nei confronti degli ospiti. Secondo diversi osservatori queste percentuali sono però sottostimate perché è evidente la ritrosia a parlare di maltrattamento da parte degli operatori e spesso gli anziani non sono in condizione di parlare del proprio vissuto o per timore di ritorsioni, o più semplicemente per incapacità cognitiva di percepite la gravità degli atti a cui sono stati sottoposti. La violenza principale in ogni caso non è quella fisica di cui si parla così tanto, e che in verità è abbastanza limitata, ma quella psicologica e emotiva e la negligenza, molto più diffuse.
Tu scrivi che è la natura stessa della relazione di dipendenza che si instaura tra una persona fragile e un’altra più forte a contenere in sé i germi del maltrattamento.
Nelle strutture residenziali arrivano le persone più fragili e le situazioni di dipendenza sono ovviamente più manifeste e diffuse. Ogni relazione di dipendenza tende a contenere i presupposti per l’esercizio di comportamenti arbitrari da parte del soggetto più forte. Per evitare che relazioni strutturalmente asimmetriche finiscano per fare prevalere il più forte sul più debole è necessario esistano due condizioni almeno: la consapevolezza del pericolo di tale deriva e disincentivi affinché questo si verifichi. Purtroppo di nessuna delle due condizioni c’è una grande coscienza. La gestione delle strutture residenziali è caratterizzata da una forte pressione sulla gestione e spesso i direttori non focalizzano questi problemi. Inoltre sarebbe necessario disporre di sistemi di rilevazione e osservazione del comportamento maltrattante che sono ampiamente assenti. Molti direttori tendono anche a non volere forzare la mano se non nei casi di abuso più espliciti perché è difficile provare in molti casi l’avvenuto maltrattamento e tra il personale vige una forte connivenza. I salari sono bassi e le condizioni di lavoro oggettivamente faticose per cui prima di mettersi contro un collega che poi potrebbe rendere la vita impossibile ci si pensa prima dieci volte. Nelle strutture residenziali c’è un mondo di informalità chiaramente prevalente, basti pensare a cosa succede nei turni notturni, e intervenire ex post sui maltrattamenti è difficile. Bisognerebbe investire in prevenzione e formazione prima, ma è chiaro che servono da un lato risorse e dall’altro soprattutto convinzione e consapevolezza sulla radicalità del problema. La pandemia in questo non ha aiutato perché i direttori sono stati travolti dall’emergenza e pensare a come prevenire il maltrattamento è stato l’ultimo dei loro problemi.
Ma con la pandemia la situazione in cui vivono gli anziani in molte strutture è stata messa in luce anche dai media. Questo non dovrebbe aiutare a affrontare il problema?
In realtà il focus sulle condizioni degli anziani in struttura durante la pandemia è durato poco, c’è stata una certa attenzione dopo la prima ondata ma attualmente sembra che l’unica preoccupazione sia quella della vaccinazione. L’idea che si sta diffondendo temo è che è stata una fase di emergenza a creare i maggiori problemi e non si tratta piuttosto di un problema strutturale.
Perché parli di problema strutturale?
Perché la grande parte del maltrattamento che si registra nelle strutture è causato principalmente da fattori organizzativi e di gestione dell’assistenza. Secondo una convinzione diffusa anche tra i direttori e gli amministratori il maltrattamento ha origine nel comportamento scorretto di singoli o di piccoli gruppi di operatori. Questo può naturalmente accadere. Ma il più delle volte il maltrattamento è il risultato di modelli sbagliati e superficiali di organizzazione dell’assistenza di cui sono responsabili almeno in parte proprio i direttori e gli amministratori.
Puoi fare qualche esempio?
Ogni decisione organizzativa ha una sua ricaduta sulle pratiche di assistenza. Per esempio scegliere di non organizzare il personale in team e di lavorare con modelli gerarchici ha implicazioni molto forti sulle motivazioni degli operatori e sulla stessa loro capacità di elaborare consapevolezza e soluzioni ai problemi della quotidianità. La formazione e l’aggiornamento sono anche una leva formidabile per prevenire il maltrattamento e purtroppo da anni si registra una riduzione di questi investimenti. Con la pandemia la situazione si è aggravata per la perdita del personale delle strutture residenziali assorbiti dalla sanità ma il fenomeno era chiaramente antecedente agli ultimi due anni. In generale la causa principale del maltrattamento a mio avviso va ricondotta tuttavia alla diffusione dei modelli di gestione manageriale e a una concettualizzazione della non autosufficienza come patologia da affrontare con procedure e standard. L’esito è la diffusione di pratiche di erogazione dell’assistenza centrate su tempi e compiti e non su progetti individuali che produce effetti paradossali sia in termini di efficacia che di efficienza. Basta pensare a cosa significa organizzare l’igiene mattutino degli ospiti in base a tempi di sei o sette minuti. Se gli operatori devono lavare e rivestire un demente la reazione di un’operazione da svolgere con questa pressione sul tempo sarà inevitabilmente l’aumento di ansia e di aggressività e questo rischia di innescare circuiti irreversibili di reazioni avverse con operatori che reagiscono con veemenza, aumento dello stress e del burn out del personale e necessità di un turnover continuo.
