Come conoscere il sistema operativo budget di salute in 11 mosse! Ma già nel 2019 era tutto chiaro e possibile! Fausto Giancaterina, Già direttore servizi disabilità e salute mentale Comune di Roma 1. La definizione di “budget di salute” La definizione più appropriata la troviamo all’art. 53 della Legge Regionale del Lazio n.11/2016 ed è la seguente: “La Regione, al fine di dare attuazione alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sui “determinanti sociali della salute” e alle relative raccomandazioni del 2009, adotta una metodologia di integrazione sociosanitaria basata su progetti personalizzati sostenuti da budget di salute, costituiti dall’insieme di risorse economiche, professionali e umane necessarie a promuovere contesti relazionali, familiari e sociali idonei a favorire una migliore inclusione sociale del soggetto assistito”. L'elaborazione di quell’articolo 53 è scaturita dal personale studio ed approfondimento di concetti ed esperienze del sistema operativo BdS attuate in Campania e Friuli Venezia Giulia e narrate da Fabrizio Starace in un libro[1] e poi, su mio invito, riproposte prima in un convegno a Roma in Campidoglio (“Dal supermercato delle prestazioni al Budget di salute. Ovvero: da pazienti/assistiti a coproduttori del proprio bene-essere!) e poi in un seminario di approfondimento presso l’Opera Don Calabria di Roma rispettivamente negli anni 2013 e 2014. Posso, quindi, affermare che il BdS: 2. Gli elementi di integrazione che caratterizzano questo sistema operativo Prima di tutto il Budget di Salute non può essere operativo se non viene attuata questa fondamentale scelta strategica: l’integrazione sociosanitaria. Se si vuole operare con risposte unitarie a complesse situazioni dei cittadini, occorre essere convinti che “sociale e sanitario sono le due metà di uno stesso intero: la salute della persona e della sua cura che non si risolvono nella sanità, ma richiedono anche l’apporto del sociale”. Diversamente questo sistema operativo non è proponibile, poiché è un sistema caratterizzato da un’elevata flessibilità che considera centrale la persona, nella sua incontestabile unitarietà e multidimensionalità e pertanto esige un approccio centrato su una forte attenzione ai determinanti sociali di salute, riscontrabili nel contesto sociale, economico lavorativo, relazionale e valoriale delle singole persone. Inoltre nel promuove e attuare il protagonismo dei cittadini/utenti, che vengono coinvolti nella co-costruzione dei progetti personali, attua anche il principio di sussidiarietà e mira alla creazione di rapporti di tipo partenariale fra enti pubblici e organizzazioni del Terzo settore che, in tal modo, vengono coinvolti nella co-progettazione e co-gestione dei progetti personalizzati. Questa forma organizzativa enfatizza il modello della rete e il dispositivo contrattuale, promuovendo e premiando l’innovazione e il cambiamento. 3. Le criticità e gli ostacoli per una piena applicazione del budget di salute una prima criticità deriva dall'avere un sistema di welfare regionale tipicamente costruito da “filiere” tecnico/amministrative che generalmente agiscono in parallelo e separatamente e che non comunicano tra loro; sono autoreferenziali e per trovare una possibile integrazione occorre fare affidamento unicamente sulla sensibilità degli operatori. Questo sistema è la madre di tutti i disagi poiché si identifica nella strutturale separazione tra sociale e sanitario e, purtroppo, bisogna aggiungere che tale separazione tocca anche l’educativo, lo scolastico, la formazione e il lavoro, oltre alle indennità monetarie. La causa di tutto questo (che impedisce l’uscita da questa trappola concettuale) è dovuta al fatto che tale visione continua ad essere perfettamente funzionale per quella prassi operativa seguita da diversi professionisti (sostenuti in questo dalle diverse famiglie professionali) tendente a sfuggire alla pesantezza della responsabilità della “presa in carico globale” delle persone, per seguire l'attrazione della specializzazione, che spesso si traduce in ipersemplificazione dell'azione professionale, allontanando ogni possibile approccio multidimensionale, diventando, in tal modo, il principale ostacolo al passaggio culturale ed operativo dei processi di integrazione sociosanitaria e di adozione di sistemi operativi come il Budget di Salute. Benedetto Saraceno[2] ha sintetizzato magistralmente questa situazione quando invita a non accettare più il dominio di un’esclusiva visione bio/medica delle persone: “Il ruolo egemonico del modello bio-psico-medico, lineare, individualista, a-storico, permea e colonizza tutti i problemi del vivere; […], il modello bio-psico-medico si appropria della sofferenza, la classifica, la frammenta e somministra risposte” e sposta l’attenzione esclusivamente sui problemi clinici dell’individuo e concentra ogni intervento su obiettivi di compensazione del deficit, isolando la persona dal suo ambiente e facendo credere (erroneamente) che il bene-essere della persona sia legato esclusivamente al superamento dei limiti della persona stessa. 