Data di pubblicazione: 28/01/2023
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Riforme per la non autosufficienza: ma quali?

Maurizio Motta, Già dirigente servizi sociali Comune di Torino

L’articolo pubblicato nel n. 2/2022 (239) di Appunti sulle politiche sociali è precedente allo Schema di DdL delega approvato dal Governo Draghi (10 ottobre 2022) e poi dal governo Meloni (19 gennaio 2023). I temi affrontati mantengono attualità anche dopo l’approvazione del provvedimento. "Questo articolo intende proporre la seguente opinione (e rinviare a materiali che la argomentano): né la legge delega sulla disabilità, né le proposte per quella sugli anziani non autosufficienti paiono in grado di introdurre le riforme che sarebbero necessarie, per almeno tre cruciali ragioni". Gli altri numeri della rivista. Sostienici con l'abbonamento.

In questo fine primavera 2022, anche in base a ciò che è previsto dal PNRR, è approvata una legge delega di riordino sulla disabilità, e per arrivare ad una legge delega sulla non autosufficienza degli anziani sono state presentate proposte sia di gruppi di lavoro ministeriali (come quello presieduto da mons. Paglia, e quello attivato dal ministro Orlando e coordinato da Livia Turco), sia di coalizioni sociali (e la proposta più diffusa in quest’area è quella del Patto per la non autosufficienza [1]).

Non si persegue l’obiettivo più importante

Attualmente del welfare pubblico per la disabilità/non autosufficienza la carenza più rilevante riguarda i sostegni forniti per la tutela negli atti della vita quotidiana (andare a letto e alzarsi, usare i servizi igienici, alimentarsi, vestirsi, e simili). Sono le carenze di questi sostegni che oggi costringono a ricoveri indesiderati in RSA, o ad opporsi alle dimissioni dall’ospedale, o al crollo ed impoverimento delle famiglie. Ed è una situazione che qualunque famiglia assista a casa un non autosufficiente può facilmente confermare.

“La casa come primo luogo di cura”, dice il PNRR; ma “cura” deve significare fornire tutti i sostegni per la tutela a domicilio, e non bisogna dunque usare le nuove risorse solo per “potenziare l’ADI”: non è certo con più ore di infermiere a casa che si fronteggiano quei bisogni di tutela.

Dunque l’obiettivo più importante delle riforme deve essere quello di aumentare di molto l’offerta pubblica nei sostegni tutelari a domicilio, per gestire gli atti della vita quotidiana, che è l’unico riordino che può cercare di ridurre i ricoveri indesiderati od inappropriati in RSA. Ma per fare questo, considerando anche la progressiva crescita della non autosufficienza:

- non è possibile prevedere che al servizio sanitario (SSN) spettino solo gli interventi domiciliari di operatori sanitari, e tutte le tutele per la vita quotidiana spettino o alle famiglie o ai servizi sociali, sebbene potenziando un po’ il SAD (servizio di assistenza domiciliare sociale);

- non ci si può limitare ad evocare una generica “integrazione sociosanitaria” (come purtroppo già fanno i vigenti LEA), ma occorre un più preciso e uniforme meccanismo, con responsabilità precise del SSN.

L’unico modo per ridurre davvero i ricoveri impropri/indesiderati in RSA è introdurre un nuovo (ed uniforme in Italia) sistema delle cure sociosanitario domiciliare, che poggi almeno sui due pilastri seguenti, nessuno dei quali (a parere di chi scrive) è purtroppo sufficientemente previsto nelle proposte di riforma:

1) Fornire un volume molto più consistente di supporti domiciliari, che renda questa assistenza efficace e non solo simbolica, pena l’inutilità dell’intero sistema; 5 ore settimanali di OSS non servono certo ad evitare il ricovero in RSA. E questo obiettivo deve essere governato con due meccanismi:

- prevedendo che il volume di assistenza domiciliare sia connesso ad un budget di cura crescente al crescere della non autosufficienza. E che sia consistente.

