Dopo la sentenza della Corte costituzionale. Autonomia differenziata atto terzo di Luigi Colombini, già Docente di Legislazione ed Organizzazione dei Servizi Sociali presso Università Statale Roma TRE, corsi DISSAIFE e MASSIFE È stata resa nota la sentenza della Corte costituzionale n. 192/2024 sul Giudizio di legittimità costituzionale in via principale della Legge 26 giugno 2024, n. 86, recante: Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Si ravvisa l’estrema e fondamentale importanza della sentenza che sancisce specifici principi costituzionali a salvaguardia dell’Unità della Repubblica, ed a tale riguardo si riporta il testo che ne esalta e richiama il principio: “la Costituzione definisce la Repubblica come «una e indivisibile» (così il medesimo art. 5 Cost.). L’unità e indivisibilità della Repubblica si fondano sul riconoscimento dell’unità del popolo, a cui l’art. 1, secondo comma, Cost. attribuisce la titolarità della sovranità. La Costituzione riconosce e garantisce pienamente il pluralismo politico (artt. 48 e 49 Cost.), sociale (artt. 2, 17, 18, 39, 118, quarto comma, Cost.), culturale (artt. 9, primo comma, 21, 33, primo comma, Cost.), religioso (artt. 8 e 19 Cost.), scolastico (art. 33, terzo comma, Cost.), della sfera economica (art. 41 Cost.). Tuttavia, tale accentuato pluralismo, che si riflette anche sul piano istituzionale (artt. 5 e 114 Cost.), non porta alla evaporazione della nozione unitaria di popolo. La nostra democrazia costituzionale si basa sulla compresenza e sulla dialettica di pluralismo e unità, che può essere mantenuta solamente se le molteplici formazioni politiche e sociali e le singole persone, in cui si articola il “popolo come molteplicità”, convergono su un nucleo di valori condivisi che fanno dell’Italia una comunità politica con una sua identità collettiva. In essa confluiscono la storia e l’appartenenza a una comune civiltà, che si rispecchiano nei principi fondamentali della Costituzione. A tutto ciò si riferisce la stessa Costituzione quando richiama il concetto di “Nazione” (artt. 9, 67 e 98 Cost.). Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano, senza che siano in alcun modo configurabili dei “popoli regionali” che siano titolari di una porzione di sovranità (sentenza n. 365 del 2007). L’unità del popolo e della nazione postula l’unicità della rappresentanza politica nazionale. Sul piano istituzionale, questa stessa rappresentanza e la conseguenziale cura delle esigenze unitarie sono affidate esclusivamente al Parlamento e in nessun caso possono essere riferite ai consigli regionali (sentenza n. 106 del 2002)”. Tali solenni affermazioni escludono qualsiasi tendenza all’autonomia popular-regionale, solleticata dai referendum “popolari” della Regione Lombardia e della Regione Veneto, e sottolineano anche il richiamo al concetto di “Nazione”, che da qualche parte politica viene additata quale proprio esclusivo mandato nonché appropriazione. Richiamando il principio della sussidiarietà e della solidarietà , viene solennemente riconosciuto il ruolo del Parlamento in ordine al quale viene affermato che “spetta, però, solo al Parlamento il compito di comporre la complessità del pluralismo istituzionale. La tutela delle esigenze unitarie, in una forma di governo che funziona secondo la logica maggioritaria, è espressione dell’indirizzo politico della maggioranza e del Governo, nel rispetto del quadro costituzionale. Tuttavia, la sede parlamentare consente un confronto trasparente con le forze di opposizione e permette di alimentare il dibattito nella sfera pubblica, soprattutto quando si discutono questioni che riguardano la vita di tutti i cittadini. Il Parlamento deve, inoltre, tutelare le esigenze unitarie tendenzialmente stabili, che trascendono la dialettica maggioranza-opposizione. Di conseguenza, la vigente disciplina costituzionale riserva al Parlamento la competenza legislativa esclusiva in alcune materie affinché siano curate le esigenze unitarie (art. 117, secondo comma, Cost.), e gli affida altresì dei compiti unificanti nei confronti del pluralismo regionale, che si esplicano principalmente attraverso la determinazione dei principi fondamentali nelle materie affidate alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni (art. 117, terzo comma, Cost.), attraverso la competenza statale nelle cosiddette “materie trasversali” e mediante la perequazione finanziaria a favore dei territori con minore capacità fiscale per abitante (art. 119, terzo comma, Cost.).” A