Data di pubblicazione: 18/03/2017
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Persone con disabilità. Dalla prestazione alla presa in carico

Appunti sulle politiche sociali, n. 2-2015 -  GLI ULTIMI NUMERI

Giovanni Merlo, Lega per i diritti delle persone con disabilità (Ledha), Milano

Una buona presa in carico deve rendere la persona con disabilità e il suo contesto (innanzitutto familiare ma non solo) consapevole della propria condizione esistenziale e sociale. Dei problemi e delle opportunità, delle barriere e dei facilitatori, dei diritti ma anche di come si possano vedere finalmente rispettati. La presa in carico deve dare voce alla persona. Alla persona con disabilità

... belle parole ma cosa significa, nella realtà? Dalla prestazione alla presa in carico è lo "slogan" scelto dal Forum Terzo Settore Lombardia per indicare al Consiglio regionale, la linea da seguire nel processo di riforma del settore sanitario e sociosanitario, attualmente in corso. Uno scelta efficace ma non particolarmente originale, che sintetizza una riflessione che da lungo tempo coinvolge le organizzazioni di terzo settore e in particolare le associazioni delle persone con disabilità. Analisi e approfondimenti che però contengono dentro la dizione "presa in carico", significati potenzialmente molto diversi fra loro. Servizi come strumenti Più semplice è invece definire cosa sia una prestazione: il cosiddetto modello prestazionistico è quello che individua le singole "unità di offerte di servizio" come risposte efficienti a specifici gruppi di persona, assemblati per categorie di bisogno. Sei una persona con disabilità intellettiva e relazionale giovane - adulta che vive con i propri familiari? La risposta al tuo bisogno (e a quello della tua famiglia) sarà un Centro Diurno. Sei una persona con disabilità motoria? Meglio l'assistenza domiciliare ... e così via. E' un approccio seducente e convincente, perché riesce a rendere molto pratico, concreto la risposta al bisogno: una risposta che potrebbe diventare, e in molti casi si è trasformata, in un diritto esigibile. Le stesse richieste delle persone con disabilità e dei loro familiari sono state in un recente passato quelle di poter aver accesso ai servizi di cui avevano diritto. L'equazione diritto = servizio si è così imposta, in contrapposizione più o meno velata, con la richiesta di altri diritti, come ad esempio a quello all'integrazione, all'autonomia. L'idea originaria che i servizi dovessero essere degli strumenti per raggiungere in parte altri obiettivi si è progressivamente stemperata in nome del "pragmatismo." "Poche chiacchiere, molti fatti": quello che conta era offrire una risposta rapida a persone e famiglie che altrimenti non avrebbero ricevuto nulla. In questa cornice ogni riflessione sul significato sociale della disabilità sembra essere venuto meno, anche all'interno degli stessi servizi: tutto l'impegno si è rivolto a garantire le migliori condizioni di vita all'interno delle strutture, siano esse residenziali o semi residenziali. Ogni velleità "teorica" di integrazione viene così progressivamente abbandonata, almeno per le persone con disabilità che necessitano di maggior sostegno ("ma guarda che i miei sono veramente gravi!"). In Lombardia questo approccio è stato posto alla base del processo di riforma del sistema sociosanitario (e in parte socio-assistenziale): non è un caso che le remunerazione economica dei servizi viene basata sui "minuti di assistenza" erogati, senza alcuna attenzione a valorizzare gli interventi più efficaci. Anzi si rinuncia in partenza a definire quali possono essere gli esiti attesi, in favore di una semplice descrizione delle condizioni - base per poter offrire un servizio (orario di apertura, rapporti operatori/utenti, qualifiche degli operatori, procedure ecc). 


 

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