- E soprattutto prevedendo un concorso del SSN all’assistenza domiciliare tutelare, disponendo che il SSN immetta nel budget di cura il 50% della spesa, indipendentemente dalle condizioni economiche dell’utente. E non per pagare operatori sanitari, ma per tutti i supporti negli atti della vita quotidiana, più oltre richiamati (vedi punto 2). Vi sono molte ragioni per prevedere questo impegno del SSN, ma qui ne richiamo solo due:

a) Perché già succede: i LEA già prevedono che il costo in RSA sia metà a carico del SSN, e non per coprire le spese sanitarie o di professioni sanitarie ma tutte le prestazioni di tutela della vita quotidiana in RSA (inclusi pasti, pulizie, costo di tutto il personale, utenze). Dunque perché non deve accadere lo stesso nell’assistenza domiciliare prevedendo allo stesso modo che la tutela sia in parte a carico del SSN? Ma entro i LEA, e non con risorse “extra LEA”. Non prevederlo, come accade oggi, implica che per la stessa persona non autosufficiente il SSN di fatto incentiva solo il ricovero, in grave contraddizione con l’obiettivo di potenziare l’assistenza al domicilio

b) Perché il meccanismo per definire le risorse per l’intervento, compresa la contribuzione dell’utente, deve essere identico per l’assistenza domiciliare o l’inserimento in RSA: la scelta tra i due setting di cura deve derivare solo da ragioni di appropriatezza e dai desideri della persona, e non deve essere influenzata da convenienze economiche, né per la famiglia né per le Amministrazioni. 

Insomma la stessa condizione di cronicità deve ricevere dal SSN le stesse garanzie di prestazione, che sia gestita in struttura residenziale o a casa. Continuare a fare il contrario è del tutto irrazionale, oltre che antieconomico per lo stesso SSN. E l’integrazione sociosanitaria non deve essere o una generica retorica, o un mero appaiamento di interventi sanitari e sociali assegnando impropriamente solo ai secondi tutta l’assistenza tutelare al domicilio.

2) Arrivare agli interventi trasformando il budget di cura in assistenza domiciliare tutelare potendo scegliere tra molte modalità di supporto, da concordare con la famiglia per adattarle alla specifica situazione ed al momento di intervento:

- assegni di cura alla famiglia perché assuma con contratto regolare lavoratori di sua fiducia, anche assistenti familiari. Ma anche con il possibile utilizzo di parte dell’assegno (se desiderato dai fruitori) in supporti offerti dal sistema pubblico per reperire i lavoratori e/o per gestire le incombenze del rapporto di lavoro;

- contributi per assistenza svolta da un familiare, se questa è la scelta preferita;

- affidamento a volontari e rimborso di loro spese;

- buoni servizio per ricevere da fornitori appositamente accreditati sia operatori domiciliari (inclusi assistenti familiari) sia pacchetti di altre prestazioni (pasti a domicilio, telesoccorso, ricoveri di sollievo temporanei, piccole manutenzioni nell’abitazione).

Questo meccanismo (messo in opera purtroppo in pochissime esperienze, come ad esempio a Torino dal 2006, anche con l’uso di risorse del SSN) ha molti vantaggi, tra i quali:

- consente di personalizzare l’intervento scegliendo la modalità che è più adatta sia al momento sia al nucleo;

- crea un “mercato amministrato” dei fornitori dei buoni servizio, la cui remunerazione deriva dall’essere scelti dalle famiglie, il che li incentiva a fornire un’ampia gamma di prestazioni;

- consente di inserire entro il sistema delle cure anche il lavoro privato delle assistenti familiari. Perché la famiglia può utilizzare l’assegno di cura per assumere un lavoratore solo se l’assunzione avviene in modo regolare e in base al contratto nazionale. Il che ha anche consentito l’instaurazione di moltissimi rapporti di lavoro regolari e non “in nero” con le badanti.

Quale contenitore normativo?

