Autonomia differenziata e servizi sociali territoriali. Rischio harakiri Di Angelo Marano, in eticaeconomia.it. Angelo Marano prende spunto dall’esperienza delle politiche sociali - competenza esclusiva delle Regioni dal 2001 - per riflettere sulla nuova legge sull’autonomia differenziata. L'individuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni nel Sociale (LEPS), sostiene Marano, si è rivelata particolarmente ardua e, in loro assenza, il sistema dei servizi sociali si è sviluppato poco e con forti differenze territoriali. La legge 86 aggiunge nuovi rischi: dal blocco dei decreti di individuazione dei LEPS alla cancellazione dei fondi sociali nazionali. Le politiche sociali costituiscono un importante caso di studio per il federalismo, in quanto ambito devoluto fin dal 2001 alla competenza regionale. Il nuovo art. 117 della Costituzione, ha, infatti, riconosciuto alle regioni potestà legislativa esclusiva in tale campo. Rimane di competenza statale solo l’individuazione dei LEPS, i “livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (LEP) in ambito sociale, mentre al livello territoriale è delegata la fornitura dei servizi. Eppure, tale esempio sembra ignorato dalla legge n. 86/2024 sull’autonomia differenziata e le stesse politiche sociali rischiano di essere vittime della nuova legge. La situazione venutasi a creare ha, infatti, già portato al blocco dell’iter dei decreti di individuazione dei LEPS, previsti dalla legge di bilancio 2022, e sta generando incertezza, a fronte del rischio che vengano cancellati o devoluti i fondi sociali nazionali. La legge n. 86 considera l’individuazione dei LEP quale garanzia contro quelle “discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio” che l’autonomia differenziata potrebbe innescare. Tuttavia, un conto è evocare i LEP, un altro è definirli operativamente e finanziarli. In linea generale, senza LEP l’autorità statale non può vincolare l’utilizzo delle risorse nelle materie devolute; d’altro canto, senza fondi adeguati, è impossibile garantire il raggiungimento dei LEP. Laddove, poi, si adotti un approccio graduale, individuando, nelle materie devolute, LEP solo per alcuni servizi e non per altri, rischiano di crearsi gravi discrasie in uno stesso settore, mentre le regioni potrebbero vedersi costrette a spostare risorse verso le aree LEP, anche a costo di chiudere servizi già avviati. Fin dal 2001 le politiche sociali si sono scontrate con simili criticità, cosa ancor più rilevante in quanto la riforma devolutiva venne ad appena un anno dall’approvazione della legge quadro nazionale sui servizi sociali (la n. 328/2000). La legge n. 328 aveva individuato dei LEPS, ma solo genericamente, come aree che dovevano essere coperte dai servizi sociali territoriali e come servizi da attivare, comunque “nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali”. Rendere operativi questi generici LEPS sarebbe stato compito del Ministero del lavoro, ma la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili e motivi di ordine più politico hanno determinato il congelamento di qualsiasi iniziativa per quasi un quindicennio. In assenza di LEPS operativi il governo non ha, così, potuto vincolare le risorse nazionali disponibili e ciascuna regione è andata per conto proprio. Il risultato è un sistema arretrato e con grandi differenze territoriali. Come indicava il Piano sociale nazionale 2021-2023, occorrerebbe “superare la situazione che vede, nel nostro paese, ancora molti territori con un’organizzazione del servizio sociale aleatoria, accessoria, discontinua e non integrata con le altre politiche pubbliche”. Secondo Eurostat, nel 2022 la spesa sociale locale ha raggiunto in Italia appena lo 0,7% del PIL (meno di 14 miliardi di euro), contro una media europea del 2,4%. Le differenze territoriali sono regolarmente attestate dalle rilevazioni ISTAT, l’ultima delle quali riporta che nel 2021 la spesa sociale pro-capite nei comuni del Nord è stata di 174 euro, contro i 151 del Centro e i 92 del Mezzogiorno, con un minimo di 37 euro in Calabria. Questa caratteristiche del sistema perdurano malgrado, a partire circa dal 2015, si sia sviluppata in ambito sociale una ripresa della fase costruttiva, innescata, fra l’altro, dall’aumento della povertà, dall’invecchiamento della popolazione, da una domanda di servizi personalizzati sempre più strutturata, cui non si