Data di pubblicazione: 04/05/2025
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Un lavoro non basta. Evidenze dai dati fiscali sull’occupazione «a basso reddito»

Alessandro Serini, Gianfranco Zucca. IREF – Istituto di Ricerche Educative e Formative. (info.iref@acli.it). Nota statistica su dati dell’Osservatorio nazionale sui redditi di Caf Acli e Acli aps. Roma – 29 aprile 2025

Questo report si propone di esplorare alcune delle principali disuguaglianze sociali ed economiche che caratterizzano la realtà italiana. In particolare, affronteremo il tema del lavoro a bassa retribuzione, un fenomeno che coinvolge un numero crescente di occupati e che evidenzia le difficoltà economiche di molti cittadini. Esamineremo poi alcune disparità nell'accesso alle prestazioni sanitarie, desumibili indirettamente dalle spese sanitarie portate in detrazione nel mod 730. Analizzeremo inoltre dinamiche di reddito riguardanti la situazione delle aree interne, spesso marginalizzate dal punto di vista demografico ed economico. Tratteremo anche le persistenti disuguaglianze di reddito tra uomini e donne, gap che continuano a rappresentare una sfida importante per l’equità sociale. Il report si basa sui dati forniti dal Caf Acli, avendo cura di integrare la cornice interpretativa con informazioni ricavate da dati ISTAT, al fine di offrire un quadro chiaro e comprensivo del lavoro a basso reddito in Italia. Vedi nel sito delle  ACLI.

Vedi anche la sintesi su pressenza.com. "Una ricerca inedita dell’IREF, l’Istituto di ricerca delle Acli, realizzata grazie ai dati di circa 800 mila dichiarazioni anonime dei redditi fornite dal Caf Acli, mette in luce ancora una volta come la diseguaglianza retributiva e i lavori a basso reddito siano due fenomeni strettamente correlati, che hanno visto un trend di crescita negli ultimi 15 anni. I dati raccolti, rigorosamente anonimi, che riguardano 785.466 contribuenti che si sono rivolti al Caf Acli per la compilazione e la consegna del modello 730 del 2024, evidenziano che quasi il 90% ha un lavoro continuo, cioè almeno 9 mesi di lavoro nell’anno dichiarato e ci raccontano di un Paese dove l’uguaglianza salariale di genere è ancora molto lontana: le donne con lavoro a basso reddito sono il 54% in più rispetto agli uomini. Le diseguagliane, oltre che di genere, sono anche tra generazioni: gli under30 con un lavoro povero sono il 70% in più rispetto agli under50. E il divario tra Nord e Sud purtroppo permane anche a livello di salario: la probabilità di firmare un contratto a bassa retribuzione in Basilicata è tre volte più probabile che firmarlo in Lombardia. Questa differenza può diventare ancora più significativa se da un polo urbano si va verso le aree interne.

Un altro dato significativo riguarda i single: la percentuale di occupati a basso reddito è del 11,3%, quasi doppia rispetto ai coniugati (6,5%). Su questo gruppo pesa l’impossibilità di compensare la condizione individuale con le forme di solidarietà economica tra partner. Ovviamente la condizione dei single è connotata in termini generazionali. Ma il lavoro a bassa retribuzione, come si diceva, è soprattutto una questione meridionale: sono soprattutto le regioni del Sud a mostrare una quota di lavoratori che percepiscono retribuzioni sotto la soglia dei 726 euro al mese. Nella Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI), le “aree Interne” sono territori caratterizzati da una significativa distanza dai Poli, intesi come centri di offerta di servizi essenziali (salute, istruzione, mobilità). Questi territori sono caratterizzati da declino demografico e scarso sviluppo socio-economico. Risulta quindi probante verificare la consistenza del lavoro a basso reddito in queste zone. Ci sono circa 4.000 € di differenza tra i redditi medi da lavoro nell’Italia dei “poli”, ossia nei comuni che hanno una dotazione di servizi essenziali tale da attrarre i flussi di popolazione dalle altre aree, e i comuni interni, l’Italia dei paesi dalla quale occorre spostarsi per avere accesso a salute, educazione e mobilità. Occupazione remunerative e buoni servizi vanno, dunque, di pari passo. “L’interazione tra territorio e penalizzazioni retributive delle donne, si legge nel Report, origina una differenza di 14.000 € di reddito medio tra una lavoratrice che risiede nell’Italia “interna” e un lavoratore che vive nell’Italia “dei poli”. Per una lavoratrice donna spostarsi da un paese in città produce un guadagno di salario medio di circa 3.500 euro, pur non annullando il differenziale con i lavoratori di sesso maschile. La combinazione di territorio e genere è la disuguaglianza maggiore nei redditi da lavoro registrati nella base dati Caf Acli”.

Ma quali sono le conseguenze del lavoro “a basso reddito”? E’ il contingentamento della spesa per la salute la conseguenza più grave. L’accesso alle detrazioni sanitarie rappresenta un altro importante indicatore delle disuguaglianze economiche e sociali. Secondo l’Osservatorio dei conti pubblici italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, i contribuenti con redditi più bassi (fino a 15.000 € annui) costituiscono il 44% del totale, ma beneficiano solo dell’11% delle detrazioni sanitarie complessive, con una media di 196 € di spese sostenute per dichiarazione. Al contrario, i contribuenti con redditi più alti (oltre 120.000 € annui) usufruiscono dell’85% delle detrazioni totali. Inoltre, solo il 20% dei contribuenti con redditi fino a 15.000 € usufruisce delle detrazioni, rispetto all’85% dei contribuenti con redditi superiori a 120.000 €.

Questo squilibrio, sottolinea l’IREF, riflette non solo la disparità economica, ma anche un accesso problematico ai benefici fiscali legati alla salute. Una divaricazione simile si riscontra considerando i dati messi a disposizione da Caf Acli. I lavoratori del 1° quintile di reddito portano, in media 749 € in dichiarazione dei redditi per spese sanitarie; i lavoratori più ricchi (5° quintile) quasi il doppio, 1.369 €. L’andamento del grafico mostra in modo evidente come, tra i lavoratori dipendenti, la capacità di portare in detrazione le spese sanitarie sia legata al reddito disponibile; tuttavia, la salute non è un costo “elastico”, ossia dipendente dalle risorse del consumatore, ma una spesa che secondo i casi della vita riguarda in maniera indistinta tanto i lavoratori a basso reddito quanto quelli con retribuzioni più alte. A queste differenze, si aggiungono poi i consueti fattori territoriali. Nel volume di spese sanitarie portate in detrazione dai lavoratori che hanno presentato il Mod. 730 al Caf Acli, si osserva una proporzione di 1,5 a 1 tra Lombardia (1.134 € di spesa media portata in detrazione al 19%) e Basilicata (809 €)”.

In conclusione, la ricerca dell’IREF mette in evidenza come la povertà lavorativa non sia un fenomeno isolato, ma interconnesso con questioni generazionali, di genere e territoriali: le donne e i giovani sono i più vulnerabili per i redditi che riescono a ottenere nel mercato del lavoro, mentre le aree interne soffrono di un progressivo abbandono e di una crescente difficoltà a trattenere i giovani talenti. Per contrastare efficacemente le disuguaglianze e migliorare le condizioni di vita di milioni di italiani, occorrerebbero – è l’auspicio dei ricercatori dell’IREF – misure mirate sul reddito, sulle opportunità lavorative, sull’accesso ai servizi e sulla valorizzazione del capitale umano."

Vedi anche

Istat. La povertà in Italia. Rapporto 2023

Caritas Italiana. “La povertà in Italia”. Report statistico nazionale 2024 

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