4. La relazione che intercorre tra il budget di salute ed il progetto personalizzato Occorre ricordare che il BdS, nel rimarcare come scelta strategica la centralità dell’unitarietà della persona, spinge a un ripensamento delle logiche che sottendono l’organizzazione e le prassi operative dei servizi territoriali e suggerisce, nella riorganizzazione dei servizi stessi, di staccarsi dalla logica dei bisogni e adottare la logica dei diritti. La logica dei bisogni produce massicce pratiche unidimensionali di salute e di sviluppo delle persone, basate, (appunto!) sulla categorizzazione dei suoi “bisogni” e assegnando l’intervento prevalentemente a singoli professionisti che attuano, generalmente, esclusive tecnicalità specialistiche psico/mediche, ritenendo difficilmente praticabile l’approccio multidimensionale della persona come raccomandato dell’ormai celebre, ma poco praticata, indicazione dell’OMS riassunta in: “bio-psico-sociale” e alla quale bisognerebbe aggiungere, a mio avviso, “ed educativo”. La tendenza è quella di confezionare casacche “multitaglia” (i contenitori/servizi) piuttosto che vestiti “sartoriali” su misura, tutto il contrario, quindi del progetto di vita personalizzato, che richiede un approccio di mediazione per garantire realmente l’esigibilità dei diritti: dalla salute, all’adultità, alla propria dimensione affettivo-relazionale, al poter avere un ruolo sociale e di partecipazione allo sviluppo del proprio contesto di vita. Per questo la relazione tra sistema operativo BdS e progetto personalizzato è strettamente inscindibile, poiché promuove l’inclusione ed il mantenimento nella comunità sociale delle persone, ricentrando l’intera rete dei servizi sociosanitari sul benessere sociale dei cittadini piuttosto che sulla loro malattia. Non stiamo parlando di un nuovo servizio, ma di un cambiamento di prospettiva e di approccio da parte dei servizi territoriali: operatori, famiglie, comunità, Pubbliche Amministrazioni e Terzo settore ridefiniscono il proprio ruolo e reinventano la presa in carico. 5.il Budget di salute, i determinanti della salute e la definizione del progetto personalizzato Sappiamo da vari studi e ricerche[3] che l’assistenza sanitaria incide solo per il 15% sul miglioramento dello stato di salute di una popolazione, mentre per ben l’85% sono i determinanti sociali della salute che influenzano lo stato di salute (bene-essere!) di una persona e sono riscontrabili nel contesto sociale, economico lavorativo, relazionale e valoriale delle singole persone. Chi è privo di fattori di protezione sociale (è a basso reddito, vive in contesti familiari e sociali poveri di risorse economiche e culturali, ha reti relazionali sfilacciate…) si trova più facilmente esposto a situazioni di perdite della salute. Più si è in condizioni di fragilità sociale (solitudine, povertà, ecc.), più si è a rischio non solo di scarso benessere, ma di contrarre malattie. Non a caso il sistema operativo BdS focalizza l’attenzione su quattro aree fondamentali del progetto personalizzato: apprendimento/espressività; formazione/lavoro; casa/habitat sociale; affettività/socialità. Di qui la necessità di ripensare la sanità, orientando ogni azione verso una costruzione sociale della salute. Prima di tutto perché il modello BdS parte dalla consapevolezza che gli impedimenti esterni all’esercizio dei diritti all’apprendimento, alla formazione, alla socialità e affettività, al lavoro, all’abitare autonomo siano i veri determinanti che trasformano una persona vulnerabile o “a rischio” in un “caso”. In secondo luogo perché il BdS, riconoscendo i limiti di un approccio fondato su un prodotto sociosanitario rigido (derivato dal modello ospedaliero) agisce con prestazioni flessibili, definite non sulle caratteristiche dell’offerta disponibile, ma sulla base dei reali “diritti di cittadinanza” della persona. Va sottolineato che il modello BdS, impegnato per la cogestione degli interventi sociosanitari integrati, non sostituisce ma integra, potenzia e rende efficace i singoli trattamenti terapeutico/riabilitativi e quindi la presa in carico e la relativa responsabilità nei confronti dei cittadini/utenti da parte delle Unità Operative competenti del Servizio Pubblico (ASL-Comune). 