Data di pubblicazione: 03/12/2024
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Raccontiamo l'inclusione. Un prima e un dopo. L’adolescenza di un figlio Asperger e il mondo fuori

In Appunti sulle politiche sociali, n. 2/2023 (243)Puoi sostenerci con l'abbonamento.

Vedi anche,  Raccontiamo noi l’inclusione. Le interviste integrali e i due libri del Gruppo Solidarietà, Raccontiamo noi l’inclusione. Storie di disabilità (2014) e STORIE DI VITA. Genitori e giovani con disabilità si raccontano (2024).

Arianna e Guido, genitori

… effettivamente ti rendi conto che quando diventano adolescenti cambiano loro e il mondo attorno a loro. Il suo centro di riabilitazione è strutturato per riabilitare ragazzini che hanno un’età inferiore… quindi abbiamo noi cercato di poterlo inserire in dei gruppi che in qualche modo favorissero la socializzazione (…) Cosa facciamo con i ragazzini tra i 12 e i 18 anni? Sono 6 anni di vita!! Restano a casa in solitudine? Se vivono così, anche senza difficoltà si creerebbero problemi! Troppo isolamento, troppi anni passati da soli mentre i pari socializzano, nel periodo dell’adolescenza dove, invece, c’è più bisogno” (Intervista a cura di Gloria Gagliardini).

Come vi chiamate?

Siamo Arianna e Guido, abbiamo rispettivamente 55 e 60 anni, viviamo a Jesi e abbiamo 3 figli, il primo di 25 anni, il secondo di 23 anni e il più piccolo di quasi 16 anni che si chiama Mirco. La nostra storia è abbastanza complessa: negli ultimi anni c’è stato un vero e proprio tracollo e diciamo che la nostra vita con Mirco si divide tra pre e post Covid.

Ci raccontate chi è Mirco?

Mirco è un ragazzino Asperger[1], ciò significa che in alcuni ambiti ha delle capacità molto particolari: per esempio è grande esperto di storia del Centro Europa, conosce date e personaggi in modo molto approfondito, allo stesso tempo in altri ambiti non è autonomo, ad esempio, alcune discipline scolastiche come la matematica per lui sono più complicate. Ha delle problematiche legate al contatto sociale con gli altri che nel tempo si sono fatte sempre più evidenti: in particolare nell’interazione e nella comunicazione. Da bambini è più semplice stringere amicizia, poi crescendo le cose si fanno più complicate, si creano dei gruppetti più chiusi e soprattutto per uno che ha addirittura degli interessi così specifici come la storia o la filosofia non è facile interagire. Non è adeguato rispetto ad alcune modalità sociali che gli altri ragazzi condividono; per esempio fino a pochissimo tempo fa non sapeva usare il cellulare, non guardava mai la chat di classe, non sapeva come orientarsi: in questo insomma ha sempre avuto delle difficoltà e negli ultimi anni il divario con i suoi compagni si sta allargando. Mirco non riesce a guardare in faccia l’interlocutore a meno che non ci sia una vicinanza che viene dalla frequentazione continua e dalla stima; ha una difficoltà insormontabile nell’usare i toni della voce, lo sguardo diretto: questo per lui all’inizio è impensabile, poi piano piano può arrivarci. Fino a qualche anno fa era appassionatissimo di cucina, imparava le ricette a memoria, ne faceva anche di complicate, faceva delle cose abbastanza incredibili, disegnava tantissimo, inventava delle storie corredate dai dettagli più minuziosi, scriveva pagine e pagine per raccontare i personaggi di queste storie, era molto creativo, nel suo modo di essere era molto affascinante, con una scrittura composta solo da lettere grandi, in stampato maiuscolo. Voleva fare il registra da grande, voleva scrivere, era proiettato nello scoprire le sue qualità. Questo fino al 2020, quando si sono messi insieme tre eventi: la pandemia, la malattia della mamma e la pubertà. Improvvisamente tutto il mondo attorno a lui è cambiato: è un ragazzino che ha bisogno di certezze e abitudini assicurate, non può cambiare tutto il suo orizzonte all’improvviso. All’inizio del lockdown si è trovato improvvisamente senza la scuola, senza compagni e insegnanti di sostegno che erano un punto di riferimento e senza tutto quello che era il suo piccolo mondo: teatro, rugby, terapia dalla psicologa. Questi fattori avevano fatto sì che già si spegnesse un po': ha perso i suoi interessi, iniziando ad essere “depresso” e in certi momenti agitato: non voleva più uscire, a quel punto non voleva vedere il mondo che era cambiato. Per esempio, prima amava andare a fare le passeggiate fino in pizzeria nella quale poi non voleva nemmeno più entrare perché erano cambiate le regole per l’entrata e l’uscita, si doveva indossare la mascherina ecc. La fatica più grande è stata in realtà dopo l’apice della pandemia; era aprile del 2021, quando dopo un periodo così chiuso e difficile, riprendendo i contatti è subentrata una reazione autoimmune a delle infezioni batteriche ed ha vissuto un crollo psicofisico totale: è dimagrito 10 chili, ha avuto un cedimento completo del tono muscolare e a quel punto temevamo una malattia progressiva di carattere neuromuscolare e da lì è iniziato il calvario. Abbiamo girato l’Italia, cercando di trovare delle spiegazioni che nessuno sembrava saperci dare. Lui era completamente annebbiato, parlava rallentato, non riusciva a tenere la bocca chiusa, faceva fatica a fare una passeggiata di 50 metri, si stendeva per la strada da quanto era sfinito.

