Alunni con disabilità. La crisi del sostegno didattico: un processo irreversibile? Paola Di Michele, Insegnante di sostegno, già assistente all’autonomia e alla comunicazione, in superando.it. Ogni anno le richieste di mobilità interna, che riguardano il passaggio dal sostegno didattico alla classe di concorso di appartenenza (giova ricordare che il “sostegno” non è una disciplina, ma una specializzazione) ammontano a circa 10.000 unità. Allo stesso tempo, in alcuni territori (preminentemente del Nord Italia) e in alcuni cicli scolastici (infanzia e primaria) continuano a mancare docenti specializzati. Fin qui i fatti. Sulla prima questione, quella cosiddetta “vocazionale”, vorrei che ci si soffermasse su una questione ben più importante, che è quella della formazione, di partenza e in servizio. La seconda questione, ovvero quella di chi considera il sostegno didattico come una veloce porta di accesso al mondo dell’insegnamento, è sicuramente in parte vera. Mi riferisco ad esempio alla procedura di immissione diretta in ruolo da Graduatorie Sostegno, nota come articolo 59 che, personalmente, porrei in origine al boom delle Graduatorie Sostegno per le scuole superiori. Per capirci, prendiamo in esame le graduatorie ADSS (Sostegno della Scuola Secondaria di Secondo Grado) della Provincia di Roma, passate dalle 700 unità del 2020 alle attuali 11.000! Torno dunque alla prima questione, quella vocazionale, dove è necessario, anzi doveroso, porre l’accento su alcune delle questioni che vanno direttamente al cuore dell’inclusione scolastica stessa. La prima di esse è quella della corresponsabilità didattica fra docente “curricolare” e docente specializzato su sostegno. Qui l’immagine più potente che posso evocare è quella del caro amico Carlo Scataglini della “sedia del sostegno”, ovvero quel fenomeno per cui il docente specializzato non è che un “collaterale” della cattedra cui spesso si riserva solo una sedia, spesso sul fondo dell’aula e spesso neanche quella. Personalmente mi è capitato di rinunciare financo alla sedia dopo l’ennesima snervante discussione col collaboratore scolastico che continuava a spostarla perché “le sedie non bastano”. Altro esempio è la “compilazione” del PEI (Piano Educativo Individualizzato). Già il fatto che si parli di compilazione e non di progettazione la dice lunga sul fatto che, su questo, non si siano fatti significativi passi in avanti. La normativa attuale (Decreto Ministeriale 153/23) esplicita chiaramente e per l’ennesima volta che il PEI è il frutto collegiale del lavoro del GLO (Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione), ma se il PEI non si riesce a condividere (come pure sarebbe previsto su piattaforma SIDI, pur tuttavia ancora residuale), come si può pensare di renderlo uno strumento operativo di tutti i componenti del GLO? Ecco, dunque, che si torna sempre e ancora alla compilazione solitaria del PEI da parte del solo docente specializzato. E qui vorrei tornare alla questione della continuità su posto di sostegno, così come realizzata attraverso i provvedimenti normativi recenti. Se un docente decide di tentare di modificare le vecchie abitudini coinvolgendo i colleghi curricolari, deve spesso farlo quasi imponendosi, “disturbando”. Allo stesso modo, se quel docente ritenesse, in scienza e coscienza, di adottare metodologie e scelte educative non gradite o non conformi (magari semplicemente perché poco conosciute o innovative) quale sarebbe la reazione del Sistema? Ovvero, come si concilia l’autonomia didattica e l’etica professionale con l’idea che si debba essere “scelti” e “approvati” da famiglie, colleghi, dirigenti scolastici? Il rischio, più che evidente, è quello di docenti “addomesticati”, silenziati e docili a logiche che nulla hanno a che fare con un’idea dialogica del processo educativo condiviso. Vedi anche, ISTAT. L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità - Anno scolastico 2023-2024 LA RICHIESTA DI SOSTEGNO del Gruppo Solidarietà Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali. La gran parte del lavoro del Gruppo è realizzato da volontari, ma non tutto. Se questo lavoro ti è utile PUOI SOSTENERLO CON UNA DONAZIONE e CON IL 5 x 1000.
Si tratta di crisi “vocazionale” o di scelta transitoria del sostegno didattico come modalità di accesso al ruolo, definito da alcuni, a mio parere ingenerosamente, come “ammortizzatore sociale”?
Se non si comprende, dall’interno, la natura del fenomeno, si rischia di cercare risposte istintive a domande poste male. Un po’ come avviene nel metodo scientifico, quando alla falsificazione dell’ipotesi (e relativa ricerca di un assioma scientifico indipendente), si sostituisce la ricerca di conferma delle proprie convinzioni, vanificando così tutto il processo.
Di fronte, ad esempio, ad alunni con quadri complessi che presentano elevate comorbidità, è necessario possedere un bagaglio estremamente ampio di strumenti e conoscenze. Posso dire, con estrema serenità, che non è possibile costruire questo bagaglio da nulla, né in un anno (TFA ordinario) né in sei mesi (TFA versione INDIRE). Questo è ancora più vero se si considerano le basi di partenza dei corsisti, per cui, chi proviene da Scienze della Formazione, possiede basi di Psicologia, Pedagogia e Metodologia (giova ricordare che la specializzazione su sostegno era in precedenza integrata come percorso opzionale biennale in questi corsi di laurea e la cosa, a mio parere., funzionava benissimo), rispetto ai corsisti che accedono ai corsi per la scuola secondaria di primo e secondo grado, con le lauree più disparate e avulse non solo dalla disabilità, ma dallo stesso contesto scolastico e delle metodologie di insegnamento.
La formazione dei futuri insegnanti, compresi quelli specializzati su sostegno, ha subìto, negli ultimi decenni, una drastica e progressiva riduzione in quantità e qualità (ricordiamo sommessamente e mestamente che i corsi per il sostegno, in un tempo troppo lontano, erano biennali, con possibilità di aggiungere annualità per le disabilità sensoriali).
Per comprendere meglio la natura di questo ragionamento, si pensi che in Finlandia, ad esempio, è previsto un percorso biennale di specializzazione post-lauream per chiunque voglia intraprendere la professione di insegnante (pagata di conseguenza, naturalmente), comprensiva di insegnamenti di Psicologia, Pedagogia, Metodologia e Valutazione.
Il punto non sarebbe così problematico se le graduatorie riflettessero esattamente il cosiddetto “merito” dei docenti; tuttavia, com’è noto anche da inchieste giornalistiche, la posizione in graduatoria è fortemente influenzata non solo dai titoli di servizio, ma anche dai titoli “culturali”, ovvero certificazioni linguistiche che sono state anche oggetto di approfondimenti per la facilità di acquisizione.
È esattamente su questi temi che bisogna arretrare, a mio parere, dalle proprie posizioni particolari e porsi in atteggiamento dialogico. Evitare barricate di parte in cui ciascuno sostituisce la pretesa o l’obbligo con la collaborazione, il dialogo e la solidarietà.
Perché, qualunque cosa se ne pensi, se stiamo parlando di inclusione è perché crediamo che sia un diritto inalienabile, da raggiungere un pezzo per volta, percorrendo insieme la stessa strada pur partendo da luoghi diversi.