tale riguardo si conferma le funzione di indirizzo e coordinamento dello Stato nei confronti delle Regioni, che sono esercitate dal Parlamento, come già affermato nel DPR n. 616/77 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 3/2003. Per ciò che concerne il riferimento più specifico all’ autonomia differenziata, con riferimento al nodo cruciale del terzo comma dell’art. 13 della Costituzione, la suprema Corte ne definisce e ne delimita rigorosamente i confini, rilevando che “Certamente qualsiasi sistema regionale ha in sé degli elementi di competizione tra le regioni, perché dà modo a ciascuna di esse, nell’ambito delle attribuzioni costituzionali, di seguire politiche differenti nella ricerca dei migliori risultati. Tuttavia, l’ineliminabile concorrenza e differenza tra regioni e territori, che può anche giovare a innalzare la qualità delle prestazioni pubbliche, non potrà spingersi fino a minare la solidarietà tra lo Stato e le regioni e tra regioni, l’unità giuridica ed economica della Repubblica (art. 120 Cost.), l’eguaglianza dei cittadini nel godimento dei diritti (art. 3 Cost.), l’effettiva garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) e quindi la coesione sociale e l’unità nazionale – che sono tratti caratterizzanti la forma di Stato –, il cui indebolimento può sfociare nella stessa crisi della democrazia. Coerentemente con la suddetta esigenza, il regionalismo italiano, nel cui ambito deve inserirsi la differenziazione di cui all’art. 116, terzo comma, Cost., non è un “regionalismo duale” in cui tra una regione e l’altra esistono delle paratie stagne a dividerle. Piuttosto, è un regionalismo cooperativo (sentenza n. 121 del 2010, punto 18.2. del Considerato in diritto), che dà ampio risalto al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni (ex multis, sentenze n. 87 del 2024 e n. 40 del 2022) e che deve concorrere alla attuazione dei principi costituzionali e dei diritti che su di essi si radicano. A tale logica costituzionale va ricondotta la differenziazione contemplata dall’art. 116, terzo comma, Cost., che può essere non già un fattore di disgregazione dell’unità nazionale e della coesione sociale, ma uno strumento al servizio del bene comune della società e della tutela dei diritti degli individui e delle formazioni sociali. Il sistema costituzionale garantisce sia l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, sia l’autonomia politica regionale e la possibilità della differenziazione tra le stesse regioni. Per quanto riguarda la ripartizione dei compiti, il collegamento tra l’unità e indivisibilità della Repubblica, da una parte, e l’autonomia delle regioni accresciuta grazie alla differenziazione di cui all’art. 116, terzo comma, Cost., dall’altra, è assicurato dal principio di sussidiarietà. Il principio di sussidiarietà è, del resto, un principio fondamentale dello spazio costituzionale europeo. Esso orienta la ripartizione delle competenze legislative tra l’Unione e gli Stati membri (art. 5 TUE, nonché il Protocollo n. 2 annesso al Trattato) ed è altresì riconosciuto dal diritto costituzionale di alcuni Stati membri (art. 72 della Costituzione francese e art. 6 della Costituzione portoghese). Nell’ordinamento italiano, il principio di sussidiarietà verticale ha un riconoscimento testuale negli artt. 118, primo comma, e 120, secondo comma, Cost. (con riferimento, rispettivamente, alle funzioni amministrative ed al potere sostitutivo), ed è stato oggetto di elaborazione da parte della giurisprudenza costituzionale, che l’ha esteso alla funzione legislativa tramite l’istituto della “chiamata in sussidiarietà” (sentenze n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004). Anche la legge impugnata, peraltro, richiama il principio di sussidiarietà negli artt. 1, comma 1, e 6, comma 1. Tale principio esclude un modello astratto di attribuzione delle funzioni, ma richiede invece che sia scelto, per ogni specifica funzione, il livello territoriale più adeguato, in relazione alla natura della funzione, al contesto locale e anche a quello più generale in cui avviene la sua allocazione. La preferenza va al livello più prossimo ai cittadini e alle loro formazioni sociali, ma il principio può spingere anche verso il livello più alto di governo. Ai fini dell’attribuzione della funzione, contano le sue caratteristiche e il contesto in cui la stessa si svolge. La sussidiarietà funziona, per così dire, come un ascensore, perché può portare ad allocare la funzione, a seconda delle specifiche