Qual è stata la diagnosi?

Non c’è stata una diagnosi, abbiamo girato tanto ma non abbiamo avuto risposte, finché leggendo quali erano i sintomi di questo disturbo autoimmune ho visto che molte cose coincidevano con i suoi sintomi ed ho pensato che potesse avere qualcosa del genere; abbiamo iniziato a cercare in quella direzione ed effettivamente tutte le analisi e gli accertamenti fatti in seguito lo hanno confermato: era una reazione autoimmune ad attacchi batterici e a quel punto abbiamo iniziato delle cure antibiotiche e di controllo dell’umore. Ancora combatte con questa malattia che di fatto non svanisce, si è stabilizzato ma spesso ha dei peggioramenti; questi attacchi gli danno dei sintomi psicotici continui che in passato erano solo accennati. Il suo corpo reagisce a questa aggressione disturbando il cervello, ed è questo che provoca i suoi picchi umorali che sono improvvisi, difficili da gestire, in cui non lo riconosci più, entra in uno stato confusionale, diventa violento, anche verbalmente. Per questo diciamo che c’è stato “un prima e un dopo”.  

Da bambino quali sono stati per voi i segnali di uno sviluppo differente?

Ci siamo accorti subito che qualcosa non andava perché lui era agitatissimo, non aveva il minimo senso del pericolo. Però al nido le maestre erano divise: alcune dicevano che eravamo noi ansiosi, altre dicevano che effettivamente qualcosa di strano c’era: il parere non era univoco. Aveva anche comportamenti bizzarri ed eccentrici ai quali non sapevamo che peso dare. Abbiamo fatto grossa attenzione nella scelta di tutte le scuole; per esempio alla scuola materna lo abbiamo portato a Monsano, perché da ciò che sapevamo era il posto migliore e in effetti lo è stato. Dopo 15 giorni dall’inserimento ci hanno chiamato e ci hanno detto di fare assolutamente una prima visita medica. Poi è arrivata la richiesta di certificazione di disabilità, ma per tanti anni non l’hanno considerato grave perché lui aveva tutta una serie di funzionalità. Dagli ultimi 3 anni, è stata riconosciuta la condizione di gravità (art.3, comma 3, Lg 104/92). Fino a quel momento siamo rimasti sempre senza alcun supporto: invece da novembre scorso le cose sono cambiate, con l’arrivo dell’educatore domiciliare.

Questa diagnosi è arrivata a 3 anni e mezzo…

Sì, aveva una diagnosi di Disturbo del linguaggio e della comunicazione: diciamo che rientrava nelle problematiche dell’autismo in senso più lato. A gennaio 2020 è stato diagnosticato come “Asperger” e gli hanno riconosciuto anche la forma grave. Al centro di riabilitazione andavamo per logopedia e le sedute di psicologia con una professionista molto brava. In questi ultimi due anni però c’è stato un avvicendamento di esperti, che non avevano conosciuto nostro figlio in precedenza. Quindi ci siamo ritrovati che improvvisamente nessuno conosceva più il Mirco di prima; portavo questo ragazzo completamente cambiato e nessuno sapeva più capire la differenza tra il ragazzino vivace di prima e quello spento dopo; era difficile anche per loro capire e agire.

