Articolo di Appunti (Accesso libero)
Articolo pubblicato sul numero 248, 3/2024
luglio-settembre 2024
Gruppo Solidarietà 1979-2024. Le politiche ed i servizi nel territorio dell’Ambito sociale di Jesi
Gruppo Solidarietà
Tipologia: Articolo
Lo scorso 28 settembre il Gruppo Solidarietà ha festeggiato 45 anni di attività. Nell’occasione si è svolta anche una tavola rotonda con l’obiettivo di tratteggiare un percorso: quello dei servizi territoriali intrecciato con quello del Gruppo Solidarietà. Di seguito il testo dell’introduzione a cura del Gruppo. L’incontro si può riascoltare nella pagina Youtube del Gruppo Solidarietà.
Questo incontro. Un percorso lungo 45 anni che non si può tracciare in una tavola rotonda di poco più di un’ora ma che abbiamo ritenuto proporre sia perché è importante capire come si è arrivati all’oggi e come il lavoro di una piccola associazione abbia segnato, comunque, lo sviluppo delle politiche e dei servizi del territorio.
Dunque un primo messaggio è di speranza. Quando le persone, i cittadini, si associano, coinvolgono i territori e si impegnano per migliorare le condizioni di vita delle persone le cose possono cambiare.
Ecco allora perché in questo tavolo ci sono persone1 che hanno avuto o hanno responsabilità politiche che sono stati testimoni e protagonisti di questo percorso. Lo abbiamo pensato attraverso un percorso articolato su tre passaggi.
Primi anni ottanta
Gli anni della costruzione. Noi non possiamo che partire dalla situazione dei servizi rivolti alle persone con disabilità nei primi anni ottanta (poi negli anni il Gruppo ha allargato la sua azione anche ad altre situazioni di difficoltà e svantaggio) ed è il motivo per cui abbiamo chiesto a Nazareno Garbuglia, già presidente dell’associazione intercomunale Aesina di essere qui.
Sono anni in cui il GS incontra persone con disabilità e famiglie del territorio e “scopre” che quasi per tutti con la fine della scuola (che per moltissimi significava obbligo scolastico) la prospettiva era di lì in avanti: casa e famiglia. Il Gruppo incontra, uno ad uno, tutti i sindaci del territorio per sottoporre il problema e arriva poi all’associazione intercomunale Aesina che “raccoglie” tutti i Comuni del territorio (20 x 60.000 abitanti). Inizia l’interlocuzione.
Un primo punto da sottolineare è la situazione di ASCOLTO istituzionale e la volontà di iniziare un percorso che riguardasse tutti i Comuni del territorio: tutti i cittadini a prescindere dal Comune di appartenenza dovevano avere le stesse opportunità.
Quel percorso iniziato nella prima metà degli anni ottanta porterà ad avviare i servizi nell’ottobre 1987 in tutti i Comuni della Vallesina. A gennaio 1993 (con la chiusura dell’AI Aesina) diventerà capofila Maiolati Spontini e finalmente nel 1997 vi entrerà anche Jesi che diventerà il nuovo capofila della gestione associata dei servizi disabilità. Inizialmente2 in gestione associata solo il servizio di educativa extrascolastica, poi anche la scolastica, e successivamente la rete dei servizi nel tempo attuata: centri diurni, comunità, lavoro, ecc.., fino all’avvio dell’ASP nel 2012 che gestirà la gran parte dei servizi sociali e sociosanitari per conto dei Comuni. Non solo dunque i servizi disabilità ma anche altri servizi sociali e sociosanitari.
Fine anni novanta e prima decade anni 2000
Gli anni del consolidamento!? In questo passaggio Paolo Cingolani è stato prima assessore ai servizi sociali e poi primo, sostanzialmente, presidente dell’ASP.
Primi anni 2000 che segnano anche la nascita dell’Ambito territoriale sociale (ATS) che è Ambito di coordinamento, ma non di gestione dei servizi. Il lavoro di quegli anni è volto a realizzare quello che abbiamo declinato: “Un territorio, un governo”. Servizi territoriali che superino le singole municipalità con uguale possibilità di accesso per tutti i cittadini a prescindere dal comune di residenza. Un obiettivo ancora non raggiunto in modo definitivo.
