Ballare sotto la pioggia. Famiglie, separazioni, rinascite. Considerazioni sulla giustizia minorile, riforme attuate e su quelle rinviate di Cristina Maggia, già presidente del Tribunale per i minorenni di Brescia. In Questione Giustizia. Prendendo le mosse dalle personali esperienze professionali dell’autrice l’articolo da un lato recensisce il libro di Grazia Ofelia Cesaro (ed. Feltrinelli), avvocata notissima nel mondo del diritto di famiglia e minorile per la sua grande competenza e professionalità, dall’altro considera i risultati non certo positivi per il settore minorile della recente riforma processuale civile (la c.d. riforma Cartabia civile, di cui alla legge delega n.206/2021, attuata con D. Leg.vo 149/2022, modificata dal D. Leg.vo 164/2024) e le prospettive di futuro di una riforma ordinamentale dalla impossibile concreta attuazione. 1. Una breve premessa personale e di contesto Dopo quarantaquattro anni di attività in uffici giudiziari del Nord Italia da poco meno di due mesi sono in pensione e, come a tanti colleghi nella stessa situazione, non mi sembra possibile. In questi lunghi anni sono stata giudice del dibattimento, giudice istruttore penale, quindi GIP, dal 1993 giudice presso un tribunale per i minorenni, poi sostituto procuratore per i minorenni -allora era consentito il ripetuto passaggio da giudicante a requirente e viceversa e ne ho potuto ricavare un significativo arricchimento culturale - quindi procuratore della repubblica presso lo stesso ufficio minorile e infine presidente di un tribunale per i minorenni, ovviamente di un differente distretto. Ho sempre profondamente amato il mio lavoro, ma nessuna funzione mai quanto quella di magistrato minorile sia giudicante che requirente, attività da cui mi sono separata con vero dolore. La passione, che non solo io ma molti colleghi minorili provano per questa attività, è certamente legata alla concreta possibilità di incidere positivamente, sia nella materia civile che penale, sulle vite dei soggetti di minore età della cui tutela e recupero siamo chiamati ad occuparci in virtù dei principi espressi dagli articoli 30 e 31 della nostra Costituzione, ma anche alla possibilità di restituire speranza, con interventi adeguatamente valutati, alle molte famiglie complicate che compaiono avanti alla autorità giudiziaria minorile. Attraverso il nostro lavoro, senza pretese o illusioni di onnipotenza, siamo chiamati necessariamente e quotidianamente a confrontarci con problematiche sociali in continuo mutamento, con fasi evolutive od involutive della società, con le sempre mutevoli tipologie di famiglie, con le diverse realtà geografiche e materiali esistenti nelle varie regioni d’Italia, con il multiforme mondo dei servizi sociali e sanitari e con i differenti sistemi organizzativi dei servizi stessi, tutti elementi che inevitabilmente condizionano il nostro operare, impedendo nei fatti quella omogeneità di risultati fra tribunale e tribunale minorile, tanto desiderata e perseguita da una parte dell’avvocatura e da certi legislatori quanto impossibile da raggiungere nella concretezza dei fatti. E’ stato un lavoro pieno di vita e di futuro, che, a mio parere, ogni magistrato dovrebbe svolgere obbligatoriamente almeno per un poco, per calarsi, come persona prima che come giudice, nel mondo degli umani più fragili e in difficoltà e dare spazio ai principi di umanità che devono ispirare ogni decisione, aspetti troppo spesso compressi e negati da regole e procedure non sempre dotate di senso. 2. Ballare sotto la pioggia di Grazia Ofelia Cesaro Chi ha avuto la pazienza di leggere sino qui si chiederà cosa abbia a che fare tutto ciò con il libro fresco di stampa di una illustre avvocata, esperta nel diritto di famiglia e minorile come Grazia Ofelia Cesaro. E si chiederà quale possa essere il collegamento fra la premessa autobiografica personale, il contenuto del libro - che racconta la dolorosa vicenda familiare dell’autrice, sviluppatasi negli anni '70 e '80 del secolo scorso- e le recenti riforme, di cui è stata già attuata quella processuale, mentre è ancora una volta in stand by quella ordinamentale. Provo quindi a darne spiegazione. Avuta notizia dell’uscita del libro proprio nei primi giorni della mia quiescenza, subito non ho provato attrazione per argomenti