Per questa malattia autoimmune da chi è seguito?

Adesso andiamo da una psichiatra di Firenze che è particolarmente esperta di questo disturbo autoimmune, ci fidiamo molto di questa professionista e qualche miglioramento lo vediamo, stiamo ottenendo qualche risultato. Lui per lo più è allegro, collaborativo, fa battute, riflessioni, pone delle domande profondissime che diventano però anche patologiche, nel senso che quando sta male pretende delle risposte a queste domande importanti quali ad esempio “il senso della vita”, “la prima guerra mondiale”, “la Shoah” alle quali si fatica a dare una risposta perfettamente esaustiva, e lui lì va ancora più in crisi. Al di là di questi comportamenti lui va a scuola, fa una vita che soprattutto ultimamente si è arricchita tanto, in questi ultimi mesi le cose sono migliorate tanto per lui e quindi anche per noi.

Di quali servizi usufruite ora?

A scuola ha 18 ore di sostegno e le restanti 10 ha il servizio di educativa scolastica (AES). Crescendo si è resa viva la necessità di un supporto il pomeriggio; se prima lo portavamo alla festicciola di compleanno dell’amico piuttosto che da altre parti, ora non lo possiamo fare più, serve qualcun altro (non genitore) che lo accompagni tra i suoi pari. Da tanto tempo quindi chiedevamo un paio di ore di educativa pomeridiana, però ci hanno sempre detto che dal 2019 era tutto bloccato, era impossibile. Siamo andati avanti a chiedere questa cosa per anni dopo gli avvenimenti che abbiamo descritto, ma fino adesso noi eravamo gli unici ad interfacciarci con lui… Per il centro di riabilitazione lui è diventato troppo grande.

In che senso?

Sono orientati ad erogare servizi individuali per ragazzi più piccoli e difficilmente riescono ad agire sulle competenze sociali, quindi bisogna pensare ad altro[2]. Al centro di riabilitazione noi ci interfacciamo con psicologa e assistente sociale, le sentiamo a distanza di qualche mese, però non sono in grado di offrire il servizio di cui c’è bisogno quando si ha un ragazzo adolescente con questo genere di problemi. Ci avevano riproposto la logopedia, che però non gli sarebbe servita, mentre su consiglio della psicologa del Centro riabilitativo abbiamo garantito a nostro figlio un percorso psicologico terapeutico privatamente, perché c’era bisogno comunque di alcune cose specifiche per lui, quindi lo abbiamo portato anche ad arteterapia, ippoterapia, a teatro. Negli ultimi anni alcune di queste attività si sono sfaldate, effettivamente ti rendi conto che quando diventano adolescenti il mondo cambia, cambiano loro, il mondo attorno a loro…quindi abbiamo iniziato a cercare di poterlo inserire in dei gruppi che in qualche modo favorissero la socializzazione. Sapevamo del progetto dell’Asp Ambito 9, “Casa di Emma[3]” qui a Jesi; abbiamo chiesto per sapere se potevano aprire un altro gruppo con altri ragazzini a cui anche Mirco potesse partecipare; sono emersi innumerevoli problemi perché questo generi di progetti solo per i maggiorenni. Noi ci domandiamo: cosa fanno questi ragazzi tra i 12 e i 18 anni? Sono 6 anni!! Stanno a casa in solitudine? Troppo isolamento, troppi anni passati da soli mentre gli altri socializzano, nel periodo poi dell’adolescenza, quando avrebbero invece più bisogno. Telefona e ritelefona alla fine mi hanno detto che si poteva organizzare un gruppo per ragazzi più piccoli… però, mancavano i locali, il Centro di riabilitazione dovrebbe suggerire dei nominativi, però, però, però …A quel punto, quando abbiamo trovato un gruppo di genitori più o meno con le stesse esigenze (e siamo in tanti ad avere le stesse esigenze!), subito si è creato questo “qualcosa” e abbiamo a poco a poco messo su un centro di aggregazione che coprisse queste necessità.

In questi anni che supporti avete avuto dai servizi?

