Il 21 ottobre, il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria (DAP) emana una circolare, a firma del direttore generale Ernesto Napolillo, nella quale si dispone che «per i soli Istituti penitenziari con circuiti a gestione dipartimentale (Alta Sicurezza, Collaboratori di Giustizia, 41-bis) l’autorizzazione per gli eventi di carattere trattamentale, anche se previsti per i soli detenuti allocati nel medesimo istituto al circuito cd. Media Sicurezza, dovrà sempre essere richiesta a questa Direzione Generale».
Come rilevato dal Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza (CONAMS) «Considerata la presenza di 8.800 detenuti di Alta Sicurezza distribuiti in molteplici carceri su tutto il territorio nazionale, tra i quali anche svariati istituti c.d. a “vocazione trattamentale” (con percentuali di detenuti di AS estremamente basse, rispetto al complessivo numero di soggetti in media sicurezza), la centralizzazione della procedura autorizzatoria riguarderà la maggioranza degli istituti penitenziari del Paese».
Per effetto, desiderato o indesiderato, della disposizione del DAP, si profila il sostanziale blocco delle attività proposte dal volontariato e, con esso, dell’ingresso dei volontari ammessi esclusivamente allo scopo di animare le attività proposte.
A reagire criticamente non sono solo i volontari.
Cappellani Emilia-Romagna Marche: Al centro la persona
Non comprendiamo le motivazioni e le finalità che hanno mosso il direttore del DAP a emanare la Circolare n. 454011 del 21.10.2025. Non da un punto di vista valoriale ma nemmeno da un punto di vista puramente opportunistico.
Ammettiamo senz’altro la nostra carente formazione giuridica e politica, ma sono gli stessi magistrati di sorveglianza, attraverso un comunicato del CONAMS, a rilevare che: «Vista la drammatica situazione in cui versano gli Istituti penitenziari, ove il sovraffollamento non accenna a diminuire e la strutturale carenza di attività trattamentali rende più penosa e isolante la carcerazione, la scelta adottata dal Dipartimento rischia di consegnarci un carcere dove le occasioni di confronto con l’esterno, le opportunità di formazione e le possibilità di crescita culturale in favore dei detenuti saranno sempre meno. Viene peraltro svilito il ruolo dei Direttori d’Istituto, per i quali sarà ancor più complesso riuscire a realizzare le attività previste dalla programmazione annuale, frutto della loro diretta conoscenza dei singoli istituti e del territorio su cui insistono, nonché di uno stretto lavoro di collaborazione con il Terzo settore».
Centralizzare le procedure di autorizzazione per le iniziative locali (che non possono essere se non tali) significa portare al centro il controllo, non la persona. Le risorse destinate dal Dipartimento, autore della Circolare, alle attività educative istituzionali sono inferiori al 10% del budget complessivo (assorbito per due terzi dalla Polizia Penitenziaria). Senza l’apporto del volontariato, come può il carcere anche solo accennare una risposta alla finalità rieducativa affidata alle pene dalla Costituzione?
La richiesta di un «congruo anticipo» nella presentazione delle richieste di autorizzazione prelude a un corrispondente ritardo nella risposta, con il rischio di rendere di fatto inattuabile l’iniziativa proposta. Noi cappellani siamo inquadrati nell’organico e il nostro ruolo ha un riconoscimento istituzionale. Tuttavia il nostro stesso servizio è pesantemente compromesso se non può esprimersi anche nella collaborazione del volontariato.
L’esperienza può confermare che la presenza della comunità cristiana in carcere, insieme alla presenza dei volontari di ispirazione religiosa e civile, contribuisce oltretutto ad alimentare un clima sereno nelle sezioni detentive che risolve in maggiore sicurezza. I volontari autorizzati ex art. 17 possono entrare in istituto soltanto in riferimento alle attività da svolgere; se queste non vengono autorizzate i volontari ex art. 17 non hanno titolo per entrare.
Non sono solo le attività, già insufficienti, a venire penalizzate. La presenza dei volontari è di fondamentale importanza nella rieducazione del condannato non soltanto in forza delle attività che propongono, ma anche, e forse ancor più, per il modello di relazioni che offrono e rendono possibile.
Come il CONMS afferma, «Tutto ciò ci consegna un deciso arretramento rispetto al modello di esecuzione penale che l’ordinamento penitenziario, proprio nell’anno del suo cinquantenario, aveva immaginato e previsto». Non comprendiamo quale beneficio ne venga alle persone recluse in vista del loro reinserimento e temiamo che il provvedimento risponda a una logica di controllo che finisce per scoraggiare se non vanificare la funzione rieducativa della pena.
Insieme a questo appello vogliamo ribadire la nostra più ampia disponibilità al dialogo, certi che sia obiettivo comune la realizzazione delle condizioni che rendano anche la pena detentiva rispondente al dettato costituzionale e, più ancora, a criteri di umanità.
Magistrati di sorveglianza: Deciso arretramento nel modello di esecuzione penale
Con la Circolare n. 454011 del 21.10.2025 a firma del DAP- Direttore Generale dei detenuti e del trattamento, si è previsto che l’autorizzazione per gli eventi da svolgersi presso gli istituti ricomprendenti circuiti a gestione dipartimentale (ossia Alta Sicurezza, Collaboratori di Giustizia, 41 bis) debba sempre essere richiesta alla sopra citata Direzione Generale, anche se previsti per soli detenuti del circuito di media sicurezza presenti nel medesimo Istituto.