Sono anni nei quali sul versante sanitario viviamo il passaggio dall’azienda sanitaria (coincidente con l’ATS) all’Azienda sanitaria unica regionale (ASUR) che determina una forte centralizzazione e la conseguenza scomparsa a livello territoriale di una articolazione sanitaria con capacità decisionale. Il ruolo delle Conferenze dei sindaci, già fragile diventa del tutto marginale.
Fine anni novanta. La necessità della solidità. Non solo servizi ma anche politiche territoriali. Sono anni di ricerca di strutturazione dei servizi disabilità, la ricerca di una cornice regolamentare più robusta, contestualmente l’apertura, attenzione ad altri temi e problemi a partire dal tentativo di una efficace integrazione con i servizi distrettuali, ma anche della necessità di sviluppare, potenziare, qualificare alcuni servizi sanitari.
Vedi ad esempio il tema delle cure domiciliari (non oncologiche). Riusciremo ad averle h12 e per un breve periodo anche con reperibilità notturna. La fase espansiva dura poco (in alcuni casi il tempo di riconferma dei DG). Si comincia anche a scoprire la sostanziale assenza dei servizi domiciliari rivolti agli anziani non autosufficienti e con demenza e l’inadeguatezza di quelli residenziali.
In quel periodo la promozione da parte del Gruppo dell’attività sportiva agonistica. Con la ricerca, attraverso la presenza di un gruppo di giovani volontari (quello che diventerà poi il gruppo Minimalia) a supporto delle famiglie: o meglio: la riduzione della dipendenza dalle famiglie (andare in piscina, aiuto nello spogliatoio prima e dopo l’entrata in acqua) indicano un percorso. Da un lato promuovere e favorire l’autonomia delle persone, dall’altro evitare che per molti le relazioni si configurino solo all’interno dei servizi. Occasioni importanti anche per rinsaldare relazioni, condividere esperienze, ecc... tra genitori che si ritrovano spesso in occasione delle gare.
Per il gruppo è una fase in cui si lavora contestualmente sul territorio e sulla Regione (leggi sulle autorizzazioni del 2000 e 2002, sviluppo servizi territoriali disabilità e contestuale finanziamento, ..). Ad esempio il lavoro perché sia prevista la possibilità di posti per “residenzialità temporanea di sollievo”, all’interno delle comunità, la trasformazione di strutture residenziali di grandi dimensioni in piccole comunità. Quelle che diventeranno le Comunità socioeducative riabilitative, piccole comunità, inserite nei normali contesti abitativi. Quel processo che oggi decliniamo, con un linguaggio rinnovato che è anche sostanza, in termini abitativi. Da residenze ad abitazioni, con il richiamo al concetto di casa.
Da individuale a collettivo. C’è sempre un filo che lega il nostro lavoro. Scopro un problema, mentre mi adopero per la soluzione, faccio in modo che questa riguardi non solo quella persona ma tutte le persone che sono in quella condizione. Allora dal livello locale si sale ai livelli istituzionali più alti per fare in modo che quel problema sia disciplinato a livello normativo. Quella norma diventerà poi strumento di difesa quando non verrà attuata.
In questo senso il tentativo è di tenere insieme politiche e servizi. Come diciamo spesso, le politiche sono l’atto primo, i servizi quello secondo. Se hai politiche inclusive, avrai servizi inclusivi; se non hai questo orizzonte puoi promuovere, potenziare i servizi ma che possono muovere in prospettiva esattamente opposta.
Mi piace ricordare anche che a metà anni 2000 anticipiamo nel territorio quella che diventerà in forma diversa “vita indipendente”, ovvero prevediamo nei Regolamenti che laddove si ravvisi da parte dei Servizi che il mantenimento a domicilio, scelto dalla persona, sia difficile da realizzare attraverso l’offerta di interventi (in questo caso assistenza domiciliare), il costo del servizio può essere trasformato in trasferimento economico così che la persona possa autogestirsi l’assistenza (in sostanza in questo modo si permette la possibilità alla persone di assumere un assistente familiare). Centrale diventa non la filiera dei servizi presente in quel momento, ma le esigenze delle persone sulle quali costruire il sistema di offerta. Anche in questo caso il passo successivo è stato quello di promuovere questo lavoro a livello regionale.