Abbiamo usufruito dell’educativa scolastica. Eravamo arrivati ad un punto di tracollo indescrivibile, anche perché lavoriamo entrambi, abbiamo altri due figli e genitori anziani, in più ogni mese un giorno intero a Firenze dalla psichiatra. Da poco tempo ci è arrivato il servizio domiciliare dell’Asp[4], che chiedevamo da 5 anni. Poi è arrivato anche l’educatore tramite INPS[5] che abbiamo assunto noi privatamente, lo abbiamo conosciuto quest’estate perché Mirco è andato ad un centro estivo.

Come vi sentite oggi?

La gestione di nostro figlio ha richiesto a tutta la famiglia uno sforzo grande, di vario genere: un grande lavoro è andare dentro se stessi e misurarsi con il fatto di non potersi innervosire, non poter mettere in atto le strategie che metteresti in atto con un altro figlio che non ha quel genere di problemi, non puoi arrabbiarti… ma questo non lo sai all’inizio, non sei pronto, non si è mai pronti, perché all’inizio non sai che cosa dovresti fare, non capisci quello che sta succedendo, alcune volte addirittura ti senti come se fossi “troppo ansioso” e questo ci è stato anche detto. Poi si cambia, perché a poco a poco si diventa più sensibili, si riesce a capire meglio di cosa c’è bisogno, diventi più squadra. Siamo cresciuti tanto. Sai anche la malattia ti porta ad avere dei livelli diversi di percezione della vita, ti rendi conto di tante cose.

Come nucleo familiare, fratelli compresi, siete stati convocati dai servizi?

Vediamo il ruolo della psicologa del Centro di riabilitazione come colei che inquadra un po' il caso, sottopone dei test di vario genere, ma non c’è una qualche terapia psicologica che viene portata avanti con il nucleo familiare. Ci hanno aiutato molto le psicologhe che abbiamo scelto noi privatamente; percorso che ora sta facendo solo Mirco. Gli educatori sono diventati due figure di riferimento; il loro arrivo ha cambiato la nostra quotidianità, finalmente Mirco ha degli interlocutori con cui si sente libero, scherza, si mette in gioco… è un adolescente che parla dei suoi problemi e questo non è una cosa che puoi fare con i tuoi genitori, infatti con noi non parla affatto. Le novità che sta vivendo sono quelle dell’adolescenza, per esempio l’innamoramento; lui ne parla tantissimo con la psicologa, con l’educatore e riesce a far emergere questo suo mondo. Per lui le emozioni sono difficili da gestire e sono sconosciute le regole sociali. Ad esempio adesso scrive ad una ragazza che ha conosciuto a teatro per chiederle come ci si comporta quando si deve fare la corte ad una ragazza. L’incerto, e cosa c’è di più di incerto delle relazioni umane, per lui è inaccettabile.

In questa fase come si interfacciano le varie figure educative con il Centro riabilitativo?

C’è qualche contatto con la psicologa. Con la psichiatra non si interfaccia nessuno; andiamo noi a Firenze e lei segue il percorso di ripresa di nostro figlio ed effettua un monitoraggio farmacologico. Poi c’è il contatto con gli insegnanti di sostegno a scuola. Il nostro ruolo è quello di cercare che tutto sia coordinato. C’è da dire che il contatto con l’assistente sociale è iniziato negli ultimi due anni perché prima facevamo riferimento solo alla psicologa. Adesso ci si vede in vista del PEI scolastico e in poche altre occasioni e noi li aggiorniamo su quello che succede. Rispetto all’erogazione dei servizi domiciliari a noi adesso sembra di essere miracolati, fino a due anni fa eravamo completamente soli… abbiamo gestito tutti i pomeriggi con nostro figlio da quando è nato.

A scuola che supporti ricevete?

