Salute mentale. Consiglio di Stato. L’appartamento di “Via del Verziere” a Jesi nulla aveva a vedere con la “vita indipendente”
Gruppo Solidarietà - Osservatorio Marche, n. 158 del 2 aprile 2025
Di seguito (evidenziazioni redazionali) la sentenza del Consiglio di Stato, che riforma quella del TAR (n. 559/2023), con la quale si stabilisce che l’appartamento di Via del Verziere, sequestrato nell’aprile 2024 con l’accusa di maltrattamenti e l’arresto di due persone, non era un appartamento autogestito e tantomeno una coabitazione in un progetto di vita indipendente (L.R. 21/2008). In sostanza un "servizio residenziale" privo di obbligatoria autorizzazione. Ma .. ulteriori riflessioni sono necessarie.
In questo approfondimento abbiamo ripercorso la vicenda dell’appartamento (successivamente sequestrato) e commentiamo la sentenza del TAR Marche ora riformata.
Come abbiamo già scritto nel nostro commento la sentenza del TAR è successiva ad un'ordinanza del Comune di Jesi, di cessazione dell'attività non autorizzata, ritenendo che si trattasse, nei fatti, di un “servizio” che per essere erogato richiedesse autorizzazione. Era stata comminata anche una multa.
Il TAR, a seguito di ricorso, ha ritenuto non trattarsi di una comunità che per operare avesse obbligo di autorizzazione, ai sensi delle norme regionali vigenti, ma di una “servizio” che trova ispirazione e riferimento alla legge regionale sulla vita indipendente (una sorta di appartamento autogestito) e come tale non soggetto ad autorizzazione. Ha conseguentemente accolto il ricorso annullando l'ordinanza comunale. In questo, come si può leggere nella sentenza, supportato dalle indicazioni del direttore del Dipartimento di Salute Mentale (DSM). Accogliendo, dunque, la tesi del Comune di Jesi, il CdS ha stabilito che l’appartamento risultava a tutti gli effetti un “servizio residenziale” privo di autorizzazione. Come tale, se ne deduce, abusivo.
Come è stato ripetutamente fatto notare dall’associazione Tutela salute mentale Vallesina, che, sola, ha tenacemente, in questi anni, denunciato e portato all’attenzione la vicenda dell’appartamento, è necessario risalire alla filiera delle responsabilità.
Senza ripetere quanto già affermato nelle nostre riflessioni, successive alla sentenza del TAR, si possono riprendere alcune considerazioni.
a) La prima riguarda il Dipartimento Salute Mentale di Jesi, che pur conoscendo, vedi relazione riportata nelle sentenza del TAR, molto bene il funzionamento dell’appartamento, abbia affermato trattarsi di una coabitazione autogestita. Evidenziandone anche la qualità del progetto (“molto più avanzato di altri”) fino a scomodare la “vita indipendente” e il fatto, ritenuto estremamente positivo, che i costi non gravassero sulle casse pubbliche (Azienda sanitaria, Regione, Comuni).
b) La seconda. Quale protezione giuridica veniva esercitata ed evidenzia ancora di più la necessità di una revisione dell'Istituto dell'Amministrazione di Sostegno.
Sarebbe, inoltre, oltremodo interessante capire dove vivono oggi le 5/6 persone che abitavano l’appartamento. Se in comunità e in quale tipologia di comunità. E se, nel “livello assistenziale”, Comunità alloggio con lievi disturbi mentali (p. 50). Pare, infatti, ragionevole dubitare che quella tipologia di “servizio”, di tipo esclusivamente sociale rivolta a persone “con lievi disturbi mentali e con un alto livello di autosufficienza” che “necessitano di sostegno nel percorso di autonomia e inserimento o reinserimento sociale”, sia compatibile con le necessità delle persone che vivevano in quell’appartamento. Livelli di autonomia certificati dallo standard di personale previsto: un operatore per 6 ore alla settimana. Se oggi quelle o alcune di quelle persone vivono, invece, in servizi residenziali sociosanitari cui si accede tramite invio del Centro salute mentale (CSM) occorrerebbe ancor di più chiedere al Dipartimento come le loro necessità potessero essere compatibili con quell’appartamento autogestito.
C’è, dunque, da augurarsi che nel processo iniziato a febbraio nei confronti dei due coniugi accusati di violenza sessuale e maltrattamento, si faccia piena luce su nascita, sviluppo ed evoluzione dell’appartamento (QUI una puntuale cronistoria) e sul rapporto, dal 2018 delle persone che lo gestivano con le Istituzioni ed in particolare con il Dipartimento di salute mentale di Jesi.