6. L’applicazione del budget di salute rimodula le relazioni e le forme di collaborazione tra soggetti diversi Il budget di salute è comunque un sistema complesso e richiede un corretto approfondimento per avere da parte di tutti i soggetti coinvolti la giusta padronanza dei diversi passaggi operativi; presuppone un diverso rapporto tra la sfera pubblica e quella privata e quindi la rimodulazione delle relazioni e delle forme di collaborazione tra soggetti diversi per promuovere il benessere psico-fisico e sociale delle persone. L’Ente Pubblico si riappropria del diritto/dovere della programmazione, dell’indirizzo e della valutazione, smette di essere erogatore di tariffe per prestazioni e chiama tutti i protagonisti (persona – famiglia – terzo settore – comunità) ad essere co-produttori e co-responsabili del “bene-essere” delle persone segnate da svantaggio. Attua per tale obiettivo il passaggio dal vecchio sistema di finanziamento dei contenitori al finanziamento dei progetti personalizzati e ad un diverso governo delle attività sanitarie e sociosanitarie per tutelare la salute delle persone e per promuovere il loro diritto di cittadinanza. Si realizza, in tal modo, un nuovo modello di governance in cui il “privato” non è più un soggetto cui affidare l’esecutività di attività con sistemi dubbi di delega, ma è un partner che collabora alla costruzione e allo sviluppo di sistemi attivi di protezione sociale, a partire da progetti personalizzati. Diventa importante l’introduzione del case manager che nel progetto di vita personalizzato possa svolgere la funzione di garante, punto di riferimento e di raccordo tra la persona e i suoi familiari e le istituzioni coinvolte, purché abbia chiaro il proprio ruolo e sia in grado di svolgerlo nell’ottica della cooperazione e della fiducia reciproca. 7. La relazione tra il budget di salute ed il welfare di comunità Sarà compito dell’Ente Pubblico promuovere il passaggio verso un welfare di prossimità e generativo, coinvolgendo con un processo bottom/up, famiglie e diretti fruitori, Terzo settore, e comunità locali nella consultazione, nella co-progettazione e nella co-produzione responsabile e nella valutazione condivisa, garantendo informazione, consenso e trasparenza. Occorre però essere consapevoli che serva un profondo cambiamento culturale e professionale nei servizi alla persona, rimodulando ruoli e compiti di tutti gli attori coinvolti e spostando i servizi dalla logica di intervento per prestazioni – figlia, appunto, dell’approccio ai bisogni! – alla logica di progettualità personalizzata che riguarda non solo la persona, ma anche la famiglia, i servizi e il contesto sociale di vita. I vantaggi di questo sistema sono rilevabili sia per la singola persona attraverso la partecipazione diretta alla definizione del singolo percorso assistenziale e sia per la comunità locale che usufruisce della crescita delle capacità degli organismi di progettazione e gestione integrate. Devono essere create le condizioni per garantire una presa in carico e una continuità delle cure e del prendersi cura con il passaggio ad un approccio personalizzato di tutela del “bene-essere” possibile per quella persona in quel determinato contesto di vita e nonostante la presenza di disabilità, fragilità e altri limiti soggettivi, evitando la medicalizzare dei disagi e delle fragilità sociali per favorire azioni indirizzate alla capacitazione e all’empowerment sia dei singoli che delle persone associate da un comune interesse. Ovviamente anche il Terzo Settore deve fare la sua parte e ricordare che la co/progettazione richiede azioni formative di aggiornamento interrogandosi su quali siano le idee, le culture, le teorie (esplicite o implicite) che presiedono alle scelte progettuali e operative nell’organizzazione del servizio e non solo per acquisire tecniche per il superamento o la compensazione dei deficit; richiede attenzione su quali siano le prassi e le relazioni tra organizzazione, operatori, persone e loro familiari; su quali legami siano stati attivati con il territorio; su come la combinazione di questi elementi facilitino o meno processi inclusivi e quale incidenza producano sulla qualità della vita delle persone. 