Francesca Moccia ricordando Giuseppe Cotturri riflette sul potere diffuso della cittadinanza attiva, che ha assunto un ruolo politico trainante nella rivitalizzazione delle democrazie, sebbene ciò non sia ancora riconosciuto e risulti in pieno conflitto con gli altri poteri. La cittadinanza attiva, sostiene Moccia, fonda le sue radici su una cultura della solidarietà e del dono, che ricostruisce legami sociali, alimenta la convivenza civile e si prende cura dei bisogni umani con una ragionevolezza superiore rispetto al potere costituito. In, eticaeconomia.it.
Nella spasmodica ricerca di parole e concetti da tenere ostinatamente a mente e non dimenticare per onorare al meglio la vita e gli studi di Giuseppe Cotturri – giurista, sociologo del diritto e fondatore di Cittadinanzattiva, dolorosamente mancato lo scorso 24 luglio – mi sono imbattuta in un capitolo di un suo saggio del 1998 dedicato alla cittadinanza attiva la cui citazione, che riporto, mi ha lasciata sgomenta: “Si può imporre un dovere, non si può imporre l’obbligo di donare. La cittadinanza attiva è un dono” (G. Cotturri, La cittadinanza attiva. Democrazia e riforma della politica, Fondazione italiana per il volontariato, 1998, p. 28).
In questi anni di impegno in una organizzazione che fa della cittadinanza attiva una missione, una pratica e un orizzonte a cui tendere, non ho mai pensato al dono come fondamento dell’azione civica, ma ne ho percepito solo la doverosità dell’impegno, il dover fare per colmare il vuoto di riconoscimento di diritti o il dover essere per testimoniare una idea di mondo migliore in cui poter vivere.
Invece Cotturri sosteneva che la cittadinanza attiva è “un regalo che molti fanno del loro tempo, delle loro migliori energie, affinché la vita comune migliori. Con un dono, infatti, spesso si ottiene molto di più di quello che è possibile avere con un comando o con il potere del denaro”. Spiegava che il dono lega i suoi beneficiari con una logica più penetrante e più avvolgente in cui il vincolo è rappresentato da un obbligo morale di corrispondere alle attese, di comportarsi con eguale cura verso coloro che ci hanno beneficiato.
Che cosa accade quando invece ci muoviamo per un comando? Accade – afferma – che chi emana un comando diffonde, anche senza volerlo, un clima disoggezione, di freddezza nei rapporti interpersonali, di distanza e di scarsa simpatia tra chi comanda e chi deve obbedire. Analogamente avviene nei rapporti commerciali, nei quali freddezza e indifferenza personale ne sono le caratteristiche e che sottendono la logica di chi, avendo pagato, non ha alcuna ragione per sentirsi legato a un altro, potendo disinteressarsi di quel che gli capita dopo aver pagato il giusto prezzo.
Che cosa avviene invece se intrecciamo con gli altri un rapporto di simpatia? “Se ho intrecciato con altri un rapporto di simpatia – spiega – se ho scambiato doni, mi attendo aiuto in momenti di bisogno, conto sul rispetto delle mie ragioni, credo normale darsi notizie reciproche, tenersi in contatto. Il costume del donare aumenta la coesione sociale. La cittadinanza attiva col dono delle sue attività crea solidarietà”.
In questi anni nel percorso accidentato del riconoscimento di diritti o della mancata protezione abbiamo cercato spesso strade nuove per aprire un dialogo, per costruire o ri-costruire relazioni sfilacciate fuori e dentro il mondo della cittadinanza attiva, abbiamo cercato di facilitare rapporti senza sempre riuscirci, ed era la chiave giusta: “La cittadinanza attiva è in questo senso una manifestazione di amicizia. Non è amicizia in atto: l’amicizia, come ogni altro sentimento umano, ha bisogno d’un oggetto concreto per esistere. La cittadinanza attiva è manifestazione di una attitudine a creare rapporti sociali basati su sentimenti amichevoli. Una offerta in pubblico di disponibilità. Che altri potranno liberamente cogliere”. In altre parole è come se essa contribuisse a creare un clima favorevole a questo tipo di relazioni, dando qualità a un ambiente e rendendo possibile che altri desiderino vivere in un ambiente di questo tipo.
Si tratta dunque, quando parliamo di cittadinanza attiva, prima di tutto di una cultura della convivenza civile che sprona a “successivi e incessanti miglioramenti”, che ha le caratteristiche di atto libero e di spirito di gratuità con pluralità di forme e attività diverse di gruppi, associazioni, movimenti, riconducibili a una comune ispirazione: estendere pratiche libere di partecipazione dei singoli alla vita pubblica, alla costituzione di qualcosa che può essere inteso come “bene comune”.