Parlare di una concezione riduzionista del bisogno che a questo punto diventa un oggetto centrale per comprendere il maltrattamento.
E’ chiaro che organizzare l’assistenza solo per fare igiene e dare medicine implica che il focus dei servizi siano i deficit delle persone e non le persone stesse. Ci si dimentica che anche un anziano non autosufficiente grave oltre a manifestare problemi ha sempre anche altri bisogni come le relazioni con i famigliari o con gli altri ospiti, la spiritualità, alcuni interessi residui. Il meccanicismo dilagante ha fatto sì che sempre meno strutture pensino i bisogni umani in una forma globale e questo si è visto benissimo durante i venti mesi di pandemia quando le strutture sono state chiuse e le visite dei famigliari interrotte. La gran parte dei direttori hanno concentrato l’attenzione sulla protezione degli ospiti senza pensare che proprio in un momento di tale drammaticità le relazioni con i famigliari erano una parte integrante della salute psichica e fisica degli anziani. Dopo la seconda ondata ancora la metà delle strutture non si erano attrezzate con dispositivi di comunicazione elettronica come skype o zoom lasciando agli anziani solo la possibilità di parlare al telefono con i famigliari. Le visite sono state procrastinate oltre ogni limite pur se da febbraio le prime strutture avevano avviato sperimentazioni di visite protetta ma la convinzione dominante è stata che era meglio evitare rischi e che in fondo 24 ore di assistenza erano più importanti di un incontro con i famigliari. Il risultato è stato che centinaia di anziani sono morti lasciandosi andare perché ovviamente pur essendo malati il bisogno di affetto e relazione con i propri cari costituiva una delle poche ragioni per continuare a vivere in un’istituzione terminale. Il maltrattamento inevitabilmente con questa concezione dei bisogni è un esito difficile da evitare ed è proprio a livello culturale che si dovrebbe lavorare per rendere congruenti i modelli di assistenza con le esigenze vitali delle persone.
Un argomento utilizzato per giustificare l’utilizzo di certi modelli di assistenza riguarda le risorse economiche sempre più scarse. Rispetto a questa osservazione cosa ne pensi?
Che ci sia un sottofinanziamento dell’assistenza agli anziani in Italia è fuori dubbio. Tuttavia non credo il problema sia spiegabile solo con le risorse economiche. Organizzare l’assistenza per compiti e tempi non costa più che farlo per progetti, la differenza è che è più semplice e apparentemente affidabile semplificare e standardizzare tutto. Ci sono casi nella ricerca che ho svolto di strutture con analoghe dotazioni economiche che operavano in modo completamente diverso. Il punto credo sia la consapevolezza e le competenze necessarie a dirigere e organizzare una struttura residenziale. Alle volte l’idea è che per svolgere questo compito servano dei bravi gestori o dei bravi contabili ma questo purtroppo non basta.
Un’ultima domanda: se questa è la situazione come si può fare per modificarla?
Penso anzitutto sia fondamentale studiare il fenomeno. L’Italia è uno dei pochi paesi in cui non esiste una tradizione di studi sul tema. Perché questo accade sinceramente non lo so dire. Credo siano diversi fattori a entrare in gioco non ultimo la cultura cattolica e il senso di colpa che fanno sì che mettere un anziano in struttura sia considerato ancora da molti famigliari con un misto di imbarazzo e vergogna. Di fronte a qualcosa che si giudica improprio è meglio non parlare e non sapere. Non è un caso che nei paesi protestanti gli studi sul maltrattamento sono molto diffusi e entrano a fare parte del dibattito politico in modo strutturale. Le associazioni dei famigliari che hanno protestato contro la gestione delle visite durante la pandemia fa intravedere però che qualcosa lentamente sta cambiando. Il ruolo delle organizzazioni dei famigliari è essenziale per spingere al cambiamento e alla riflessione pubblica. Io penso che di fronte a fenomeni strutturali di lesione dei diritti delle persone solo i movimenti civili possono fare qualcosa per sollevare il problema sul piano della discussione pubblica e in questo una progressiva organizzazione dei famigliari e una maggiore capacità di fare advocacy e proposte di gestione alternative dell’assistenza credo sia una strada fondamentale da percorrere per migliorare la situazione.