circostanze, ora verso il basso ora verso l’alto. Poiché il principio di sussidiarietà opera attraverso un giudizio di adeguatezza, esso non può che riferirsi a specifiche e ben determinate funzioni e non può riguardare intere materie. L’art. 116, terzo comma, Cost. va interpretato coerentemente con il significato del principio di sussidiarietà, e pertanto la devoluzione non può riferirsi a materie o ad ambiti di materie, ma a specifiche funzioni. Il tenore letterale della disposizione conferma tale conclusione. Essa, infatti, fa riferimento alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia «concernenti le materie», lasciando intendere che il trasferimento non riguarda le materie ma le singole funzioni concernenti le materie. Poiché tale disposizione prevede l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia, senza distinguere la natura legislativa o amministrativa della devoluzione, quest’ultima potrà riguardare solamente funzioni amministrative o legislative, oppure tanto le funzioni legislative che quelle amministrative concernenti il medesimo oggetto. In definitiva, secondo la prospettiva costituzionale, incentrata sul principio di sussidiarietà, la scelta sulla ripartizione delle funzioni legislative e amministrative tra lo Stato e le regioni o la singola regione, nel caso della differenziazione ex art. 116, terzo comma, Cost., non può essere ricondotta ad una logica di potere con cui risolvere i conflitti tra diversi soggetti politici, né dipendere da valutazioni meramente politiche. Il principio di sussidiarietà richiede che la ripartizione delle funzioni, e quindi la differenziazione, non sia considerata ex parte principis, bensì ex parte populi. La ripartizione delle funzioni deve corrispondere al modo migliore per realizzare i principi costituzionali. Tale necessità è affermata dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui, nel contesto della riforma del Titolo V della Costituzione, «la maggiore autonomia è stata riconosciuta nell’ambito di una prospettiva generativa, per cui promuovendo processi di integrazione fra i vari livelli istituzionali e civili, gli enti territoriali avrebbero consentito una migliore attuazione, rispetto all’assetto precedente, dei valori costituzionali» (sentenza n. 168 del 2021). In questa prospettiva, l’adeguatezza dell’attribuzione della funzione ad un determinato livello territoriale di governo va valutata con riguardo a tre criteri: l’efficacia e l’efficienza nell’allocazione delle funzioni e delle relative risorse, l’equità che la loro distribuzione deve assicurare e la responsabilità dell’autorità pubblica nei confronti delle popolazioni interessate all’esercizio della funzione. Tali criteri trovano fondamento nella Costituzione. L’art. 116, terzo comma, Cost., è un’altra espressione della flessibilità propria del principio di sussidiarietà. Esso contiene una clausola generale di flessibilità che consente a ciascuna regione di chiedere di derogare all’ordine di ripartizione delle funzioni ritenuto in via generale ottimale dalla Costituzione. Poiché si tratta di una deroga alla ordinaria ripartizione delle funzioni, essa va giustificata e motivata con precipuo riferimento alle caratteristiche della funzione e al contesto (sociale, amministrativo, geografico, economico, demografico, finanziario, geopolitico ed altro) in cui avviene la devoluzione, in modo da evidenziare i vantaggi – in termini di efficacia e di efficienza, di equità e di responsabilità – della soluzione prescelta. L’iniziativa della regione e l’intesa previste dalla suddetta disposizione costituzionale devono, pertanto, essere precedute da un’istruttoria approfondita, suffragata da analisi basate su metodologie condivise, trasparenti e possibilmente validate dal punto di vista scientifico (come, peraltro, suggerito dalla Banca d’Italia nella memoria depositata il 27 marzo 2024 nel corso dell’audizione davanti alla I Commissione, Affari costituzionali, della Camera dei deputati). In ogni caso, anche qualora alcune funzioni concernenti una determinata materia vengano spostate alla competenza legislativa piena della regione, resteranno fermi i limiti generali di cui all’art. 117, primo comma, Cost. e le competenze legislative trasversali dello Stato come la tutela della concorrenza, l’ordinamento civile e i LEP, così come resta operativo il potere sostitutivo di cui all’art. 120, secondo comma, Cost”. Le suddette affermazioni si soffermano sul principio fondamentale della uguaglianza dei cittadini