I riordini da introdurre con le riforme devono diventare “livelli essenziali”, e non restare contenuti di atti di natura diversa da quel rango giuridico. Ma non solo “livelli essenziali dei servizi sociali”, bensì anche dei servizi sanitari, per costruire il sistema che prima si è descritto. Ma perché inserire nei LEP/LEA? Perché:

- Un obiettivo deve essere garantire migliori diritti davvero esigibili (interventi minimi e non solo “un posto in lista d’attesa”), ed è bene che ciò avvenga nella normativa più consistente prevista a questo scopo, per il profilo giuridico che hanno i diritti entro i livelli essenziali;

- Perché è bene che i LEA restino il principale contenitore che regola il SSN, per non frantumare la normativa e per non depotenziare il loro ruolo;

- Perché i livelli essenziali (anche se per ora solo i LEA) sono le uniche prestazioni soggette a verifiche annuali del loro adempimento, dalle quali derivano anche risorse per le Regioni. E gli attuali indicatori di adempimento vanno arricchiti proprio per la non autosufficienza

- Perché sono proprio i LEA sociosanitari vigenti ad essere troppo deboli nel definire sia l’assistenza domiciliare per non autosufficienti, sia l’integrazione sociosanitaria: il dPCM 12/1/2017 n° 15 nel Capo IV (Assistenza sociosanitaria) si limita a prevedere che gli interventi del SSN “…sono integrati da interventi sociali”, il che non spiega nulla.

Non si prevede nulla (o troppo poco) su diversi meccanismi del sistema

A questa critica alle proposte di riforma si potrebbe obiettare che il PNRR prevede di approvare leggi delega, che per loro natura non devono essere troppo dettagliate. Ma è a tutti chiaro il rischio di una legge delega troppo generica, che quindi poi può essere attuata con decreti legislativi delegati che producono sistemi molto differenti. Dunque, pur nei limiti di una legge delega, meriterebbe approvare vincoli di riordino su diversi snodi, visto che ciò che va costruito è “un sistema” di tutele il più possibile interconnesso.

Mi permetto di rinviare ad un articolo pubblicato su www.welforum.it (ed al suo allegato)[2], nel quale ho cercato di esporre una proposta di riforma il più possibile articolata. Lo scopo di quel testo è sia di sviluppare più a fondo i temi prima esposti nei punti A) e B) di questo articolo, sia di evidenziare come una riforma per la non autosufficienza non debba eludere una serie di questioni, ed anzi come debbano essere molti i meccanismi che occorre riordinare, visto che ciò occorre non è “introdurre qualche intervento”, bensì “riordinare in modo organico un intero sistema di offerte e di governance”.

Dunque la proposta allegata a quell’articolo suggerisce anche riordini su temi come i seguenti: l’accesso al sistema delle cure e la valutazione del bisogno (art. 2), il piano di intervento individuale e il budget di cura (art. 3), la contribuzione dei cittadini ai costi degli interventi (art. 4), ricomposizione di sistemi di offerta (art. 5), i servizi semiresidenziali a frequenza diurna (art. 7), i servizi residenziali e forme abitative protette (art. 8), la continuità e la filiera delle cure (art. 9), progetti per la vita indipendente di disabili adulti (art. 10), strutture sanitarie residenziali non ospedaliere           (art. 12), protesi e ausili (art. 13), la medicina generale (art. 14), rappresentanza delle persone non autosufficienti (art. 16), la formazione degli operatori (art. 17), garantire informazioni e trasparenza (art. 18), i sistemi informativi (art. 19), strumenti di governo e monitoraggio del sistema delle cure (art. 20).

Ed anche se i dispositivi specifici di riordino di questi snodi, come è probabile avvenga, fossero rinviati agli atti successivi alle leggi delega, è importante non dimenticarli e mantenere viva l’attenzione.

Vedi anche

Interventi sociali e sociosanitari: organizzazione, modelli, livelli essenziali.

 


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Adempimenti legge 4 agosto 2017, n. 124


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