Data di pubblicazione: 01/07/2009
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Cosa Sandro può aver insegnato ai servizi

In "Appunti sulle politiche sociali, n. 2/2009"

Una grave malattia neuromuscolare, un nucleo familiare fragilissimo, bisogni sempre più forti, la difficoltà delle istituzioni a trovare risposte adeguate. Una storia che può insegnare molto ai servizi e alla loro capacità di rispondere in maniera adeguata ai bisogni. Vedi anche Raccontiamo noi l’inclusione. Le interviste integrali.

Fabio Ragaini[1] Gruppo Solidarietà

Sandro, affetto da una grave malattia neuromuscolare (malattia di Friedreich) è morto il 10 ottobre 2008, a pochi giorni dal compimento dei 41 anni. Figlio unico di madre vedova  (da 26 anni), senza supporto parentale, residente in campagna in un piccolo paese della provincia di Ancona, all’età di circa 20 anni perde quasi tutte le autonomie; da circa 15 comunica con una tabella. Negli ultimi 3-4 anni le sue possibilità di comunicazione si riducono ulteriormente e solo facendo molta attenzione si riesce a comunicare attraverso l’apertura e chiusura degli occhi. Questo testo è stato iniziato quando Sandro era ancora in vita, ma in condizioni fortemente deteriorate ed è nato con l’obiettivo di analizzare quali conseguenze la sua condizione ha determinato nel sistema dei servizi territoriali, quali cambiamenti  ha apportato, quali resistenze ha incontrato. Per questo motivo non si ritiene importante riportare con dettaglio  cronologico tutti i passaggi, ricostruibili peraltro senza difficoltà, così come non appartiene a questo scritto una riflessione su quello che la vicinanza con Sandro ha prodotto nelle persone a lui più vicine (per quanto riguarda questo aspetto si riporta, nel riquadro a fianco, il testo letto in occasione del funerale).

Chi scrive - insieme ad un gruppo di amici - in seguito alla scomparsa del padre, all’aggravarsi delle sue condizioni e alle sempre più grandi difficoltà della madre di gestire una situazione assolutamente difficile, se ne è progressivamente fatto carico: dapprima con una formale delega da parte della madre, successivamente attraverso l’assunzione della funzione di amministratore di sostegno. Sandro è riuscito a superare le resistenze frapposte  nella fruizione dei vari interventi (che successivamente verranno descritti) solo perché la sua causa è stata sostenuta, in particolare, in modo diretto da chi scrive. Di questo occorre tener conto in ogni passaggio della storia. Sicuramente, se non ci fosse stata questa assunzione, Sandro sarebbe rimasto a casa, qualsiasi  fosse stata l'assistenza ricevuta, fino ad un episodio che l’avrebbe portato in ospedale dal quale non sarebbe più uscito.

I servizi a casa

Sandro ha sempre abitato in campagna in una abitazione con molte barriere architettoniche: alcune negli anni sono state abbattute ma la casa, soprattutto all’interno, ha mantenuto una struttura assolutamente inadatta per una persona che richiede degli ampi spazi (sia che si trovi in carrozzina che a letto). Fino alla fine del 2004 fruisce di un servizio di assistenza domiciliare erogato dal Comune all’interno di una gestione associata intercomunale pari a 18 ore settimanali (sei mattine e due pomeriggi). Determinante per il suo mantenimento a casa è la presenza costante e strutturata di un gran numero di amici che sono intervenuti in tutte le situazioni di difficoltà e necessità. Da segnalare che da sempre Sandro ha avuto problemi di insonnia e molto frequenti sono le alzate notturne della madre o degli amici che dormono con lui quando è necessario far rifiatare la madre. A partire dai primi anni del 2000 la situazione è diventata sempre più critica - tanto che il servizio viene erogato su 12 mesi e sospeso solo nelle feste - sia per la difficoltà di gestione dell’assistenza, sia per la grande difficoltà della madre di reggere l’assistenza notturna. Assistenza notturna peraltro complicata, per chi non conosce bene Sandro, a causa delle sempre maggiori difficoltà di comunicazione. La pressante richiesta di un aiuto notturno, incontra un’insuperabile resistenza da parte della madre. Intanto si aggiungono importanti problemi di deglutizione (2003) che rendono sempre più difficile l’assunzione dei cibi e soprattutto dei liquidi. A ciò si associano febbri ricorrenti dovute per la gran parte dei casi all’ingresso nel sistema respiratorio di cibo a causa delle aumentate difficoltà di deglutizione (disfagia). Questa situazione rende sempre più difficile anche l’uscita da casa a motivo della paura di malattia (freddo, febbre). Una situazione assolutamente non più sostenibile a casa: non più sostenibile per Sandro, per la madre e per gli amici che sentono tutta l’impotenza di fronte ad un quadro che assume i tratti della tragicità. Ad aggravare la situazione l’impossibilità di vedere alternative praticabili. Oltre alla resistenza della madre per qualsiasi ipotesi di ricorso alla residenzialità, il dato di fatto è che nel territorio (Asl e Ambito territoriale sociale sono coincidenti) non sono presenti comunità per persone disabili.