Oggi chiamiamo questo: personalizzazione dell’intervento, progetto di vita e budget di progetto. Questo è un punto dirimente anche oggi. I nostri sistemi cambiano e si evolvono se siamo laicamente in grado di guardare le esigenze delle persone e dare le risposte che queste esigenze richiedono che non debbono essere ingabbiate dentro i “silos” di offerta che abbiamo. Quando è così il sistema di offerta diventa “prestazionistico”. È incapace di guardare la persona nella sua interezza. Nel sistema che si nutre di prestazioni scompare quella che chiamiamo in maniera, forse, obsoleta “presa in carico”. Quelli che oggi chiamiamo sostegni hanno bisogno di continuo rinnovamento. Ciò che ieri era strumento inclusivo, oggi può diventare strumento separante. Quello che ieri liberava (ad esempio dalle mura di casa), oggi può diventare confinante, finanche segregante.
Il tema della centralità della valutazione del bisogno (e di come farla) ha guidato il nostro lavoro in tutti gli ambiti di cui ci siamo occupati. Un tema che abbiamo sempre messo in relazione ai contesti di vita. Tornando ogni volta a chiederci quando non va bene, il perché. Il grande tema della valutazione ex post.
Il nostro sito che raccoglie materiale a partire dagli ultimi mesi del 1999 documenta questo duplice lavoro che a livello regionale dai primi anni 2000 per 15 anni ci vede protagonisti all’interno di coordinamenti e Comitati inter associativi.
Oggi
Sul versante sociale, ovvero della gestione, siamo arrivati ad una “strutturazione forte” con la creazione dell’Azienda speciale che non nasce solo per rendere più razionali, efficaci ed efficienti i servizi ma per fare in modo che lo slogan “un territorio, un governo” diventasse effettivo, attraverso la realizzazione di una rete dei servizi territoriali che garantisse pari accesso dei cittadini a prescindere dal comune di residenza. Oggi dobbiamo chiederci se tutto questo è chiaro ai Comuni. Ecco il perché della presenza di Samuele Animali, che oltre ad essere assessore ai servizi sociali del Comune di Jesi è anche presidente del Comitato dei Sindaci dell’Ambito territoriale.
C’è dunque un tema importante ed è quello di evitare la deresponsabilizzazione dei Comuni.
Una permanente grande difficoltà. La responsabilità da parte dei Comuni di rappresentare i bisogni dei cittadini. Devono continuare ad essere delle antenne di queste esigenze con la capacità di rappresentarli ai diversi livelli istituzionali (Regione/azienda sanitaria, ecc..). Altrimenti le uniche rappresentazioni che saranno capaci di esporre (a meno che non abbiano un problema personale) saranno le file al Pronto Soccorso, la mancanza dei MMG e le liste di attesa (della sanità di seria A).
Avere/mantenere/potenziare canali di ascolto non formali (adempimentali) ma sostanziali. E’ faticoso ma è la condizione per meglio conoscere i bisogni delle persone (agli inizi degli anni ottanta siamo partiti così).
La consapevolezza che la società è cambiata, chi chiede i servizi è cambiato, chi opera nei servizi è cambiato. L’urgente necessità di leggere questo cambiamento, di intercettarlo.
Dare solidità organizzativa ai sistemi di accesso, valutazione presa in carico, che chiedono di essere ripensati per composizione, per forma, per approccio.
C’è il grande tema che la pandemia ha scoperchiato ma che subito abbiamo ricoperto, ovvero della “qualità” dei servizi residenziali per anziani non autosufficienti. Che rimangono per lo più luoghi chiusi dal resto della comunità, un mondo poco conosciuto ma che riguarda, nel nostro territorio, oltre 700 persone (che significa 700 famiglie). All’interno di questo c’è la tragica situazione della sostanziale assenza dei servizi residenziali per le persone con demenze.