Abbiamo 18 ore divise tra due insegnanti di sostegno; per la maggior parte del tempo sta in classe perché quando è tranquillo è anche molto adeguato soprattutto per alcune discipline. Addirittura in alcune discipline come storia, filosofia, religione, diritto… può dare un contributo al resto della classe: gli altri ragazzi lo guardano con “ammirazione” si chiedono come faccia a sapere tutte quelle cose. Come già detto ogni grado di scuola l’abbiamo scelto sempre con molta cura, considerando che siamo insegnanti, perché ci rendiamo conto che il luogo è fondamentale per creargli attorno l’ambiente più favorevole possibile e questo è stato fondamentale per poter collaborare con gli insegnanti di sostegno, con gli insegnanti di classe ecc. che lo hanno agevolato. Alle superiori c’è un aspetto contenutistico nelle materie che è sempre più importante; in quelle che gli interessano non solo può stare alla pari ma è anche più avanti; in molte altre materie decisive come latino, italiano, matematica… invece lui ha davvero difficoltà. Purtroppo la scuola presta attenzione ai contenuti disciplinari, la realtà è questa: se un ragazzino segue gli obiettivi minimi dei contenuti disciplinari allora può prendere il diploma, altrimenti no. Mirco ha delle potenzialità, ci hanno sempre detto di fargli fare il percorso che lo avrebbe portato a fargli conseguire il diploma, soltanto che questo fa sì che lui alcune volte debba fare cose di cui non capisce il senso. Ad esempio non riesce magari a pagare un pacchetto di patatine perché non comprende il concetto di “resto” ma da programma scolastico deve fare le equazioni, cose che non hanno alcuna ricaduta su di lui. Gli insegnanti possono in qualche modo semplificare, diluire il carico di lavoro, però se ci sono da fare le equazioni le deve fare, non si lavora per competenze reali personalizzate. Queste sono le situazioni che ingessano. Lui ha un PEI e deve rispettare i livelli minimi[6] per ogni materia, ha delle semplificazioni su ogni materia. Le opzioni sono due: o fai un percorso individualizzato che è quello in cui ti viene proposta questa semplificazione rispettando i requisiti minimi della classe, oppure fai un percorso differenziato ma a quel punto non consegui il diploma. Di matematica ora gli danno dei compiti che sono tutto sommato alla sua portata, ma che sono un’estrema semplificazione di quel che c’è di minimo da sapere, così di geometria e di algebra; invece non si tocca affatto tutto l’aspetto della matematica nel mondo, la matematica per comprare, vendere, capire cos’è una multa, risalire ai numeri civici… tutte cose che noi normalmente usiamo nella vita.

Secondo voi, che siete anche insegnanti, è un problema della scuola?

È un problema strutturale della scuola. Ha degli insegnanti di sostegno bravissimi, però anche i professori sono incasellati in questi meccanismi e non ne puoi uscire! Ad esempio l’aspetto della socializzazione: fin dall’inizio i ragazzini con disabilità vengono messi uno per classe, in ogni classe c’è solo un ragazzino con il sostegno, noi abbiamo chiesto che si lavori per gruppi, però poi questo complica la vita degli insegnanti…

Quindi per voi sarebbe meglio in una classe avere un gruppetto di alunni con disabilità?

Sì, per farli socializzare e farli lavorare insieme, invece così c’è un “diverso” in ogni classe. Lui ora ha scarse interazioni con i compagni di classe. Alle medie ogni tanto sono riusciti a fare lavori di gruppo, alle superiori si fa di meno, c’è tutta questa ansia sui contenuti… La domanda di senso che ci poniamo è un po' questa: “che cosa gli resta da ciò che apprende a scuola?” Perché se quella cosa imparata forzatamente poi scompare, allora abbiamo perso tempo, si poteva impiegare quel tempo in altro modo e tanto di quello che facciamo a scuola va perso.

Quindi nelle materie in cui non riesce a stare al passo degli altri, l’insegnante di sostegno ed educatore che fanno?

Fanno i salti mortali per adeguare il programma che stanno facendo in classe alle sue poche abilità in quell’ambito, ma non c’è distinzione tra i due professionisti; l’educatore è un po’ come il supplente dell’insegnante di sostegno.

Non riesce a fare un lavoro più di interazione sociale con gli altri…?

No, perché mentre tutti i ragazzi fanno lezione, lui che farebbe? L’obiettivo è sempre quello dell’arrivare alla valutazione, tutto questo piega il discorso scolastico verso i contenuti e non verso le relazioni. È anche oggettivamente difficile per gli insegnanti: e anche noi facciamo gli insegnanti!

Invece di pomeriggio ora come è impegnato?

Facciamo i compiti dalle 15 alle 16, e tutti giorni più o meno ha qualcosa da fare. Fino a qualche tempo fa stava a casa da solo tutto il tempo: al massimo, guardava i video, leggeva su Wikipedia, invece adesso va al centro aggregativo, sta con altre persone. L’educatore lo viene a prendere e vanno al centro o a fare altre attività.

Il mandato dell’educatore che viene a casa chi lo dà?

Noi. Ci è stato solo comunicato che è una figura che non possiamo utilizzare per fare i compiti. Ma non c’è nessuna progettazione con i servizi su questo ruolo. Al momento del PEI scolastico abbiamo chiesto noi che l’educatore domiciliare si collegasse alla riunione, non era previsto.