E allora si spiega come mai essa abbia dimostrato nel tempo una “ragionevolezza superiore a quella che le forze politiche al governo in Occidente manifestano (…), contenuta in tutte quelle libere espressioni di autonomia sociale che da mezzo secolo si prendono cura diretta di bisogni umani”. I bisogni trascurati dalle istituzioni capitalistiche ripresi in cura da gruppi auto-organizzati che ricostruiscono legami tra strati diversi delle popolazioni e le presenze di questa ragionevole autotutela riorientano la politica degli Stati a interessi generali, cioè a qualcosa che quelle classi dirigenti non sanno più concepire (G. Cotturri, Io ci sono. Gli attori del civismo e della solidarietà: mutazioni molecolari e processi costituenti, Edizioni La meridiana, 2024, p.13 e ss.).
In altre parole, “alla demenza dei governanti, alla cecità dei detentori di immense ricchezze si contrappone solo il tenace, oscuro e ragionevoleoperare di persone comuni, per la tutela non solo dell’ambiente e della vita del sapiens, ma di tutte le forme di vita vegetale e animale” (ibidem, p.14). Che ci sia molta politica in queste attività diffuse di autotutela dell’umanità sembra difficile negare, anche se “le culture dominanti parlano di queste nuove forme solo in termini di ‘sociale’ proprio per negare che esse siano nuova modalità di una politica efficace di forze diffuse” (ibidem, p.15).
Cosa ne pensano gli studiosi? In questi anni, scrive Cotturri, si è accumulata molta letteratura su volontariato, movimenti di cittadinanza attiva e terzo settore anche nel nostro Paese secondo due tendenze: “quella della formazione di un pensiero sul nuovo civismo e quella della formazione di un pensiero del nuovo civismo”. Nel primo caso si intende dare un’interpretazione del fenomeno civico (oggetto di riflessione) per intervenire nell’indirizzo di esso, nel secondo caso, il nuovo civismo tenta di darsi una identità e di attribuirsi una capacità di trasformazione sociale (soggetto di riflessione).
In realtà – afferma Cotturri – è in atto un esteso conflitto tra il già costituito e il non ancora riconosciuto dai poteri per la definizione della sfera pubblica (…). “Un conflitto radicale è da tempo in corso per una diversa costituzione del mondo e nell’Occidente questa è una contraddizione assai rilevante: le varie forme di associazionismo di ispirazione e vocazione umanitaria e solidale sono parte decisiva di questo processo di cambiamento generale. (…) La storia del volontariato e del non profit italiano può essere così inquadrata in una storia dell’Occidente nell’ultimo mezzo secolo” e come parte di un grande conflitto globale in corso.
Una voce di questo conflitto non è forse il grido di pace non (ancora) raccolto da chi ha il potere di fare la guerra? una voce costituzionalmente rilevante e sovrana, come solo il popolo può essere in una democrazia?
Ecco perché il suo ultimo libro ci richiama a una responsabilità collettiva, quella di riconoscere “un terreno di lotta” in cui gli attori del civismo e della solidarietà possano assumere sempre più un ruolo trainante nella rivitalizzazione della democrazia in Italia e in Europa e possano prendere “iniziative per lo sviluppo del sistema politico nel suo complesso secondo il disegno progressivodella Costituzione”. In primis per perseguire l’uguaglianza e rimuovere gli ostacolial pieno sviluppo della persona umana.
In particolare, scriveva molti anni prima, la politica della cittadinanza deve battersi su un doppio fronte: “quello che la contrappone ai tradizionali professionisti della politica, che mirano a conservare per sé i maggiori spazi e compiti di decisione pubblica, e quello che la contrappone all’oligopolio delle comunicazioni, in cui pure si annida una volontà di tenere in mani ristrette il potere di indirizzo sociale”. Infatti quando Cotturri auspica una riforma della politica, si riferisce proprio alle trasformazioni che in entrambe queste sfere – professionisti della politica e oligopolio delle comunicazioni – si devono attuare (G. Cotturri, La cittadinanza attiva cit., p. 71).
Dunque, bisogna prendere atto che “non più solo attraverso i partiti i cittadini fanno la loro politica” ma che esiste una“politica diffusa” (ibidem p. 65). Da una parte tale presenza “riduce l’ambito della delega di potere a corpi di funzionari e politici di professione” e dall’altra anche la “politica delegata a soggetti eletti è chiamata a una sfida di validità ed efficacia”, innescando così un processo virtuoso in cui la politica nel suo complesso tornerebbe ad assumere “significati alti”.
La posta in gioco è alta: dar corso alla diffusione, finora sconosciuta, del principio democratico e cioè della volontà che a decidere dei propri destini siano sempre più tutti i cittadini.
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