Data di pubblicazione: 30/06/2020
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Obiettivo non può essere “tornare come prima”. Anziani e servizi residenziali


Gruppo Solidarietà - Osservatorio Marche n. 110/2020

L’emergenza coronavirus con i suoi tragici effetti (ricordiamo che nelle Marche sono morte circa 1000 persone con età media di 80 anni) può diventare un’occasione per riflettere, analizzare e, in qualche caso, ripensare i nostri servizi? Mentre sperimentavamo fragilità, debolezza e impotenza, abbiamo pensato che dovevamo rivederne alcuni aspetti strutturali ed organizzativi? Non è stato messo in crisi un modello di assistenza e sostegno alla persona in condizione di fragilità? In particolare, rispetto ai servizi residenziali per persone anziane, quali suggerimenti abbiamo sentito necessario accogliere?

Seguendo in questi mesi anche il dibattito a livello nazionale, ho l’impressione che si stia correndo il rischio di derubricare quanto successo come una dolorosa parentesi,  da chiudere il prima possibile, così da ritornare alla (precedente) normalità[1]. Ma se  gli effetti così disastrosi della pandemia sono da ricondurre anche “al prima”, sono allora necessari ed urgenti cambiamenti, per i quali deve essere profuso tutto l’impegno possibile. 

Ambito di questa riflessione

Riguarda le Marche. Non affronta, il tema complessivo  degli interventi rivolti alle persone malate e non autosufficienti e dunque quali politiche di sostegno a partire, ad esempio, degli interventi a sostegno della domiciliarità. Si concentra su un pezzo  dell’attuale sistema di offerta: l’assistenza residenziale e, nello specifico,  gli interventi che in questo momento ricevono gli anziani - in particolare non autosufficienti - che vivono nelle residenze della nostra Regione. Una tipologia di intervento che, entro pochi giorni, sarà oggetto, da parte della Regione stessa, di una revisione dei requisiti di autorizzazione. Perché scegliere di concentrarsi sulla sola assistenza residenziale? Perché penso che alcuni cambiamenti di questo tassello significativo dell’offerta, possono (potrebbero) venire da un’analisi rigorosa di come stanno funzionando questi servizi.

Stiamo uscendo dalla fase dell’emergenza: ora si stanno affrontando le questioni legate agli accessi di nuovi “ospiti”, alla prevenzione del contagio, ecc … . Ma,  dal mio punto di vista, sarebbe un grave errore ed una imperdonabile sottovalutazione, pensare che la sofferenza di questi mesi sia dovuta soltanto alla straordinaria emergenza che abbiamo affrontato[2]. Si può supporre, forse, il contrario[3]. Ovvero che la pandemia abbia fatto esplodere  importanti problemi già presenti, che per una serie di ragioni  (non solo di tipo economico) si è sempre scelto di non affrontare. Ci si chiede allora quale sia il livello di governo dell’attuale sistema dei servizi residenziali, dato che ad oggi, nella nostra Regione, non pare si sia neanche abbozzata un’analisi ed una riflessione rispetto a quanto accaduto. Provo ad elencare alcune di queste criticità.       

Chi abita le nostre residenze?

Penso che un primo punto irrinunciabile per l’analisi sia questo. Quali sono le condizioni (di salute) delle persone (circa 9.000)  che abitano le nostre residenze? Nelle nostra Regione si usa (o si usava) il sistema RUG per valutare il bisogno delle persone. Ma paradossalmente non per identificare l’appropriatezza del  percorso assistenziale. Infatti, la “misurazione” avveniva (avviene) dopo l’ingresso. Una misurazione che appare, conseguentemente, del tutto inutile. Nonostante ciò, cosa emerge da quei dati? Che, ad esempio,  persone malate e con bisogni sanitari rilevanti vengono inviate presso le Residenze Protette che hanno un “minutaggio infermieristico di 20 minuti al giorno/paziente”? Domande come questa potrebbero oggi essere poste anche dall’autorità giudiziaria chiamata a verificare l’adeguatezza dell’assistenza sociosanitaria nelle strutture che hanno avuto contagi e decessi.