e della uguale fruizione dei LEP, così come, nel contesto dell’Unità nazionale, va inquadrato il principio della sussidiarietà che non è un principio generico, ma va attribuito a specifiche funzioni, ed alla loro natura, nonché il principio della solidarietà. In ordine all’osservanza ed alla definizione delle politiche volte a tutela e sancire l’esercizio dei diritti civili e sociali previsti dall’art. 117 lettera m), viene confermatala competenza esclusiva dello Stato in specifiche materie, quali la tutela dell’ambiente, la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia elettrica, il commercio con l’estero, le reti delle comunicazioni, di trasporto e navigazione, nonché l’istruzione intorno alla quale"non sarebbe quindi giustificabile una differenziazione che riguardi la configurazione generale dei cicli di istruzione e i programmi di base, stante l'intima connessione di questi aspetti con il mantenimento dell'identità nazionale". Per ciò che concerne la complessa situazione relativa ai LEP, la suprema Corte in effetti ha ricondotto alla funzione del Parlamento tutto il processo istruttorio ed elaborativo, sancendo che: “occorre, pertanto, verificare l’idoneità, sotto questo profilo, delle norme richiamate dall’impugnato art. 3, comma 1, cioè dei commi da 791 a 801-bis dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022. Tali disposizioni regolano una procedura di determinazione dei LEP (ai fini dell’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost.) che culmina in uno o più d.P.C.m., previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sulla base di un’intesa con la Conferenza unificata (comma 796). Nella procedura intervengono anche la Cabina di regia per la determinazione dei LEP, che è un organo politico (comma 792), e la Commissione tecnica per i fabbisogni standard (comma 793). Il comma 791 fornisce una definizione di LEP e indica alcune finalità da perseguire con la determinazione degli stessi LEP («pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni», «assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali», «favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza»). Tali finalità si rivelano alquanto generiche e inidonee a guidare il potere legislativo delegato, tanto che risulta difficile immaginare che possano fungere da parametro in un eventuale sindacato sui futuri decreti legislativi per eccesso di delega. D’altro canto, le norme procedurali dettate dai commi 792 e seguenti non sono sufficienti per soddisfare lo standard dell’art. 76 Cost., dato che questa norma costituzionale esige che il potere governativo sia guidato dalle Camere. È da sottolineare, a tal proposito, che i LEP implicano una delicata scelta politica, perché si tratta – fondamentalmente – di bilanciare uguaglianza dei privati e autonomia regionale, diritti e esigenze finanziarie e anche i diversi diritti fra loro. Si tratta, in definitiva, di decidere i livelli delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali, con le risorse necessarie per garantire uno standard uniforme delle stesse prestazioni in tutto il territorio nazionale. Il vizio alla base dell’art. 3, comma 1, sta nella pretesa di dettare contemporaneamente criteri direttivi – per relationem – con riferimento a numerose e variegate materie. Poiché ogni materia ha le sue peculiarità e richiede distinte valutazioni e delicati bilanciamenti, una determinazione plurisettoriale di criteri direttivi per la fissazione dei LEP, che non moduli tali criteri in relazione ai diversi settori, risulta inevitabilmente destinata alla genericità. Del resto, fino alla legge n. 197 del 2022 la determinazione dei LEP è stata compiuta in modo distinto per ciascuna materia: si vedano i LEA in materia sanitaria (da ultimo, d.P.C.m. 12 gennaio 2017, recante «Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502»), i LEP in materia di servizi sociali (art. 22 della legge 8 novembre 2000, n. 328, recante «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» e art. 1, commi 159 e seguenti, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024»), i LEP in materia di istruzione e formazione professionale (artt. 15 e seguenti del decreto legislativo 7 ottobre2005, n. 226, recante «Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell'articolo 2 della L. 28 marzo 2003, n. 53»). L’art. 3, comma 1, della legge n. 86 del 2024, dunque, è costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 76 Cost. (sentenze n. 280 del 2004 e n. 47 del 1959). Tale vizio