Il nuovo decreto flussi. Servono persone, ma anche numeri (chiari) Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 30 giugno 2025, ha varato in via preliminare il nuovo Decreto Flussi per il triennio 2026–2028, che stabilisce il numero di lavoratori non UE che potranno entrare regolarmente in Italia per motivi di lavoro. Rispetto al decreto precedente la cifra complessiva salirà a quasi 500.000 posti (precisamente 497.550), circa 50.000 in più rispetto al triennio precedente. Gli ingressi autorizzati sono suddivisi in questo modo: a) 230.550 posti per lavoro non stagionale e autonomo (ad esempio, nei settori dell’assistenza, dell’edilizia o dei servizi); b) 267.000 posti per lavoro stagionale, in particolare nei settori agricolo e turistico. Appare opportuno fare prima di tutto una valutazione generale sulle cifre previste dal Decreto Flussi 2026-2028, tenendo conto del potenziale fabbisogno di lavoratori provenienti dall’estero per il triennio di programmazione. Quasi 500.000 posti complessivi non sembrano pochi, ma si ridimensionano notevolmente se escludiamo dal computo i quasi 270.000 lavori stagionali, che potrebbero, in un’ipotesi limite, essere gli stessi posti destinati agli stessi migranti che tornano di anno in anno. In ogni caso, si tratterebbe di una questione di turn-over. Ci dobbiamo quindi chiedere se da un punto di vista demografico è sufficiente prevedere annualmente l’arrivo di 76.850 lavoratori provenienti dai paesi non appartenenti all’UE nel triennio 2026-2028?. Per provare a rispondere a questa domanda si può fare ricorso alle proiezioni Eurostat della popolazione residente in Italia nell’ipotesi di saldi migratori nulli. Le proiezioni considerate non tengono conto di quanto effettivamente successo nel biennio 2023-2024, ma questo dovrebbe incidere poco sulla riflessione che si intende qui proporre. Secondo le stime Eurostat tra l’inizio del 2026 e l’inizio del 2029 la popolazione residente dovrebbe ridursi di oltre 910.000 persone, all’incirca 300.000 residenti in meno all’anno con cifre crescenti nel tempo (tab. 1). Gli under 20 diminuirebbero di quasi 620.000 unità, mentre gli over 65 aumenterebbero nel triennio di oltre 750.000 persone, con il conseguente ulteriore invecchiamento della popolazione. La fascia di età lavorativa (20-64 anni) subirebbe quindi una perdita di circa 1.050.000 individui, di cui 330.000 nel 2026, meno di 350.000 nel 2027 e quasi 375.000 nel 2028. Supponendo che i tassi di occupazione distinti per sesso e classi quinquennali di età rimangano costati ai livelli medi del 2024, è possibile valutare la diminuzione nel prossimo triennio del numero di lavoratori di 20-64 anni per effetto delle tendenze demografiche in atto. Appare evidente che si tratta di un puro esercizio, capace però di dare indicazioni di massima sulla potenziale necessità del mercato del lavoro e sulla corrispondenza tra il probabile fabbisogno esterno di lavoratori e la programmazione dei flussi per lavoro. Secondo quanto supposto, il numero di occupati si ridurrebbe nel periodo 2026-2028 di circa 835.000 unità, con una diminuzione di circa 270.000 nel primo, meno di 280.000 nel secondo e quasi 290.000 occupati nel terzo anno. La perdita più consistente riguarderebbe la fascia d’età centrale, seguita da quella meno giovane e quindi da quella più giovane (tab. 1). Continua a leggere nel sito di neodemos. Vedi anche Nel decreto flussi numeri ambiziosi e problemi irrisolti ERO STRANIERO. Controcanto sul decreto flussi: la nostra lettura dei dati LA RICHIESTA DI SOSTEGNO del Gruppo Solidarietà Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali. La gran parte del lavoro del Gruppo è realizzato da volontari, ma non tutto. Se questo lavoro ti è utile PUOI SOSTENERLO CON UNA DONAZIONE e CON IL 5 x 1000.
Verso la seconda programmazione triennale dei flussi per lavoro
Senza dubbio si tratta di un buon segnale, quantomeno di continuità nella programmazione dei flussi regolari per lavoro. Probabilmente è ormai evidente a tutte le parti politiche quanto da anni evidenziato da diversi studiosi, e in particolare dai demografi, sulla necessità di adeguati flussi migratori dall’estero per provare ad agire positivamente sull’evoluzione demografica in atto.
Le quote dovrebbero essere state definite tenendo conto dei dati statistici raccolti negli anni passati e delle richieste avanzate dalle imprese e dalle associazioni di categoria. Al momento però è molto difficile capire attraverso i dati diffusi ufficialmente cosa sia realmente avvenuto attraverso i decreti flussi precedenti. Nell’era del “data deluge”, i numeri che possono consentire qualche valutazione sono pochi, spesso contraddittori, nonché di complessa interpretazione. Sembra inoltre necessario richiamare l’attenzione non solo sulle necessità immediate del mercato del lavoro, ma anche sull’evoluzione demografica a brevissimo e breve termine.Un fabbisogno di lavoratori innegabile e fortemente sottovalutato