In  un quadro così angoscioso si aggiungono i problemi nella gestione dell’assistenza formale[2]: cambio di operatori, sostituzioni, difficoltà degli stessi, con conflitti lunghi ed aspri che richiedono tutela e mediazione allo stesso tempo. Compiti  assunti  dagli amici e in particolare da chi scrive.

Il passaggio ad un servizio diurno

A fronte dell’insostenibilità della situazione complessiva descritta, l’avvenuta apertura di una comunità[3] a pochi km di distanza dall’abitazione determina l’opportunità di poter contare su una risorsa importante. L’ipotesi dell’inserimento residenziale viene scartata dalla madre, pur avendo prodotto una domanda in tal senso (luglio 2004). Sandro, che in passato ha più volte espresso  questo desiderio, ora appare del tutto incerto; va tenuto conto che l’aggravarsi delle sue condizioni, in particolare comunicative, determina una sempre maggior richiesta di presenza della madre. Intanto ipotizziamo la possibilità di frequenza diurna presso detta comunità per più ragioni:

- per avviare  un graduale percorso di avvicinamento alla comunità in vista di un auspicabile successivo passaggio residenziale;

- per far apprezzare alla madre lo sgravio diurno, farle conoscere la comunità, acquisire fiducia, contemporaneamente poter contare sul rientro a casa la sera;

- per far conoscere Sandro agli operatori della comunità, attraverso l’operatore domiciliare, che accompagnerebbe questo passaggio.

I problemi da superare sono diversi. Con la madre: l’accettazione di un’uscita quotidiana anche con il freddo, l’accettazione di non essere presente all’ora dei pasti. Con Sandro: soprattutto l’accettazione di una alzata mattutina anticipata di qualche ora (la partenza è fissata alle 10.30), tenuto conto dell’insonnia notturna che determina molto spesso un prolungato sonno il mattino. Ci sono poi i problemi con gli enti. La comunità non prevede un diurno e la retta è a compartecipazione (Asl, Comune, Regione), fino a quel momento il servizio domiciliare di Sandro a carico esclusivo del Comune. Dopo innumerevoli passaggi e altrettante resistenze, Sandro inizia la frequenza in comunità  nel mese di dicembre 2004, dal lunedì al venerdì. Il sabato mattina mantiene l’assistenza domiciliare a casa.

Appare tuttavia subito evidente la precarietà di una prolungata  frequenza diurna per i problemi che spesso si creano il mattino, soprattutto nel periodo invernale, per le resistenza della madre per il freddo, per la stessa resistenza di Sandro. A ciò si aggiunge la particolare strutturazione dell’assistenza: l'operatore che segue Sandro al domicilio, pur essendo incardinato al servizio domiciliare, si reca a casa il mattino per l'igiene e la vestizione e rimane con lui tutto il tempo in comunità, risultando come una unità in più. Questa modalità determina però diversi problemi: se Sandro va in comunità è coperto per tutte le ore (fino alle 17.00); se rimane invece a casa fruisce delle sole ore che precedentemente gli sono state riconosciute al domicilio (2.30); in più l’operatore quando Sandro rimane a casa perde le ore che effettuerebbe in comunità. A ciò si aggiunge oramai l’impossibilità evidente da parte della madre di far fronte all’assistenza notturna.

