Data di pubblicazione: 14/11/2025
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Libera circolazione delle persone. Schengen in pericolo

L’accordo detto “di Schengen”, firmato nel 1985, ha reso possibile l’abolizione dei controlli di frontiera per centinaia di milioni di europei, dando corpo al principio della libera circolazione delle persone. Massimo Livi Bacci osserva che questo pilastro della costruzione europea è gravemente lesionato dall’aumentato ricorso degli stati alla reintroduzione dei controlli, secondo l’accordo possibile solo come extrema ratio, in situazioni eccezionali di pericolo per l’ordine pubblico

Quando ero ragazzo, mio padre (classe 1891) mi raccontava di avere viaggiato per l’Europa, prima della Grande Guerra, munito della sola carta d’identità. Quando intrapresi il mio primo viaggio all’estero, alla metà degli anni ’50, dovetti munirmi di passaporto, dopo avere faticosamente conseguito il “nulla osta” delle autorità militari: code, domande in carta bollata, moduli, marche da bollo. Validità limitata nel tempo e solo per i paesi co-fondatori della nascente Europa: Francia, Germania, Benelux. Per gli altri paesi procedure assai più complesse. Passò qualche decennio e nel 1985, a bordo del battello Maria-Astrid in servizio sulla Mosella, e ancorato al molo della piccola città lussemburghese di Schengen, venne firmato un accordo, comunemente chiamato di Schengen, cui l’Italia aderì nel 1990, ancora valido oggi. Questo prevede l’abolizione dei controlli di frontiera (in entrata e in uscita), per i cittadini dei paesi firmatari. Si realizzava uno dei principi cardini dell’Europa: libera circolazione delle merci e dei capitali, certo, ma anche delle persone. Un grande progresso, un grande risultato. Che, purtroppo, oggi è in grave pericolo. 

Bassa mobilità intraeuropea

La geografia politica dell’Europa è molto frammentata: i 450 milioni di abitanti della UE sono distribuiti in 27 paesi, su un territorio (4,2 milioni di kmq) che è meno della metà di quello degli Stati Uniti che di abitanti ne hanno 340 milioni,. Ma nonostante la frammentazione geografica e l’alta densità, la mobilità intraeuropea è una frazione della mobilità interstatale negli Stati Uniti. Inoltre la mobilità intraeuropea è rimasta stagnante negli ultimi decenni. La libera circolazione di persone è sicuramente un fattore di sviluppo, ma l’Europa non sembra avvantaggiarsene a sufficienza. Se non sono le frontiere, sono le regole, le burocrazie, le forti identità nazionali, le diversità linguistiche, a ostacolare una maggiore mobilità dei cittadini europei nel continente. 

Nella Figura 1 è riportata la % dei cittadini di ogni stato europeo che vive in un paese diverso dal proprio: i paesi di recente accessione alla UE (Romania, Croazia, e Bulgaria) che hanno una forte emigrazione, sono in testa alla graduatoria (oltre il 10% dei loro cittadini vivono in altro paese europeo); i paesi grandi (Francia, Spagna, Germania) sono in coda, con valori attorno all’1%. Secondo i rilievi di Eurostat, negli ultimi anni, il numero dei cittadini europei entrati in un altro paese europeo, con l’intenzione di dimorarvi più di un anno, ha oscillato tra un minimo di 804mila, nel 2020, anno del Covid, e un massimo di 976mila (nel 2023), ultimo anno disponibile1. Difficile dire se questi siano “molti” o “pochi”, anche perché non esistono valutazioni attendibili circa un presumibile “ideale” di mobilità. Solo come riferimento: in Italia i cambi di residenza tra comuni di regioni diverse sono pari a 3-400mila all’anno. 