Il Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza esprime a riguardo grande preoccupazione, atteso che la nuova modalità individuata, imponendo un forte livello di centralizzazione, rischia di compromettere molti dei progetti faticosamente portati avanti da cooperative, associazioni, mondo dell’educazione e di tutto il Terzo settore.
Considerata la presenza di 8.800 detenuti di Alta Sicurezza distribuiti in molteplici carceri su tutto il territorio nazionale, tra i quali anche svariati istituti c.d. a ‘vocazione trattamentale’ (con percentuali di detenuti di AS estremamente basse, rispetto al complessivo numero di soggetti in media sicurezza), la centralizzazione della procedura autorizzatoria riguarderà la maggioranza degli istituti penitenziari del Paese, con un aggravio notevolissimo circa i tempi di definizione delle autorizzazioni e la conseguente inevitabile riduzione delle attività trattamentali, che dovrebbero invece rappresentare l’asse portante di una reclusione volta alla risocializzazione.
Vista la drammatica situazione in cui versano gli Istituti penitenziari, ove il sovraffollamento non accenna a diminuire e la strutturale carenza di attività trattamentali rende più penosa e isolante la carcerazione, la scelta adottata dal Dipartimento rischia di consegnarci un carcere dove le occasioni di confronto con l’esterno, le opportunità di formazione e le possibilità di crescita culturale in favore dei detenuti saranno sempre meno. Viene peraltro svilito il ruolo dei Direttori d’Istituto, per i quali sarà ancor più complesso riuscire a realizzare le attività previste dalla programmazione annuale, frutto della loro diretta conoscenza dei singoli istituti e del territorio su cui insistono, nonché di uno stretto lavoro di collaborazione con il Terzo settore.
Tutto ciò ci consegna un deciso arretramento rispetto al modello di esecuzione penale che l’ordinamento penitenziario, proprio nell’anno del suo cinquantenario, aveva immaginato e previsto. Il Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza auspica, pertanto, un’interlocuzione con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che possa riportare nell’alveo del ragionevole bilanciamento tra sicurezza e risocializzazione lo svolgimento delle attività trattamentali negli istituti di pena.
Familiari delle vittime: Importanza e ricchezza del confronto
Gentile signor Ministro della Giustizia,
noi familiari di vittime delle azioni terroristiche, della lotta armata e della criminalità organizzata, da tempo impegnati in attività volte a realizzare il dettato Costituzionale di favorire la rieducazione dei detenuti,
- - consci del fatto che il ripensamento del proprio passato criminale molto raramente è frutto di un’improvvisa “illuminazione”, essendo più spesso il risultato di una contaminazione culturale, emotiva e relazionale, che supera le barriere fisiche tra il mondo esterno ed interno alle carceri,
- - consapevoli che anche la semplice partecipazione a incontri e confronti con il mondo esterno rappresenta per i detenuti coinvolti una iniziale rottura verso il passato, esponendoli ai rischi e pericoli di emarginazione ben noti a chi frequenta le carceri,
- - convinti che il cambiamento di valori richieda costanti, faticosi, lunghi e dolorosi processi di revisione critica del proprio vissuto, di assunzione di responsabilità molteplici e di emancipazione emotiva e culturale dal passato,
- - consapevoli che il riconoscimento reciproco dell’uomo detenuto e della vittima costituisce il presupposto di un fecondo rapporto di relazione trasformativa,
- - essendo testimoni dei cambiamenti indotti da queste frequentazioni anche nella relazione dei detenuti con l’autorità rappresentata dal personale di custodia,
- - avendo constatato di persona l’importanza e la ricchezza dei confronti tra detenuti e studenti nel processo rieducativo, poiché questi ultimi spesso rappresentano il volto dei loro figli,
- - avendo altresì constatato il valore sociale, psicologico e morale di questi incontri, al fine di prevenire il bullismo e derive criminali negli adolescenti,
- - convinti che un cambiamento, una emancipazione ed una nuova scelta di campo sia possibile anche per chi ha commesso delitti particolarmente gravi,
- - avendo sperimentato personalmente come questi incontri aiutino anche noi vittime della violenza a vivere le ferite del passato in modo diverso,
- - consapevoli che la sicurezza della società dipende dalla qualità della cittadinanza di chi esce dal carcere,
guardiamo con notevole perplessità e sofferenza personale alle norme restrittive recentemente introdotte nelle carceri italiane volte a irrigidire, limitare e contingentare queste feconde attività di relazione tra detenuti e cittadini, in particolare laddove queste vengono obbligatoriamente sottoposte ad una impersonale e spesso soffocante centralizzazione burocratica.
Giovanni Bachelet, Fiammetta Borsellino, Marisa Fiorani, Silvia Giralucci, Manlio Milani, Lucia Montanino, Maria Agnese Moro, Giovanni Ricci, Sabina Rossa, Paolo Setti Carraro.
Vedi anche
Antigone. Il carcere continua a essere un’emergenza ignorata". Presentato il rapporto di metà anno
Antigone. Dossier sui suicidi in carcere nel 2023 e nei primi mesi del 2024
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