Che cosa è questo centro di aggregazione di cui avete parlato?

L’estate scorsa è stato realizzato un centro estivo organizzato da MVB, un centro fisioterapico.  Questo centro estivo che ha avuto un bel successo, è stata un’esperienza molto diversa dal solito perché non è stata una settimana ma due mesi circa: è stato un periodo di tempo lungo e quindi c’è stato modo di affiatarsi tanto, di entrare in contatto in maniera profonda e i genitori poi, alla fine del campo, hanno chiesto se poteva continuare in qualche misura l’attività anche durante l’inverno. A quel gruppo di genitori ci siamo aggregati anche noi, ci siamo messi in rete tutti quanti ed è cominciato il dibattito sulla possibilità di aprire un’attività durante l’inverno in cui i ragazzi si potessero incontrare. Abbiamo quindi cercato dei locali dalla parrocchia San Pietro Martire a Jesi. Al momento ci stiamo accreditando come Centro Aggregativo, il nome è “LiberInsieme Lab”. C’è un ragazzo che garantisce l’apertura del centro tutti i pomeriggi e poi un esperto che organizza ogni giorno un’attività diversa. Infine ci sono gli educatori che accompagnano i ragazzi e rimangono in compresenza con l’esperto per le varie attività che si dipanano durante la settimana. Al momento siamo una decina di famiglie, quindi circa 10 ragazzi con disabilità adolescenti.

Perché questa idea?

Perché questa risponde alle esigenze di molte famiglie. Fino alle elementari la scuola qualche occasione la offre, già alle medie comincia qualche problema ma poi alle superiori c’è un vuoto. Sogniamo anche che da questa esperienza nasca un progetto per introdurre i ragazzi al mondo del lavoro e liberare anche un po’ le famiglie dal carico quotidiano. Per noi fare rete con gli altri è importante, altrimenti ognuno combatte con i mulini a vento da solo: adesso abbiamo modo di confrontarci con altre famiglie e con operatori del settore.

 

[1] La definizione “Sindrome di Asperger” prende il suo nome da quello del medico austriaco Hans Asperger. Era stata introdotta nel DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) nel 1994 e inserita, come l’Autismo, nella categoria dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. Con il DSM-5 (2013) la diagnosi di “Disturbi dello Spettro Autistico” diventa unica, e scompare la categoria “Sindrome di Asperger”. Ciò che differenzia le persone coinvolte è la qualità e quantità di supporto necessario. Si va da un bisogno di supporto molto significativo a uno non intensivo (quest’ultimo è quello che si riferisce alla ex Sindrome di Asperger).

[2] Per approfondire su questo specifico punto sulla presa in carico, si veda anche intervista a Sheila e Lorenzo, “Un’anima nobile alle porte dell’età adulta”, pubblicata in Appunti sulle politiche sociali, n. 240, 3/2022.

[3] “Casa di Emma”, appartamento che coinvolge 5 gruppi di ragazzi con disabilità intellettive inseriti nel servizio di educativa di gruppo (EEG) e nel percorso di autonomia abitativa (si era previsto un weekend al mese di pernotto). Per approfondire vedi intervista a Maria Rita di Palma,” Una “ragazza adulta” e una rete di amici… tutta da coltivare!”, in Appunti sulle politiche sociali, n. 242, 1/2023.

[4] ASP Ambito Territoriale 9 eroga il servizio di AEI (Assistenza educativa individualizzata) rivolto prioritariamente ai soggetti disabili in situazione di gravità, attestata ai sensi della legge 104/1992, per i quali l’Unità multidisciplinare per l’età evolutiva o per l’età adulta dell’Azienda sanitaria e i Centri autorizzati ritengono necessario l’intervento di un educatore.

[5] I genitori si riferiscono all’Home Care Premium: prestazione di assistenza domiciliare a persone non autosufficienti, offerta da INPS per i dipendenti e pensionati.

[6] Si parla di PEI con percorso ordinario solo alle superiori, contrapposto a PEI con percorso differenziato con il quale si perde la validità del titolo di studio che invece non è mai in discussione nel primo ciclo (scuola primaria e sec. di 1° grado). Vedi in proposito le  Linee Guida nuovo Pei (pag. 38/39).

 


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