Già nel mese di maggio 2005,  il Coordinatore tecnico del servizio associato chiede formalmente ai servizi territoriale della Asl e alla comunità di predisporre un progetto di inserimento residenziale.  Nel mese di giugno, in seguito ad una malattia della madre e alla sua impossibilità di prestare qualsiasi assistenza a Sandro, gli amici si fanno carico della situazione e si sollecita il ricovero urgente nella struttura residenziale.

In comunità

Nel settembre 2005  si avvia l'inserimento residenziale. La comunità, data la gravità della situazione e l’impegno assistenziale, pone come condizione per l’accoglienza un’assistenza aggiuntiva di 10 ore al giorno, per 60 ore settimanali (dal lunedì al sabato mattina). Il rientro a casa è previsto per il sabato pomeriggio con il ritorno in comunità il lunedì mattina. La retta, secondo la regolamentazione regionale, graverebbe al 50% sulla Regione; il restante 50%, per il 25% a carico di  Asl  e Comune che assumerebbe  il costo del trasporto. La famiglia dovrebbe corrispondere l’indennità di accompagnamento. I problemi si presentano però a più livelli: a) la resistenza della comunità ad un’accoglienza ritenuta incompatibile con la tipologia di servizio; b) l’aggravio dei costi sugli enti, soprattutto sulla Asl - pur tenendo conto del contributo regionale che copre il 50% del costo retta - ; c) le “nostre” preoccupazioni per la situazione complessiva che ci impegna su più fronti (Sandro, madre, comunità, servizi territoriali, problemi amministrativi).

E’ evidente che Sandro rappresenta un problema per i servizi. Noi che facciamo conoscere quel problema siamo allo stesso modo causa dei problemi altrui. Questo ci appare chiaro. Sentire Sandro rifiutato - nello stesso tempo fare in modo che la madre percepisca il meno possibile tutto questo - è motivo di grande sofferenza fino alla fine. Sofferenza e impotenza insieme.

Sandro rimane in comunità dal settembre 2005 al gennaio 2008. Una permanenza segnata da grandi difficoltà di gestione aggravata dai progressivi problemi clinici e dalla sempre più grande difficoltà di comunicazione. Più si fa difficoltà ad intercettare la sua richiesta, più aumentano le difficoltà di gestione, perché spesso il suo disagio si traduce in lamenti o urla[4]

In ospedale

Il 10 gennaio 2008 Sandro entra in ospedale[5] dopo diversi giorni di progressivo rifiuto del cibo, ritenzione urinaria, febbre. Il 12 si verifica uno scompenso cardiaco e da subito sembra che non ci siano possibilità di sopravvivenza. Incredibilmente, mai termine viene usato con tanta appropriatezza, Sandro supera la crisi seppur in condizioni molto critiche. Rifiuta sempre più di alimentarsi e viene deciso di ricorrere alla alimentazione artificiale (PEG). Il decorso procede in una situazione di instabilità clinica; alterazioni del ritmo cardiaco, catarro, febbre, diarrea, desaturazioni, ecc.. scandiscono le giornate. Dobbiamo affrontare la condizione di Sandro e la gestione dell’assistenza. Sandro formalmente è in carico alla comunità che, percepisce la retta intera durante il ricovero ed  è chiamata a farsi carico dell’assistenza. La comunità,  potendo disporre di 60 ore settimanali di assistenza aggiuntiva, in ospedale ne garantisce 70 ore su 7 giorni. Le altre sono coperte dagli amici e dalla madre. Si decide inoltre di affidare due notti a settimana ad una assistenza privata. Preso atto che comunque non ci saranno le condizioni per un rientro in comunità, chiediamo di poter recuperare l’indennità di accompagnamento,  così da coprire parte del costo dell’assistenza notturna e diamo la disponibilità alla dimissione dalla struttura a patto che siano mantenute le 70 ore di assistenza settimanali[6].