poteva più rispondere con prestazioni episodiche, spesso delegate allo spontaneismo delle associazioni caritatevoli. I diversi attori istituzionali hanno condiviso l’esigenza di recuperare una visione unitaria e coordinata e si è rafforzata la collaborazione fra stato, regioni ed autonomie locali, anche attraverso l’istituzione, nel 2017, presso il Ministero del lavoro, della Rete della protezione e dell’inclusione sociale, quale organismo di coordinamento e condivisione dei documenti programmatori e dei provvedimenti di allocazione delle risorse statali destinati al finanziamento dei servizi sociali territoriali. Sono aumentate le risorse a disposizione, prima grazie all’utilizzo, mediante bandi rivolti agli ambiti territoriali, dei fondi europei del Programma Operativo Nazionale (PON) Inclusione, poi grazie al graduale incremento dei fondi sociali nazionali. In tale contesto, si è andato affermando un principio generale di obbligo dei servizi sociali territoriali / diritto del cittadino alla presa in carico individuale, nell’ottica di sperimentare concretamente politiche attive di inclusione, da affiancare ai trasferimenti monetari. Nel 2017 il D.Lgs. n. 147 ha esplicitamente classificato come LEPS iservizi per l’informazione e l’accesso al Reddito di inclusione e la valutazione multidimensionale delle condizioni dei richiedenti. Successivamente, il D.L. n. 4/2019, nell’introdurre il Reddito di cittadinanza, ha specificato che costituiscono LEPS non solo il sostegno monetario in sé, ma anche “il Patto per il lavoro e il Patto per l’inclusione sociale e i sostegni in essi previsti, nonché la valutazione multidimensionale che eventualmente li precede”. La nuova fase è continuata, rafforzandosi, nel 2020-2022, anni nei quali l’introduzione del Reddito di cittadinanza e l’esperienza del COVID hanno richiesto ai servizi sociali territoriali di operare su una scala del tutto diversa rispetto al passato, evidenziato l’urgenza di risolvere le criticità rappresentate dall’arretratezza e dalla disomogeneità territoriale. Dopo un ventennio di programmazione sociale frammentata e finalizzata quasi esclusivamente a definire i criteri di riparto dei fondi sociali nazionali, si è, così, realizzata una nuova programmazione unitaria nazionale, con l’elaborazione del già richiamato Piano sociale nazionale 2021-2023, incentrato sulla messa a sistema di tutte le risorse, nell’ottica di graduale definizione dei LEPS. L’urgenza di avviare a livello nazionale le politiche di presa in carico ha portato a passare, operativamente, da una qualificazione dei LEPS come diritti individuali, azionabili dal singolo, all’individuazione di LEPS infrastrutturali, volti ad assicurare una dimensione minima del sistema e l’attivazione di specifici servizi sociali su tutto il territorio. Come scrive il Piano sociale nazionale, tale processo di strutturalizzazione definirebbe “le basi per il riconoscimento di un vero e proprio diritto individuale alla presa in carico”, incentrato non solo sulla valutazione, ma anche sulla concreta attivazione degli strumenti più idonei al superamento della specifica condizione di bisogno di ciascun individuo o famiglia. Con la legge di bilancio 2021 (n. 178/2020) si è arrivati alla formale definizione di un LEPS nei termini di un rapporto fra assistenti sociali e popolazione minimo di 1:5000 e a stanziare risorse (40mila euro annue per ogni assistente sociale assunto) finalizzate al suo perseguimento nell’ambito del servizio pubblico. Con la legge di bilancio 2022 (n. 234/2021) si è, poi, costruito un passaggio ulteriore, con la definizione delle linee guida per la riforma della non-autosufficienza e dei relativi LEPS e il mandato al governo a definire entro il 30 giugno 2024 i LEPS in tutti gli altri ambiti del sociale, a partire da alcuni servizi prioritari (pronto intervento sociale, supervisione del personale, dimissioni protette, prevenzione dell’allontanamento familiare, residenza fittizia per le persone senza fissa dimora, autonomia delle persone con disabilità). Tale processo costituente trovava linfa, tra l’altro, nell’aumento delle risorse finanziarie a disposizione, alimentato dalla crescita dei fondi sociali nazionali, dal raddoppio (ad oltre 4 miliardi) delle dimensioni del PON inclusione nella programmazione europea 2021-2027 e, non ultimo, dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), nel