che erano stati il mio pane quotidiano per oltre trentatré anni. Ho pensato si trattasse di un volume dal contenuto tecnico-giuridico, non mi interessava, sentivo il desiderio di voltare pagina. Poi me lo sono trovato davanti in una piccola libreria di un luogo di villeggiatura e non ho potuto fare a meno di acquistarlo. Inaspettatamente fin dalle prime pagine sono stata catturata e travolta dalla vicenda descritta in quei capitoli. Li ho letteralmente divorati, provando emozioni forti, commozione, empatia verso l’autrice che, in modo assolutamente autentico e del tutto esente da autocompiacimento, ha raccontato la storia dell’infanzia sua e dei suoi due fratelli minori, cresciuti in una famiglia come quelle che di solito chiamiamo “disfunzionali “. L’autrice, con una lucidità e una onestà di pensiero non comuni, certamente frutto di un lungo, doloroso e impegnativo cammino introspettivo, ripercorre le tappe della sua vicenda familiare, anche le più crude. Descrive la brutale interruzione della vita familiare dorata trascorsa nei primi anni della loro esistenza, tanto più brutale perché accaduta senza spiegazioni né preparazione alcuna, il cambiamento drastico di abitudini, la conseguente assenza di comodità e di sicurezza economica, la feroce conflittualità fra i genitori, il costante coinvolgimento dei figli nella loro personale guerra senza esclusione di colpi. I tre fratelli sperimentano la sparizione del padre e la scarsa protezione da parte di una mamma certamente affettuosa ma impulsiva e centrata sulla propria delusione di moglie, pervasa di un rancore insuperabile nei confronti dell’ex coniuge, priva essa stessa di validi riferimenti e sostegni. In questa situazione, in ragione del profondo affetto e della dipendenza psicologica dalla madre, appare ineluttabile per i figli schierarsi acriticamente al suo fianco, rinnegando il padre anche solo per poter emotivamente sopravvivere. La durezza di alcuni passaggi del racconto, le dolorose condizioni esistenziali lungamente attraversate dai tre fratelli, non possono che generare nel lettore grande ammirazione per la raggiunta capacità dell’autrice di elaborare il dolore e non farsene condizionare. Noi che abbiamo conosciuto Grazia Ofelia Cesaro nella vita lavorativa come una persona assolutamente equilibrata, razionale, esente da identificazioni ben possibili nello svolgimento del suo delicato lavoro di avvocato di famiglia e curatore speciale di minori disperati, come forse era stata lei stessa ragazzina, non conoscevamo quel dolore. La storia non può non colpire al cuore qualsiasi lettore dotato di empatia, ma ciò che il libro riesce a trasmettere in modo particolare, nell’enormità di ansie, timori, preoccupazioni in cui vivono quotidianamente i tre ragazzi, è la fiducia generata in loro dai presidi che lo Stato pone a tutela dell’infanzia, la scuola, i servizi sociali e l’autorità giudiziaria minorile con cui ad un certo punto entrano in contatto. Autorità giudiziaria minorile incarnata, più specificamente, nella sua componente onoraria, oggi tanto vituperata e nei fatti purtroppo già esageratamente marginalizzata. La giovane protagonista chiede di poter parlare con qualcuno del tribunale, e un giudice onorario si rende disponibile (altri tempi, altre procedure). Vive così l’esperienza di un vero ascolto del dolore suo e dei suoi fratelli da parte di un giudice onorario che si rivela saggio, competente, capace di mostrare la necessaria umanità e comprensione restituendo speranza in chi ne era rimasto del tutto privo. I sentimenti di timore e diffidenza dei tre ragazzi, di cui una ancora minorenne e due appena maggiorenni, sopravvissuti in solitudine ad esperienze terribili, trovano inaspettata accoglienza nell’approccio sereno e disponibile del giudice onorario “dai capelli rossi”, in grado di alleggerirne il carico emotivo. L’autrice evidenzia la capacità del giudice onorario di offrire un ascolto totalizzante e dedicato per il tempo necessario al racconto, ne descrive la delicatezza e sensibilità. Infine narra -e così descrive- la conseguente grande competenza e libertà di pensiero del giudice togato, presidente del collegio, nell’uscire da schemi valutativi abituali operando una scelta “rivoluzionaria” secondo l’opinione dei più, ma assolutamente funzionale al