Sandro per tutto il periodo di ricovero in ospedale resta, formalmente, in carico alla comunità, con una spesa sostanzialmente doppia rispetto all’assistenza fornita. Intanto le sue condizioni migliorano, superata la fase di criticità e in attesa di definire cosa fare dopo si decide (fine febbraio) un passaggio in un reparto di lungodegenza post acuzie, sempre nel territorio della Asl.

Arriva dunque il momento di decidere cosa fare. In Comunità non ci sono le condizioni per rientrare; per rimanere nel territorio ci sono due sole possibilità: a) ritornare a casa - la sua o un’altra -; b) pensare ad un ricovero in una struttura per anziani - a condizione che rimanga una assistenza aggiuntiva durante il giorno e con il problema delle notti -. Dopo un tormentato confronto interno, decidiamo di percorrere l’ipotesi della sua casa. Sandro intanto è in ottima ripresa, tanto che inizia a stare qualche ora al giorno in carrozzina e ripete, quasi ossessivamente, che vuole tornare a casa. Per percorrere questa strada necessitano, però, alcune condizioni: a) ristrutturazione di una parte della casa; b) garanzia del mantenimento delle 70 ore settimanali di assistenza; c) adeguato supporto da parte del servizio di cure domiciliari. Convinta la madre incontriamo le prevedibili resistenze (vedi nota 5) da parte dei servizi territoriali. Il Comune dichiara l’impossibilità di poter assumere il pagamento di 70 ore a settimana, la Asl ritiene di non dover  contribuire essendo il servizio di aiuto alla persona di competenza comunale. Così la tanto auspicata domiciliarità sembra trovare insormontabili difficoltà realizzative. A nulla sembra valere la dimostrazione che in questo caso, visto che di soli costi si è parlato, la spesa complessiva si riduce di circa il 40% rispetto a quello dell’inserimento in comunità e che la stessa Asl otterrebbe un cospicuo risparmio  rispetto alla quota precedentemente assunta. Tutto questo senza far riferimento  alla qualità di vita di Sandro. Nonostante tutto, siamo certi che la cosa si sistemerà, talmente grande è l’evidenza che sarebbe difficile per una direzione aziendale giustificare pubblicamente un diniego di tal genere.

Il rientro a casa

Il 3 luglio 2008 si riesce finalmente a rientrare a casa, con un piano terra ristrutturato e assolutamente confortevole e con 70 ore di assistenza (aiuto alla persona) su sette giorni pagato al 50% tra Comune e Asl di residenza. La copertura dell’assistenza viene completata da un’assistente familiare che ha iniziato la collaborazione in ospedale e copre sei notti e tutte le ore scoperte dall’assistenza formale, dalla madre e dagli amici che continueranno a garantire la turnazione domenicale e la regia organizzativa. 

E’ chiaro che si tratta di una gestione complessa nella quale interagiscono molte persone. Una complessità resa ancora più difficoltosa nelle fasi di riacutizzazione dei problemi (infezioni urinarie, catarro, febbre, rigurgiti del cibo, desaturazioni). Di fronte al persistere di queste problematiche una presa in carico medica e soprattutto infermieristica fa la differenza.  Nel mese di agosto,  la difficoltà a far rientrare alcuni problemi clinici ci fa sperimentare l'insufficienza  del servizio di assistenza domiciliare integrata (ADI). La modalità di lavoro in senso  esclusivamente prestazionale ci mette di fronte alla assoluta necessità di poter fruire  di un effettivo servizio di cure domiciliari[7].  Altre sono le esigenze di Sandro, altre sono le esigenze di malati come lui che richiedono una effettiva presa in carico, se si vogliono creare le condizioni per una dignitosa permanenza a domicilio.  Verifichiamo pertanto la possibilità di una presa in carico dal servizio di cure domiciliari dell’Istituto oncologico marchigiano (IOM) presente nella Asl, che offre una copertura su 24 ore (turni  più reperibilità).  Il problema è che il servizio è rivolto esclusivamente ai malati oncologici.  Superiamo la difficoltà attraverso l’autorizzazione all’inserimento da parte della Asl. Si passa dalla prestazione alla presa in carico.