Per capire meglio, Jesi. Salute mentale. Arresti e sequestro appartamento. Considerazioni alla luce della sentenza del TAR Marche.
Vedi anche il servizio del TG Marche del 4 aprile 2025.
La sentenza del Consiglio di Stato
N. 02407/2025REG.PROV.COLL.
N. 01938/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1938 del 2024, proposto da Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Discepolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Moreno Misiti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) n. 559/2023, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2024 il Cons. Raffaello Scarpato e uditi per le parti gli avvocati presenti in udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La sig.ra -OMISSIS- ha impugnato, dinanzi al T.a.r. per le Marche, l’ordinanza emanata dal Comune di -OMISSIS- in data -OMISSIS-, con la quale è stata disposta l’immediata cessazione dell’attività non autorizzata di erogazione di prestazioni riconducibili a “struttura di comunità alloggio per persone con lievi disturbi mentali”, posta in essere presso l’immobile sito in -OMISSIS-, in -OMISSIS-.
2. Il T.a.r. adìto, respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal Comune, ha accolto il gravame, ritenendo fondato il primo motivo di censura, con il quale la ricorrente aveva contestato la necessità di una previa autorizzazione comunale all’esercizio dell’attività, non essendo questa riconducibile ad una di quelle indicate nella legge regionale delle Marche n. 21/2016, per le quali è prescritta l’autorizzazione.
Al riguardo, il primo giudice ha osservato che presso l’immobile in questione erano risultate residenti alcune persone disabili in forza di un contratto di locazione sottoscritto a titolo personale, assistite dalla sig.ra -OMISSIS- a titolo volontario, nell’ambito di un “progetto di vita indipendente” ai sensi della legge regionale delle Marche n. 21/2018 ed in collaborazione con il Centro di Salute Mentale di -OMISSIS-.
Tale peculiare forma di assistenza sociale in forma autogestita sarebbe stata riconosciuta, secondo il primo giudice, anche dal Direttore del Dipartimento di Salute Mentale -OMISSIS- di -OMISSIS-, il quale aveva confermato che gli ospiti coabitavano nell’appartamento privato ed autogestito poiché avviati ad un percorso terapeutico volto a promuovere un progetto di vita indipendente, ai sensi della citata legge regionale n. 21/2018, nonché dal dirigente della Giunta Regionale – Direzione Politiche Sociali, che aveva ritenuto le residenze di “housing” e di “cohousing” realizzate nell’ambito dei “progetti di vita indipendente” assimilabili a forme innovative di de-istituzionalizzazione, dove soggetti non completamente autosufficienti coabitano liberamente con oneri a proprio carico e vengono assistiti a titolo gratuito da volontari.
3. Il Comune di -OMISSIS- ha impugnato la decisione riproponendo, in via preliminare, l’eccezione di inammissibilità del ricorso respinta dal T.a.r., per non avere la ricorrente impugnato la diffida alla cessazione dell’attività emessa dal Comune in data -OMISSIS-. Tale eccezione era stata superata dal primo giudice ritenendo l’ordinanza prot. -OMISSIS-, oggetto di impugnazione, dotata di autonoma efficacia lesiva, poiché frutto di ulteriore attività valutativa e basata su di una rinnovata istruttoria.
3.1. Nel merito, il Comune appellante ha dedotto l’infondatezza del ricorso introduttivo del giudizio, non potendosi considerare l’appartamento in -OMISSIS- alla stregua di un’abitazione privata ed autonoma, cogestita dalle persone che vi abitano, quanto piuttosto una struttura sociale qualificabile come CALDM (“Comunità alloggio per persone con lievi disturbi mentali”), disciplinata dalla legge regionale delle Marche n. 21/2016 e dalla d.g.r. n. 240/2020.
A tal riguardo, l’appellante ha evidenziato come tutte le persone residenti nell’immobile fossero affette da problemi psichici e sottoposte ad amministrazione di sostegno, risultando le stesse incapaci di autogestirsi autonomamente o tramite i rispettivi amministratori di sostegno, dovendosi conseguentemente affidare alla gestrice ed ai suoi collaboratori per qualsiasi decisione ed esigenza.
3.1. Sotto distinto profilo, l’appellante ha ritenuto le valutazioni espresse dal Direttore del Dipartimento di Salute Mentale -OMISSIS- di -OMISSIS- e dalla Dirigente regionale, valorizzate dal primo giudice, non condivisibili e, comunque, non rilevanti, poiché generiche e promananti da soggetti privi di competenza a stabilire la qualificazione delle strutture esterne.