vero benessere dei tre figli, accompagnando al contempo la propria non banale decisione con parole profondamente illuminanti. Probabilmente le mie considerazioni possono suonare criptiche o di difficile comprensione, ma non vorrei mai rivelare troppo del libro a coloro che poi dovessero leggerlo, per non rovinare la suspense connessa allo sviluppo incalzante della vicenda. Come si evince da quanto scrivo la lettura di questo libro ha suscitato in me sentimenti di gratitudine e sincera ammirazione nei confronti dell’avvocata Grazia Cesaro, che conoscevo come una esperta giurista, sicura di sé, legale di grande successo e ampia competenza, che ha saputo qui mettersi letteralmente a nudo con una onestà davvero apprezzabile. Nel racconto della sua storia ha saputo restituire il senso profondo della attività di protezione dei minori da sempre perseguita dai tribunali minorili, in tutte le sue componenti, togate ed onorarie, tutte assolutamente necessarie e non rinunziabili. E’ noto purtroppo come negli ultimi anni la componente onoraria sia stata molto ingiustamente contestata e avversata da una parte dell’avvocatura, avvezza ad usare soltanto il linguaggio degli adulti, il linguaggio gelido delle regole processuali, dei diritti consacrati da norme che spesso nulla hanno a che spartire con la vita vera, con le emozioni più autentiche degli individui, maggiori o minori d’età che siano, in difficoltà ad affrontare le parti emotive che in questo comparto della giustizia occorre invece ben conoscere, padroneggiare e dalle quali certamente non è possibile rifuggire. Il rischio che si vada sempre più affermando una gestione del procedimento minorile o familiare tesa a raggiungere soluzioni rapide e solo formalmente ineccepibili, che tuttavia non raggiungono l’obiettivo di restituire a quel bambino, al centro del nostro interesse primario, il benessere emotivo di cui ha assoluto bisogno per crescere, è da ultimo elevatissimo e temo poco considerato anche da ampie parti della magistratura ordinaria. Negli uffici minorili, come ha così ben descritto Grazia Ofelia Cesaro, la capacità di andare oltre gli schemi e le formule stereotipate, e di raggiungere quel superiore interesse cui il minore ha diritto, è garantita dalla costante “contaminazione” della componente togata -di formazione solo giuridica- da parte della componente onoraria, esperta nelle scienze umane, della quale inspiegabilmente l’avvocatura meno illuminata chiede pervicacemente l’esclusione o quantomeno la riduzione a ruolo di ausiliari in luogo di quello di giudici. Con il suo appassionante lavoro Grazia Ofelia Cesaro ha squarciato il velo dell’ipocrisia, raccontando dal suo punto di osservazione di giovane destinataria -insieme ai suoi fratelli- di scelte fondamentali, come ci si deve approcciare ai soggetti maggiormente vulnerabili. Credo che lo spirito del libro sia anche quello di ricordare come, nell’affrontare professionalmente le vicende umane delle famiglie e dei minori che in esse, più o meno dolorosamente, crescono, da parte di ogni operatore sarebbe auspicabile attraverso l’esame della propria storia individuale e dei propri codici affettivi e cognitivi, comprendere e quindi evitare le interferenze emotive, le sovrapposizioni, le possibili identificazioni inconsapevoli. Mi sento perciò di affermare che la lettura di questo libro dovrebbe essere materia da trattare alla scuola superiore della magistratura da parte di tutti coloro che si occupano di minori e famiglia, che dovrebbe essere letto da ogni operatore che a diverso titolo si occupi di queste tematiche, dal momento che offre finalmente un insolito punto di vista “dal basso”, dalla parte di chi deve trovare protezione e tutela nel nostro operare. 