Sono gli ultimi giorni di Sandro che muore a casa, a seguito di un nuovo scompenso, il 10 di ottobre, a 10 mesi esatti dalla prima crisi e dall’ingresso in ospedale[8].


Sandro è stato un grande problema

Sandro è stato un grande segno di contraddizione. Per essere più chiari è stato un grande problema. Un problema che ci si è posto davanti e che non era possibile spostare, mettere da parte. Un enorme problema perché le sue necessità sono state sempre più avanti delle nostre risposte. Sandro ha posto, senza poterlo dire, grandi temi e grandi problemi alle persone e alle istituzioni.

A livello individuale. Ci ha messo ogni giorno in maniera crudele davanti ai nostri limiti, le nostre supponenze, i nostri orgogli, le nostre arroganze; la nostra stupida illusione di avere la risposta e di averla già pronta.

E come molti di noi avranno sperimentato, quando un problema è molto più avanti delle nostre capacità e possibilità, la grande tentazione è quella di non fare entrare tutto questo dentro noi stessi ma quella di non voler vedere, di classificare, di standardizzare, di ridurre o amplificare. Ma tutte le volte che lo abbiamo fatto ci è stato chiaro che non funzionava.

Sandro non ci ha lasciato in pace. Lo ha fatto in maniera implacabile tanto da apparirci crudele, perché quello che ci chiedeva ci appariva sempre troppo, impossibile da corrispondere.

E’ stato capace ogni volta che ci sforzavamo di trovare la risposta di una ulteriore scomodissima domanda. Domande senza parole ma non per questo meno potenti. Domande ancora più forti le ha fatte negli ultimi anni fino agli ultimi giorni. Domande che chiedevano grandi assunzioni di responsabilità.

Una contraddizione dicevo, che se accolta, poneva le condizioni per farci crescere e migliorare. Per renderci più umani. Sento che così bene ci vengono in soccorso le parole di Simon Weil quando ci ricorda: “quando una contraddizione è un vicolo cieco che è assolutamente impossibile aggirare, se non con una menzogna, allora sappiamo che in realtà è una porta. Bisogna fermarsi e bussare, bussare, bussare instancabilmente, in uno spirito di attesa insistente e umile perché l’umiltà è la virtù più essenziale nella ricerca della verità”.

Ma Sandro ha posto grandi domande e grandi richieste alle istituzioni ed ai servizi che le stesse organizzano; si è posto di traverso ed ha posto domande inaggirabili. Ha chiesto anche a loro di crescere e di diventare migliori. Non potevano essere sufficienti standardizzazioni, protocolli, procedure, certificazioni. Crescite faticose, enormemente faticose che per essere tali devono superare grandi resistenze.

Sandro è stato lì fermo come l’uomo lungo la strada di Gerico ed ha chiesto agli individui che passavano di diventare samaritani. lo vide, ebbe compassione, gli si fece vicino, ne ebbe cura, quella stessa cura la chiese all’albergatore. Oggi la richiesta  sarebbe rivolta ai nostri servizi di cura.

Sandro è stato importante perché, come i tanti altri nelle sue stesse condizioni, con la sua vita ha posto domande cruciali, ha posto le condizioni per far crescere individui e società perché per le tante persone che soffrono a causa di crudeli malattie sia meno difficile vivere. La sua è stata una formidabile richiesta di cambiamento e conversione.

Per gran parte della sua vita Sandro ci ha chiesto di non essere trattato solo come un corpo da accudire o curare; ci avvertiva in modo acuto, che così facendo non potevamo comprendere il tutto. Lo ha chiesto fino alla fine a tutti coloro che si occupavano della sua cura; alle persone ma anche alle organizzazioni.

Anche tutto questo ci ha dato Sandro; che possa averci dato, che lui poteva dare, ci rimane difficile da concepire tanto abituati a pensarci noi come donatori e lui come ricevente.