3.2. Infine, l’appellante ha dedotto che l’immobile oggetto di attività è risultato sprovvisto dei requisiti minimi di idoneità alla permanenza di -OMISSIS-, per le dimensioni delle stanze e per il numero di servizi igienici presenti.
4. Ha resistito all’appello la sig.ra -OMISSIS-, che ha anche proposto appello incidentale per contestare la sentenza impugnata in punto di regolazione delle spese di giudizio, compensate dal T.a.r. in ragione delle peculiarità della vicenda e della natura degli interessi coinvolti.
5. In corso di causa, il Comune appellante ha formulato istanza di misure cautelari monocratiche, rappresentando che, in data -OMISSIS-, alcuni articoli di stampa avevano dato conto dell’arresto del -OMISSIS- per abusi sessuali commessi in danno delle ospiti all’interno dell’abitazione adibita a struttura ricettiva, nonché della contestazione, a carico della medesima appellata, del reato di maltrattamenti.
6.Con decreto cautelare -OMISSIS-, confermato dalla successiva ordinanza -OMISSIS-, l’efficacia esecutiva della decisione impugnata è stata sospesa.
7. All’udienza pubblica del 12 dicembre 2024 l’appello è stato introitato per la decisione.
8. Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità sollevata in udienza pubblica dalla parte appellata, riferita alla documentazione depositata dall’appellante in data 7 novembre 2024, trattandosi di estratto di testata giornalistica datato -OMISSIS-, che la parte appellante non avrebbe potuto produrre entro il termine perentorio previsto dall’art. 73 c. 1 c.p.a. e rilevante ai fini della decisione.
9. Sempre in via preliminare, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità dell’originario ricorso, per omessa impugnazione della diffida del -OMISSIS-, reiterata dal Comune in grado di appello.
La diffida alla immediata cessazione dell’attività è infatti da considerare atto distinto dalla cessazione dell’attività e la sua mancata impugnazione non ha effetti preclusivi sull’impugnazione di quest’ultima, che non può essere considerata alla stregua di un atto meramente confermativo della diffida.
A tal riguardo è sufficiente richiamare l’orientamento già espresso da questo plesso giurisdizionale, in base al quale “Gli atti di diffida, siano essi normativamente previsti ovvero adottati motu proprio dall’Amministrazione hanno lo scopo di mettere a conoscenza il loro destinatario dei profili di carenza/illegittimità riscontrati nella sua condotta e nella concessione di un termine per provvedere a colmare le carenze o eliminare le illegittimità. È allora del tutto evidente che trattasi di atti i cui effetti non sono immediatamente lesivi e che pertanto non sottopongono il loro destinatario all’onere della loro immediata impugnazione, né si verifica la decorrenza di alcun termine a tal fine.” (Cons. Stato, sez. IV, 13 marzo 2015, n. 1206).
9.1. Nel caso di specie, con la nota prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, il Dirigente dell’Area Servizi Tecnici del Comune di -OMISSIS- ha diffidato l’odierna appellata alla cessazione dell’attività, ai sensi dell’art. 15 della legge regionale n. 21/2016, precisando che, decorso il termine di trenta giorni, sarebbe stato emesso provvedimento decisorio di chiusura della struttura.
Pertanto, l’effetto lesivo legittimante la proposizione del gravame si è prodotto solo con la successiva ordinanza n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, avente ad oggetto “…l’immediata chiusura della struttura di -OMISSIS- in -OMISSIS-…”, con la quale è stata ordinata “…l’immediata cessazione della erogazione di prestazioni riconducibili a “struttura di comunità alloggio per persone con lievi disturbi mentali” esercitata …. Senza la prescritta autorizzazione…”.
10. Nel merito l’appello è fondato.
11. Dalla copiosa e reiterata attività istruttoria e dai controlli di polizia in atti, a più riprese effettuati presso l’immobile, è emerso come l’appartamento in -OMISSIS- non possa essere considerato alla stregua di un’abitazione privata totalmente autonoma, cogestita dalle persone che vi abitano. Al contrario, la stessa ha la sostanza di una struttura sociale qualificabile come CALDM - “Comunità alloggio per persone con lievi disturbi mentali”, che necessita di espressa autorizzazione ai sensi della legge regionale n. 21/2016.
L’ art. 7 della legge regionale in questione subordina la realizzazione e l’ esercizio di strutture sociali di tutela ed accoglienza, che erogano prestazioni in regime residenziale e semiresidenziale a favore di categorie di destinatari previste dalla normativa statale e regionale vigente, ad apposita autorizzazione, così come il regolamento regionale n. 1 del 1 febbraio 2018, nel definire le tipologie di strutture soggette ad autorizzazione, prende in considerazione, all’ allegato C), anche le “strutture sociali di tutela ed accoglienza che erogano prestazioni in regime residenziale e semiresidenziale a favore delle categorie di destinatari previste dalla normativa statale e regionale vigente” ed in particolare quella struttura di carattere sociale in regime residenziale denominata “Comunità alloggio per persone con lievi disturbi mentali” (CALDM).