3. Che dire quindi delle riforme? Partendo dal bel libro dell’avvocata Cesaro mi permetto di esprimere, da “giudice minorile per sempre” ancorché non più in servizio, una intima soddisfazione per il nuovo rinvio dell’entrata in vigore della riforma ordinamentale, riforma che negli anni passati ho ampiamente e credo motivatamente criticato anche con dati e osservazioni di natura pratica. Si tratta di una riforma progettata e approvata in velocità ma non adeguatamente pensata, molto celebrata pubblicamente senza considerarne la non realizzabilità. La minano alla base sia la pretesa di attuarla ad invarianza finanziaria, sia la particolare complessità del disegno, che avrebbe richiesto già a livello normativo primario una completa e dettagliata riorganizzazione degli uffici, fondata su una accurata conoscenza delle materie attribuite (gran parte delle quali, le non contenziose, appaiono dimenticate) e delle modalità di lavoro, accompagnata da una poderosa attivazione amministrativa per il reperimento e allestimento dei luoghi fisici in cui far operare i nuovi uffici, per la dotazione di personale numeroso e preparato, di strumentazioni efficienti, di informatizzazione funzionale e funzionante. La realtà degli uffici minorili sia requirenti che giudicanti è quella di strutture da sempre sottodimensionate e mai adeguatamente considerate dai vari Ministri di Giustizia, in un contesto di permanente e penosa scarsità di risorse umane e materiali. Queste le vere e comprensibili ragioni del possibile, e da me personalmente auspicato, totale abbandono della riforma ordinamentale, e non certo l’avversione degli attuali presidenti dei tribunali per i minorenni in difesa delle proprie posizioni di presunto potere, come da alcuni sgradevolmente riportato anche sulla stampa. E’ tanto falsa questa affermazione che per smentirla basta verificare la scarsità o addirittura assenza di domande per ricoprire alcuni posti vacanti di presidente di tribunale per i minorenni o di procuratore minorile, anche di sedi prestigiose come Milano. I colleghi ben conoscono l’enorme fatica di gestire uffici che da un lato sono tenuti ad affrontare con interventi rapidi ma non superficiali le complesse problematiche dei minori in una società in tumultuoso mutamento, dall’altro si dibattono nella endemica carenza di risorse adeguate di personale e di strumenti. Non può essere certo dimenticato che l’entrata in vigore due anni orsono della riforma processuale, con la marginalizzazione del ruolo dei giudici onorari -nonostante i numerosi appelli in senso contrario di associazioni di settore come AIMMF- in luogo di migliorare la situazione ha letteralmente messo in ginocchio i tribunali per i minorenni, provocando un rallentamento importante nei tempi di trattazione delle procedure gravate dalla farraginosità di regole inadatte al contesto e dalla esclusione ingiustificata della possibilità di delegare attività istruttorie ai giudici onorari sotto la direzione del giudice togato assegnatario del fascicolo. Preoccupa che si possa anche solo pensare di trasformare, come è accaduto di recente in ambito ministeriale, il ruolo della componente onoraria, derubricando il giudice onorario a mero ausiliario del giudice, con la facoltà di trattare maggiori attività istruttorie rispetto ad oggi ma senza la possibilità di partecipare alle camere di consiglio. Non si comprende come chi ha ascoltato un bambino o una coppia di genitori possa essere pretermesso dalla camera di consiglio in cui se ne decidono le sorti, né tantomeno perché mentre nei processi penali viene ritenuta fondamentale la presenza nel collegio dei giudici onorari per valutare la maturità o meno di un minorenne imputato di reato (scelta ribadita dalla Corte Costituzionale più volte), al contrario gli stessi componenti onorari nella materia civile debbano ricoprire ruoli di semplice assistenza del togato, senza la responsabilità della partecipazione alla decisione. Il libro dall’avvocata Cesaro ci restituisce non solo una vicenda di vita familiare, non solo una storia di resilienza personale, ma anche un’immagine vivida dell’essenza della funzione giudiziaria minorile: è a questo punto sperabile che chi è chiamato a decidere le sorti dei futuri uffici minorili, lo faccia con una reale e accurata preparazione e assunzione di responsabilità, a ragion veduta, e non soltanto mosso da istanze di natura propagandistica o di bandiera. Vedi anche, CNCA. Documento sulla sulla giustizia penale minorile. “Rilanciare il Dpr 448/88 e la sfida del cambiamento”. ------------- LA RICHIESTA DI SOSTEGNO del Gruppo Solidarietà Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali. La gran parte del lavoro del Gruppo è realizzato da volontari, ma non tutto. Se questo lavoro ti è utile PUOI SOSTENERLO CON UNA DONAZIONE e CON IL 5 x 1000. Clicca qui per ricevere la nostra newsletter.