Consapevoli come dobbiamo essere  che Sandro non ha dato perché ha sofferto; ma in questo grande e difficilmente accettabile mistero della sofferenza lui ha dato molto.

Questo è il grazie che gli dobbiamo.

A questo aggiungo il grazie a tutte le persone che hanno lavorato con Lui. Inutile elencarle. I cuori tutto conoscono. Un grazie anche a tutti i professionisti, medici e infermieri, con i quali ci siamo incontrati in questi ultimi giorni; professionisti che hanno capito e forse in questo sono stati aiutati da Sandro  che non si può curare senza aver cura. 

Questo testo è stato letto in occasione del funerale


 

[1] Alla realizzazione di questo testo hanno collaborato:  Alfredo, Antonella, Arnaldo, Cinzia, Gloria, Peppe, Riccardo, Roberto, Sibilla.

[2] Da qui in avanti quando verranno trattati i problemi con e dei servizi si cercherà di essere il più possibile oggettivi e descrittivi. Non è intenzione di questo articolo analizzare gli specifici servizi. Tutti i protagonisti delle vicende che hanno riguardato Sandro conoscono con dettaglio le opinioni e valutazioni in merito. Peraltro è ampia la documentazione cartacea in possesso degli enti coinvolti.

[3] Si tratta di una Comunità socio educativa riabilitativa (CoSER). Per chi volesse approfondire in generale la situazione dei servizi sociosanitari per persone disabili nelle Marche, F. Ragaini, I servizi territoriali per disabili nella programmazione della regione Marche, in “Appunti sulle politiche sociali”, n. 5/2008, p. 20.

[4] L’articolo tiene fede al suo obiettivo dichiarato. Qui si vuole solo accennare che in situazioni limite come queste è la conoscenza della persone il discrimine per la sua accoglienza. Conoscere Sandro significava capirlo anche quando ciò sembrava impossibile; porsi in una situazione di ascolto da parte di chi lo conosceva perfettamente e da lui era così riconosciuto determinava spesso una improvvisa tranquillità. Quante volte questo è stato sperimentato! Quante volte questo ci ha interrogato e fatto capire che più spesso il problema era capire e a nulla portava, la scorciatoia carica di sofferenze, del ricorso all’intervento sanitario per risolvere il problema. Su questo aspetto rimando all’ultima pubblicazione del Gruppo Solidarietà (2008), La cura della vita nella disabilita e nella malattia cronica.

[5] Il ricovero in ospedale determinava, ogni volta, una grande difficoltà di gestione. Ospedale impreparato ad accogliere questo tipo di malati, necessità di copertura dell’assistenza su 24 ore in assenza, sostanzialmente, di supporto familiare.

[6] Con la dimissione, Asl e Comune non avrebbero più pagato  la retta base che continuava ad essere percepita dalla comunità (circa 150 euro) ma avrebbero indirizzato i fondi sul servizio di aiuto alla persona. Sandro sarebbe ritornato in carico ai servizi territoriali con il trasferimento delle 70 ore settimanali dall’ospedale al domicilio. Dunque un risparmio nei costi di assistenza. Formalmente non viene data alcuna risposta, ma è chiaro che cambiando il “regime” (dal residenziale al domiciliare) cambiano i finanziatori. Il servizio di aiuto alla persona nel nostro territorio è completamente a carico dei Comuni, il ricovero in comunità è a compartecipazione tra gli enti (Regione, Asl, Comune). Il risparmio complessivo si traduceva  però in una variazione degli importi tra gli enti  e dunque la nostra richiesta non ebbe esito.

[7] In realtà oltre al servizio formale avevamo attivato anche un servizio informale che però non era in grado di rispondere in  modo adeguato  alle necessità dell’ultimo periodo.

[8] Forse  la riflessione avrebbe potuto approfondire ulteriormente aspetti che riguardano il funzionamento dei  servizi. Come sono e come, anche a seguito di questa esperienza, dovrebbero essere. Spero e mi auguro  che alcune indicazioni riescano ad emergere dal testo. In ogni caso la riflessione è aperta e può, è anzi auspicabile, continuare.


Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali.

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