8. il Budget di salute facilita il passaggio da un sistema prestazionale, standardizzato, ad uno flessibile con risposte multidimensionali Serve un mix di risposte di cura, assistenza, integrazione, lavoro, tempo libero, socializzazione ed inclusione, in una logica di autonomia e autodeterminazione della persona. Per una generalizzazione del sistema operativo BdS e per attuare un cambiamento radicale nella presa in carico da parte dei servizi occorre con decisione abbandonare quell'organizzazione del welfare dei servizi monosettoriali e promuovere il passaggio dal dominio dell’”io” professionale, tecnicamente capace (ma impotente di fronte alla complessità relazionale dei contesti di vita), ad un efficace “noi” professionale che sappia trovare le alleanze, le condivisioni e i progetti con il mondo non professionale e possa gestire una presa in carico tale da affrontare tutti i determinanti presenti nell’interazione tra persona e contesto di vita: Per fare tutto questo la chiave di volta e l’elemento fondamentale sono innanzi tutto gli operatori, poiché sono capaci di: 9. Le difficoltà nell'applicazione del sistema budget di salute Miguel Benasayag[4], in un’intervista su Animazione Sociale (2013), alla domanda: “Siamo in tempo di carenza di risorse, di tagli indiscriminati dei servizi, dove è evidente l’estendersi di una gravissima questione sociale. Un processo che mette in discussione il senso del lavoro sociale ed educativo e, con sempre maggior frequenza, anche il posto di lavoro degli operatori”, ha così risposto: “Gli operatori devono ritrovare un proprio equilibrio. E’ necessario affrontare i problemi sociali scegliendo un piano che non sia soltanto quello delle risorse più o meno sufficienti, bensì quello dell’attivazione in maniera concreta di coloro che, in modi differenti, sono toccati dai problemi: i cittadini, prima ancora che i lavoratori del sociale e dell’educativo. [...] Bisogna ri-territorializzare la vita! Vale a dire produrre empiricamente luoghi del legame, immaginare e costruire luoghi in cui esperire un po' di più la vita, in cui riconnettere la vita al territorio a cui si appartiene”. Ma come possiamo ri-territorializzare la vita… Noi impegnati ad accompagnare l’esistenza delle persone, ad occuparci di biografie e non di cartelle cliniche, di persone con desideri, potenzialità, limiti, persone dotate di una propria irriducibile identità, che hanno diritto ad esercitare pienamente la loro cittadinanza, come ci insegna la nostra Costituzione. “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4, 2°co. Cost.)? Come possiamo evitare di affrontare i problemi solo da un unico ed esclusivo punto di osservazione, seguendo quella “negativa tendenza al particolarismo, ossia il restringere analisi e proposte operative all’ambito di specifica competenza tecnica o di appartenenza disciplinare, senza minimamente interrogarsi sull’impatto che le stesse hanno sul sistema globale che pretendono di governare”[5] e senza ulteriore possibilità di sintesi unitaria? A mio modesto parere il sistema operativo BdS sarebbe la soluzione calzante a tali interrogativi. In tal senso mi sono attivato, non solo per definirlo e inserirlo in una legge regionale, ma anche per attivarne la sperimentazione. La disponibilità a tale sperimentazione nel 2014 arriva dalla ASL Roma 6, nel distretto RM6/1. Con un Protocollo d’Intesa sottoscritto dal Comune di Monte Porzio Catone – Capofila del Distretto 6/1 e dalla Azienda Sanitaria Roma 6 (dicembre 2015), fu avviata la sperimentazione, preceduta da un robusto piano formativo, aperto a tutti gli attori coinvolti, e guidato da professionisti che avevano già attivato nei loro territori il sistema operativo BdS a Modena e nel Friuli Venezia Giulia. Sarebbe molto complesso raccontare questa esperienza che a tutt’oggi (ottobre 2019) fatica ancora a trovare una sua sintesi conclusiva da presentare doverosamente alla Regione. E già questo sarebbe un indicatore delle difficoltà che i professionisti manifestano nel doversi avvicinare a cambiamenti operativi che obbligherebbero a ridimensionare l’abituale rapporto duale a trazione riparativa con i cittadini/utenti, per un approccio a dimensione plurale e inclusiva. Nessun input ancora è arrivato da parte della Regione. Quella decisione dilatoria della Deliberazione