L’Accordo di Schengen fa bene all’economia (e non solo)

 Nessuno, o quasi nessuno, mette in dubbio che la liberalizzazione degli scambi – di merci, servizi e capitali – sia un fattore di sviluppo. Anche la libera circolazione delle persone, come detto all’inizio, viene considerata un solido pilastro della costruzione europea. Ma dalla teoria alla pratica ce ne corre, e le circostanze economiche e politiche – si veda la politica tariffaria in corso del paese più potente del mondo – rendono problematico questo passaggio. I controlli alle frontiere ostacolano la libera circolazione di persone, merci e servizi, hanno un impatto negativo sui trasporti internazionali, sul turismo, sui lavoratori che tutti giorni traversano una frontiera per andare al lavoro (sono circa 1,7 milioni), hanno costi amministrativi e infrastrutturali che il Parlamento Europeo ha stimato tra i 25 e i 50 miliardi di euro in un biennio2. Infine, l’accordo è gradito alla grande maggioranza dei cittadini europei (Figura 2). 

Un pilastro con una pericolosa lesione

Il pilastro di cui si è detto – ponendone in rilievo gli aspetti positivi – presenta però una pericolosa lesione. E infatti l’accordo, più volte rivisto e integrato, consente ai governi di ripristinare temporaneamente i controlli alle frontiere – previa notifica a Bruxelles – come extrema ratio, in caso di una seria minaccia alla sicurezza interna, problemi di ordine pubblico o situazioni eccezionali previste, come grandi manifestazioni, eventi sportivi o politici. La reintroduzione dei controlli è consentita per un periodo limitato della durata massima di 30 giorni o per la durata prevedibile della minaccia grave se questa supera i 30 giorni, estendibili a sei mesi se necessario, e la minaccia grave persiste. Se necessario, si può arrivare a una proroga fino a 6 mesi. In casi eccezionali, di 6 mesi in 6 mesi, si può arrivare a 2 anni. Fino alla crisi migratoria del 2015, i ricorsi alla sospensione sono stati rari, e generalmente di breve durata. Ma a partire da allora, il ricorso alla sospensione è diventato molto più frequente, quasi una misura abituale e normale, non una misura di ultima istanza dettata da fatti eccezionali, come previsto dall’accordo. Vi sono state ben 387sospensioni adottate (dato di fine 2023 ): in testa l’Austria (47 volte), seguita da Norvegia (37), Germania (35), Finlandia (33) e Francia (27). Le cause per la sospensione riguardano il terrorismo, la criminalità, i flussi eccezionali di migranti irregolari, la pandemia Covid, le grandi manifestazioni politiche come le riunioni G7 e G20, le Olimpiadi.

L’Italia ha giustificato la sospensione di Schengen per il periodo 19 giugno-28 dicembre 2025 con la seguente motivazione: “Continua minaccia di infiltrazioni terroristiche lungo la rotta dei Balcani occidentali; crisi in atto nel Medio Oriente e in Ucraina; alto livello di immigrazione irregolare inclusa la forte presenza di reti di trafficanti; accresciuti rischi associati al Giubileo della Chiesa Cattolica; precarietà del confine con la Slovenia”. È facile vedere la pretestuosità delle motivazioni: la immigrazione irregolare non è in crescita; il confine con la Slovenia è controllabile con i normali mezzi; le guerre non incidono – fortunatamente per ora –sulla sicurezza dei confini; le centinaia di migliaia o milioni, di pellegrini non sono più minacciosi dei più numerosi turisti che affluiscono nel paese. A fine ottobre, in 14 paesi europei i controlli alle frontiere erano stati reintrodotti; per Francia, Polonia e Germania i controlli avranno validità fino alla prossima primavera. 

Se la sospensione di Schengen diventa una nuova normalità, possiamo recitare il de profundis per il principio della libera circolazione, minacciato dai populismi revanscisti e dagli ottusi sovranismi che percorrono l’Europa. 

Note

1European Commission, Annual report on intra EU labor mobility, Bruxelles,  2024

2europarl.europa.eu: Spazio Schengen: quali sono le questioni da risolvere?

3chateurope.eu Lo Spazio Schengen sospeso 387 volte dalla sua nascita


 

Vedi anche, ISTAT. Migrazioni interne e internazionali della popolazione residente. Anni 2023-2024.

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