si riflette in lesione delle competenze costituzionali delle ricorrenti, perché il conferimento di un potere legislativo delegato illegittimo per insufficienza di criteri direttivi delinea un quadro illegittimo dell’azione regionale, dato che i LEP intersecano numerose materie regionali. Le altre questioni relative all’art. 3, comma 1, restano assorbite. La determinazione dei LEP dovrà dunque avvenire (anche con l’ausilio del lavoro svolto dal Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei LEP, istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2023) nel rispetto dei principi costituzionali, quali richiamati dalla presente sentenza. L’art. 3, comma 1 (scrutinato nel punto 9.2.), conferisce una delega legislativa per la determinazione dei LEP. L’art. 3, comma 7, prevede che questi futuri decreti legislativi possano essere successivamente modificati con un atto sub-legislativo, cioè con un d.P.C.m. Tale meccanismo risulta intrinsecamente contraddittorio e dissonante rispetto al sistema costituzionale delle fonti. Esso si distingue da quello della delegificazione (come notato nel parere del Comitato per la legislazione, che ha chiesto alla Commissione di merito della Camera di valutare l’opportunità di una riformulazione della disposizione) per un profilo essenziale: mentre l’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), prevede che la legge di delegificazione disponga l’abrogazione di norme legislative previgenti, a decorrere dall’entrata in vigore del regolamento di delegificazione, la norma in esame prevede la modifica di un atto legislativo futuro ad opera di un atto sostanzialmente regolamentare (il d.P.C.m.). L’art. 3, comma 7, non può disporre della forza dei decreti legislativi di determinazione dei LEP, perché essi ancora non esistono. Dunque, la norma impugnata configura il d.P.C.m. come una fonte primaria, essendo esso abilitato a modificare un decreto legislativo per forza propria. L’art. 3, comma 7, prevedendo contraddittoriamente che un futuro atto avente forza di legge possa essere modificato con un atto sub-legislativo, viola l’art. 3 Cost. Tale vizio si riflette in lesione delle competenze costituzionali delle ricorrenti, perché (analogamente a quanto rilevato per l’art. 3, comma 1) l’art. 3, comma 7, delinea un quadro illegittimo dell’azione regionale, dato che i LEP intersecano numerose materie regionali. Ad abundantiam, si può rilevare che la norma impugnata finisce anche per porsi in contrasto, da un lato, con il principio secondo il quale una fonte primaria non può creare una fonte con sé concorrenziale (sentenze n. 198 del 2021 e n. 361 del 2010), dall’altro con l’art. 76 Cost., perché, attribuendo al Presidente del Consiglio il potere di aggiornare i LEP fissati con decreto legislativo, in sostanza conferisce un’altra delega ad un organo diverso dall’unico cui la delega legislativa può essere data (il Governo nella sua interezza), in base all’art. 76 Cost. La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, determina l’inapplicabilità dell’art. 3, commi 2 (che regola il procedimento di adozione dei decreti legislativi di cui al comma 1), 4 (che affida ai decreti di cui al comma 1 la disciplina del monitoraggio sulla garanzia dell’erogazione dei LEP), 5 e 6 (riguardanti adempimenti successivi allo stesso monitoraggio). Occorre quindi dichiararne l’illegittimità costituzionale in via consequenziale, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, poiché, essendo essi strettamente connessi a quello caducato, sono divenuti inapplicabili (sentenze n. 113 del 2023 e n. 193 del 2022). Ciò determina l’assorbimento delle questioni proposte dalle ricorrenti in relazione all’art. 3, commi 2, 4 e 5 (per violazione del principio di leale collaborazione), e di quella avente ad oggetto l’art. 3, comma 4, proposta dalla Regione Puglia per violazione dell’art. 76 Cost. L’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Come già detto (punto 9.2.), si tratta di un potere attribuito dalla Costituzione allo Stato al fine di conciliare l’uguaglianza delle persone con l’autonomia degli enti territoriali, che nel 2001 risultava accresciuta (sentenze n. 282 del 2002 e n. 88 del 2003). Il legislatore statale ha il compito di garantire uno standard uniforme delle prestazioni relative ai diritti in tutta Italia, tenendo conto delle risorse disponibili. Dai lavori preparatori della legge cost. n. 3 del 2001 risulta che l’inciso «livelli minimi di garanzia» (contenuto nel testo unificato della I