quale i servizi sociali territoriali entrano con 3 progetti su 7 linee di attività (Componente M5-C2), per un finanziamento totale di 1,5 miliardi. Rilevante è anche il fatto che il modello e gli strumenti di condivisione fra diversi livelli di governo già attivati si siano rivelati vincenti già in fase di programmazione e allocazione delle risorse PNRR, permettendo il coinvolgimento attivo di regioni ed enti locali e di trasformare rapidamente le 7 linee di attività in oltre 1000 progetti operativi a titolarità comunale. Può stupire che il percorso di costruzione del sistema dei servizi sociali descritto appaia, in qualche modo, autonomo dal percorso di attuazione del federalismo innescatosi dopo la riforma del 2001. In effetti, l’elaborazione normativa e applicativa del federalismo (in particolare la legge n. 42/2009) ha a lungo tralasciato l’ambito sociale (con la parziale eccezione degli asili nido), richiamando solo la possibilità, nelle more dell’individuazione e del finanziamento dei LEPS, di definire “obiettivi di servizio”. Solo attorno al 2020 la competente Commissione tecnica per i fabbisogni standard ha iniziato a lavorare su qualche obiettivo di servizio in ambito sociale, ma solo ai fini della distribuzione del Fondo di solidarietà comunale. Il problema è che quando i due processi, quello di costruzione e strutturalizzazione del sistema dei servizi sociali e quello di attuazione del federalismo, iniziano ad interagire, se da un lato si creano sinergie (come per quanto riguarda l’assunzione degli assistenti sociali da parte dei comuni), dall’altro emergono preoccupazioni, da parte soprattutto del Ministero dell’economia, rispetto al processo di strutturalizzazione dei servizi sociali. Esso, infatti, è visto come potenzialmente costoso e ritenuto non del tutto coerente rispetto al modello di federalismo che si immagina di realizzare, fondato su una lettura dell’art. 119 della Costituzione molto rigida, che non ammetterebbe la sopravvivenza di fondi nazionali nelle materie devolute. È così che le politiche sociali rischiano di essere le prime vittime della nuova legge sull’autonomia differenziata. Di fatto, si è persa traccia dei LEPS che dovevano essere individuati entro giugno 2024. Dai verbali della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, che doveva fornire un preventivo parere sui nuovi LEPS, essi risulterebbe fermi dal 27 luglio 2023, in attesa di chiarimenti. Nel frattempo, la legge di bilancio 2023 (n. 197/2022) ha creato la nuova Cabina di regia per la determinazione dei LEP, cui la legge sull’autonomia differenziata assegna il compito di individuare prioritariamente quelli relativi alle materie oggetto di trasferimento di competenze. In tale contesto, l’individuazione dei LEP sociali, per un verso bloccata in Commissione tecnica, per l’altro non considerata rilevante per l’autonomia differenziata, rischia concretamente di essere rinviata sine die. Di più, le politiche sociali rischiano di ricevere un ulteriore colpo laddove la richiamata, rigida, lettura dell’art. 119 della Costituzione portasse alla devoluzione dei fondi sociali nazionali o al loro azzeramento, nell’ambito di una più complessiva ridefinizione del concorso statale al finanziamento delle materie trasferite alle regioni. Ne risulterebbe che ciascuna regione potrebbe gestire in completa autonomia, senza obblighi di rendicontazione o coordinamento, le risorse finora destinate ad assicurare una qualche omogeneità territoriale ai servizi sociali. È, dunque, concreta la possibilità che il percorso intrapreso sull’autonomia differenziata possa portare all’ulteriore indebolimento di quello sforzo di costruzione di un sistema di servizi sociali strutturato, di natura federale all’interno di un quadro di riferimento nazionale, portato avanti negli ultimi anni con la collaborazione di tutti gli attori istituzionali. Per approfondire Autonomia differenziata. La legge 86/2024 con analisi e commenti La legge di Bilancio 2024 (L. 213/2023). Testo, analisi e commenti La legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022). Testo, analisi, commenti La legge di Bilancio 2022 (L. 234/2021). Testo, analisi e commenti Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali. La gran parte del lavoro per realizzare questo sito è fatto da volontari, ma non tutto. Se lo apprezzi e ti è anche utile PUOI SOSTENERLO IN MOLTO MODI.