Quest’ultima è definita alla stregua di una “struttura residenziale a carattere comunitario, consistente in un nucleo di convivenza di tipo familiare per persone …. con lievi disturbi mentali, con un alto livello di autosufficienza ed un residuo minimo di bisogno assistenziale sanitario” in cui “ciascuna persona ha un progetto o una relazione di accompagnamento, elaborati dal Servizio territoriale inviante” (cfr. d.g.r. n. 240/2020).
12. Nel caso di specie, non è contestato che tutti i soggetti occupanti l’immobile soffrano di problemi psichici e siano destinatarii della misura di protezione dell’amministrazione di sostegno. È parimenti pacifico che a tali soggetti fornisce assistenza l’odierna appellata, unitamente al -OMISSIS-, occupandosi di tutte le esigenze legate alla vita quotidiana, come confermato dalle relazioni della Polizia locale e dei NAS in atti (dalle quali è emersa inoltre l’insussistenza dei requisiti minimi di idoneità dell’appartamento).
13. Non risulta pertanto applicabile la legge regionale n. 21/2018, che disciplina una situazione differente da quella oggetto di giudizio. L’art. 3 della citata legge regionale prevede che “I progetti personalizzati di vita indipendente sono rivolti esclusivamente alle persone con disabilità in situazione di gravità, come individuate ai sensi del comma 3 dell’articolo 3 della legge 104/1992: - omissis - e) in grado di esprimere la propria capacità di autodeterminazione e la volontà di gestire in modo autonomo la propria esistenza e le proprie scelte”;
14. Né può ritenersi che nel caso di specie si tratti di una libera coabitazione in autonomia da parte di più persone, poiché le condizioni psicofisiche delle persone coinvolte denotano una incapacità di provvedere ai propri bisogni e di autodeterminarsi (sono tutte soggette ad amministrazione di sostegno) ed i controlli delle forze di polizia hanno fatto emergere una situazione di gestione e di controllo da parte dell’odierna appellata e del -OMISSIS-, ciò che consente di prescindere dal dato formale dell’intestazione del contratto di locazione ad alcune delle persone ospitate.
15. Avendo la condizione specifica degli ospitati la sostanza di una forma di convivenza etero-organizzata ed etero-gestita, in favore di soggetti in condizione di lieve disabilità con esigenze di assistenza, risulta necessaria l’attività di controllo e di autorizzazione da parte dell’amministrazione, che nel caso di specie ha chiaramente riscontrato l’assenza dei presupposti abitativi ed igienico sanitari dell’immobile.
16. Non può essere valorizzata, in senso contrario, l’opinione espressa dal Direttore del Dipartimento di Salute Mentale -OMISSIS- di -OMISSIS-, richiamata dalla sentenza impugnata, non avendo tale soggetto competenza a qualificare strutture esterne alle proprie funzioni, come pure la nota della dirigente della Giunta Regionale -OMISSIS-, che non ha tenuto conto di quanto emerso a seguito dell’attività di accesso presso i luoghi effettuata dalle forze di polizia.
17. In conclusione l’appello principale deve essere accolto e, in riforma della decisione impugnata, deve essere dichiarata la validità del provvedimento impugnato.
18. L’appello incidentale proposto dall’odierna appellata deve invece essere respinto, non risultando né illogica, né contraddittoria, la decisione del giudice di prime cure di compensare le spese del grado, avendo il T.a.r. dato conto delle ragioni poste a fondamento della statuizione, consistenti nella peculiarità della vicenda e della natura degli interessi coinvolti.
19. Cionondimeno, l’esito del giudizio di appello determina, in riforma della decisione impugnata, l’addebito delle spese del doppio grado di giudizio in capo alla parte appellata, in applicazione del principio di soccombenza, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, accoglie l’appello principale e respinge quello incidentale, e, per l'effetto, in riforma della decisione impugnata, respinge il ricorso introduttivo del giudizio, con conseguente reviviscenza del provvedimento impugnato.
Condanna l’appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio e le liquida nella somma complessiva di € 6.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellata o l’immobile oggetto di causa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente
Nicola D'Angelo, Consigliere
Ezio Fedullo, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere
Raffaello Scarpato, Consigliere, Estensore
...................
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