O anche, su quale modello è organizzata l’assistenza medica nelle diverse tipologie di residenze? Nelle Case di riposo e nelle residenze protette, la responsabilità medica dell’assistito è dei MMG. Nelle Residenze sanitarie assistenziali la presenza dei MMG o di MCA viene indicata in 4 ore giornaliere per modulo da 20, più  reperibilità telefonica (sarebbe utile conoscere quanti medici e di che tipo ruotano settimanalmente all’interno della residenza).  

Il punto è che, nelle RSA a gestione diretta ASUR, la maggioranza delle persone ricoverate provengono dall’ospedale e vengono ricoverate per gestire la fase post acuta. Pur essendo classificate come RSA, sono del tutto assimilabili per tipologia di utenza alla post acuzie. E qui si pone un problema analogo a quello delle residenze protette. In questo caso un regime ed uno standard extraospedaliero, definito non per la gestione di pazienti in post acuzie.  

Chi autorizza questi ricoveri? Chi dispone le dimissioni e con quale criterio? Chi stabilisce la durata del ricovero? Sono le Unita Valutative Distrettuali (UVI). La durata della degenza, in queste strutture,  ha come riferimento un criterio cronologico o si basa sulle condizioni della persona? Si tratta di una questione che le Unità Valutative dovrebbero soppesare con grande attenzione per la responsabilità che si assumono nel momento in cui dispongono  ammissioni, permanenze, dimissioni. Non sono cose nuove. Le poniamo pubblicamente all’attenzione da molti anni.             

Standard assistenziale e non solo a prescindere dal Covid

Chi sta valutando se lo standard assistenziale di queste strutture è adeguato? Se le figure professionali previste rispondono alle esigenze delle persone ricoverate? Lo standard è un tassello importantissimo di un sistema, che ha bisogno anche di requisiti strutturali e organizzativi pensati e realizzati in base ai bisogni ed al benessere delle persone. E allora sarebbe importante capire, ad esempio, come sono cambiati strutturalmente i “reparti ospedalieri”, che con le disattivazioni iniziate negli anni novanta sono diventati residenze sanitarie assistenziali. Quanti cameroni a quattro letti sono rimasti? Quante camere, anche con due letti, permangono con spazi ridottissimi? Quali spazi per una vita di comunità.

Ciò ci porta a riflettere sul modello: un’altra questione, per nulla ideologica, che vede oggi prevalere la cosiddetta “efficienza gestionale”, del modulo su modulo, del ruolo del privato speculativo che tanto spinge in questa direzione. E’ importante riprendere con serietà e consapevolezza il tema della sostenibilità di questo modello, declinandolo innanzitutto in termini inclusivi  e di  qualità della vita. Un tema sul quale è doveroso ritornare. Troppo spesso la persona è ridotta alla sua patologia.

Quelli evidenziati sono solo  alcuni degli aspetti che ci sembrano importanti per il nesso ineliminabile esistente tra qualità della vita e qualità della cura. Sono nodi che necessitavano di analisi, riflessioni e interventi indipendentemente dall’emergenza coronavirus. Ora abbiamo una spinta in più per farlo. Un’opportunità che sarebbe un vero peccato non cogliere.

Per approfondire

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Perchè la proposta sui requisiti dei servizi sociosanitari va cambiata.

Video, Servizio TG regione Marche.

 

[1] Vedi, N. Dirindin, Appunti e riflessioni per il dopo, Appunti sulle politiche sociali, n. 2/2020.  

[3] Anche se, forse non per molti attori del sistema, a partire dalla regione Marche, ma anche per gli enti gestori, che hanno partecipato alla stesura, non è così, se sostanzialmente i requisiti di autorizzazione di queste strutture non hanno subito modifiche significative rispetto alle normative di 15 e 20 anni fa.


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