Commissione della Camera) fu sostituito dall’Aula con la formula attuale («livelli essenziali delle prestazioni»), proprio per assicurare «uniformità dei diritti fondamentali in tutto il paese» (seduta n. 774 del 20 settembre 2000). Lo scopo era assicurare, se possibile, uno standard di tutela superiore al nucleo minimo del diritto, in collegamento (per quel che riguarda i diritti sociali) con l’art. 3, secondo comma, Cost., che affida alla Repubblica il compito – di più ampio respiro rispetto all’erogazione delle prestazioni minime – di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Che l’orizzonte concettuale dei LEP sia l’eguaglianza e non il nucleo minimo del diritto risulta anche dall’art. 120, secondo comma, Cost., nell’ambito del quale la garanzia dei LEP rientra nella «tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica». Occorre, però, precisare che, una volta che siano determinati dal legislatore statale, i LEP rappresentano una soglia vincolante che dev’essere rispettata dalle autonomie territoriali. Coerentemente, la determinazione dei LEP implica che gli enti territoriali dispongano delle necessarie risorse, attraverso i canali previsti dall’art. 119 Cost.: dunque, anche attraverso il fondo perequativo (artt. 8, comma 1, lettera g, e 9 della legge n. 42 del 2009; art. 15 del d.lgs. n. 68 del 2011). In sintesi, il nucleo minimo del diritto è un limite derivante dalla Costituzione e va garantito da questa Corte, anche nei confronti della legge statale, a prescindere da considerazioni di ordine finanziario: «[e`] la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (sentenza n. 275 del 2016; si vedano anche, ad esempio, le sentenze n. 152 del 2020, in materia di pensione di inabilità, e n. 309 del 1999, in materia di assistenza sanitaria all’estero). Invece, i LEP sono un vincolo posto dal legislatore statale, tenendo conto delle risorse disponibili, e rivolto essenzialmente al legislatore regionale e alla pubblica amministrazione; la loro determinazione origina, poi, il dovere dello stesso Stato di garantirne il finanziamento. La distinzione tra LEP e nucleo minimo del diritto consente di non svuotare di senso la competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.: infatti, se i due concetti coincidessero, tale norma attribuirebbe al legislatore statale il mero compito di esplicitare un vincolo già derivante dalle norme costituzionali sui diritti. In linea generale, i LEP rappresentano – come detto – il frutto di un bilanciamento, da operare tenendo conto delle risorse disponibili. Perciò, questa Corte ha sottolineato «la discrezionalità politica del legislatore nella determinazione – secondo canoni di ragionevolezza – dei livelli essenziali» (sentenza n. 169 del 2017). La legge impugnata ha subordinato il conferimento delle forme particolari di autonomia, ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., alla determinazione dei relativi LEP e costi standard (art. 1, comma 2, e art. 4, comma 1); essa ha così ribadito la scelta già compiuta dall’art. 1, comma 791, della legge n. 197 del 2022 (salva l’esclusione delle cosiddette materie “no-LEP”, non menzionate dall’art. 3, comma 3, della legge impugnata: punto 15.2.). L’interpretazione sistematica delle disposizioni costituzionali pertinenti (artt. 116, terzo comma, e 117, secondo comma, lettera m, Cost.), lette alla luce dei principi di solidarietà, di eguaglianza sostanziale e di unità (artt. 2, 3, secondo comma, e 5 Cost.), fa sì che, nel momento in cui il legislatore statale conferisce una maggiore autonomia a una determinata regione, con riferimento a una specifica funzione, che implica prestazioni concernenti diritti civili o sociali, debba previamente determinare uno standard uniforme di godimento del relativo diritto in tutto il territorio nazionale, in nome di un principio di solidarietà che questa Corte ha declinato anche nel rapporto fra enti (sentenza n. 355 del 1994). La determinazione dei LEP (e dei relativi costi standard) rappresenta il necessario contrappeso della differenziazione, una “rete di protezione” che salvaguarda condizioni di vita omogenee sul territorio nazionale." OSSERVAZIONI In linea di massima, l’autonomia differenziata, così come individuabile nell’art. 116, comma 3 della Costituzione, viene confermata, e quindi la legge 82/2024 non è incostituzionale in sé. La Corte conferma che il regionalismo corrisponde a un’esigenza insopprimibile della nostra società, come si è gradualmente strutturata anche grazie alla Costituzione. Viene peraltro rimarcato che la vigente disciplina costituzionale riserva al Parlamento la competenza legislativa esclusiva in alcune materie affinché siano curate le esigenze unitarie e gli affida compiti unificanti nei confronti del pluralismo regionale. Il Parlamento, nella sua discrezionalità politica, deve definire i LEP, secondo quanto indicato dall’art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione, fatta salva l’ Unità della Repubblica, in cui esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano. In tale contesto viene cancellata la surrettizia tentazione che traspariva nella legge finanziaria 2023 di arrogare alla competenza della Presidenza del consiglio dei ministri la funzione di definire i LEP, avvalendosi di apposita Cabina di regia. Le competenze delle Regioni in materia di LEP vengono ritagliate per specifiche singole e negoziabili funzioni, con procedura aggravata e complessa, e non già quale processo riferito al “prendere o lasciare”, sulla base di una semplice elaborazione e determinazione della Regione. Alcune materie vengono definite non negoziabili, e in quanto tali non trasferibili alle Regioni, e rimangono esclusiva competenza dello Stato, come sopra indicato. Viene sottolineata anche la normativa europea che non può non essere riferibile se non allo Stato. Inoltre dalla sentenza della Corte costituzionale si rileva che la riforma sull’autonomia differenziata così come configurata non rispetta il principio di sussidiarietà previsto dall’articolo 116 della Costituzione, che “richiede che il trasferimento riguardi specifiche funzioni, di natura legislativa e/o amministrativa, e sia basato su una ragionevole giustificazione, espressione di un’idonea istruttoria, alla stregua del principio di sussidiarietà”, e che “la ripartizione delle funzioni deve corrispondere al modo migliore per realizzare i principi costituzionali e all’adeguatezza dell’attribuzione della funzione a un determinato livello”. L’autonomia deve essere ispirata ai principi di solidarietà, cooperazione e salvaguardia dell’unità nazionale. La Consulta si riserva inoltre di vigilare sulle future leggi di differenziazione, che potranno essere impugnate da qualsiasi Regione per verificarne la conformità ai principi costituzionali. In definitiva la Corte costituzionale con la sua sentenza, promossa peraltro da alcune Regioni su propria autonoma iniziativa, e mobilitando i propri apparati giuridici al riguardo, ha fatto non solo in punto sulla complessa e sempre difficile materia dei rapporti Stato-Regioni, ma in effetti ha esposto “ad abundatiam” una vera e propria lezione di diritto costituzionale, con puntuali e precisi riferimenti a tutto lo storico percorso svolto dalla stessa Corte con la numerose sentenze al riguardo, e che comunque confermano l’Unità della Repubblica, il ruolo del Parlamento, nella propria funzione di indirizzo e coordinamento, del Governo, sottolineandone e specificandone le funzioni, nonché delle Regioni, nelle loro prerogative e nelle loro specifiche competenze. Resta da vedere quali conseguenze potrà avere la Sentenza della Corte costituzionale in ordine alle repentine ed immediate determinazioni della Regione Veneto si era precipitata a suo tempo con apposite Deliberazioni a definire il proprio percorso sull’autonomia differenziata: DGR 26 giugno 2024, n. 709, Disposizioni concernenti la Consulta del Veneto per l'autonomia in vista della ripresa del negoziato con lo Stato per il conseguimento di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. NB APPROVATA LO STESSO GIORNO DI EMANAZIONE DELLA LEGGE, E CHE SAREBBE ENTRATA IL VIGORE IL 13 LUGLIO 2024(BUR n. 100 del 26.7.24), DGR 26 giugno 2024, n. 710, Supporto all'Amministrazione regionale e al Presidente della Regione in relazione alla ripresa del negoziato con lo Stato per il conseguimento di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, a seguito dell'approvazione della legge statale per l'attuazione dell'autonomia differenziata. Nuove determinazioni. (BUR n. 100 del 26.7.24); DGR 13 agosto 2024, n. 954, Approvazione del documento illustrativo del percorso e del metodo seguiti dalla Regione del Veneto ai fini del conseguimento di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell'art. 116, terzo comma della Costituzione. Vedi anche Autonomia differenziata. La sentenza della Corte costituzionale Autonomia differenziata (L. 86/2024). Testo, analisi e commenti .............. 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