n.792/18 è ancora operante e la mancata integrazione sociosanitaria (condicio sine qua non per il BdS), ci rattrista non poco. Non penso che ci si voglia rassegnare a dover attendere altri lunghi anni per dare una riconoscibile ed esclusiva identità al nostro welfare regionale. Da parte nostra, comunità sociale, serve allora rispolverare una parola difficile da pronunciare oggi: partecipazione, per sollecitare le Istituzioni territoriali e i professionisti, che per mandato istituzionale devono garantire l’attuazione dell’integrazione sociosanitaria. In proposito ricordiamo sempre quelle sagge parole di Benedetto Saraceno: "La separazione tra sociale e sanitario non è immorale, non è nemica della solidarietà è semplicemente stupida, scientificamente invalidata, tecnicamente perdente!"[6] 10. Le quattro mosse essenziali per avere l'operatività del Budget di Salute Credo che si possano tracciare alcuni itinerari per attivare processi tra loro strettamente interconnessi: 11. Come mancare l'occasione di attuazione del sistema Budget di Salute: il caso della Regione Lazio Nela Regione Lazio, mancando una leading agency, vale a dire una preminente e autorevole agenzia regionale che possa esercitare con decisione la funzione di governance regionale, non è ancora riuscita ad attuare l’integrazione sociosanitaria. Il paradosso è che le azioni necessarie per un adeguamento della macchina operativa del welfare regionale le troviamo già definite in altrettanti articoli della Legge Regionale del Lazio n. 11 del 2016. In particolare Uno è l’articolo 51, Integrazione socio-sanitaria, il quale, dopo avere richiamato il concetto di prestazioni sociosanitarie del Decreto Legislativo 229/99 (articolo 3 septies), stabilisce che per «garantire il coordinamento e l’integrazione tra le prestazioni di cui al comma 2 (Prestazioni sanitarie a rilevanza sociale… Prestazioni sociali a rilevanza sanitaria… Prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria), le aziende sanitarie locali e i comuni stipulano una convenzione o accordo di programma secondo uno schema tipo approvato con la deliberazione della Giunta regionale». Questo articolo, quindi – che potremmo definire strutturale e di governance – determina natura e modalità di integrazione tra Comuni e Aziende Sanitarie, attraverso accordi formali per la promozione, la definizione e la gestione delle «prestazioni socio-sanitarie integrate». In effetti la Giunta Regionale con deliberazione n.149/2018: “Legge regionale 10 agosto 2016 n. 11, capo VII Disposizioni per l’integrazione sociosanitaria della sua legge n. 11/16, Attuazione dell’articolo 51, commi 1 – 7, art. 52, comma 2, lettera c) e art. 53, commi 1 e 2”[7], ha dettato nell’interessante allegato le Linee guida finalizzate alla definizione del percorso di integrazione sociosanitaria nella Regione Lazio, con l’esplicitazione del contesto normativo, del modello di governance, del Punto Unico di Accesso alle prestazioni sociosanitarie, della valutazione multidimensionale e relativi strumenti, del piano di assistenza personalizzato. Purtroppo, però, con una successiva DGR dell’11/12/2018, n. 792, la Regione Lazio invece di pretendere l’avvio dell’integrazione sociosanitaria nei diversi distretti, spostando al 30 settembre 2020 il termine ultimo (previsto per il 31 dicembre 2018, secondo la DGR del 2 marzo 2018, n. 149) per la stipula della convenzione tra distretti socio-sanitari e Aziende Sanitarie Locali per l’organizzazione e la gestione delle attività di integrazione sociosanitaria, ha praticamente fatto cadere ogni interesse verso il cambiamento attuando l'integrazione sociosanitaria. Perché tutto questo? Perché - a mio parere - non c’è stata alcuna sollecitazione da parte delle Istituzioni Pubbliche a far conoscere e attuare quella Deliberazione. Né si è visto alcun impegno in tal senso da parte delle diverse famiglie professionali (forse non proprio interessate a tale percorso integrativo per i noti motivi di resistenza ai cambiamenti di strutturazione dei servizi). Quello che però mi ha suscitato forte meraviglia e rammarico è stata la constatazione del totale silenzio delle Associazioni degli utenti, e del Terzo Settore che, invece avrebbero avuto tutto l’interesse – per le ricadute positive sui cittadini/utenti – a ché Istituzioni e Servizi avviassero da subito un diverso sistema organizzativo dei Servizi di Distretto, attraverso la stipula delle convenzioni per l’integrazione sociosanitaria. Un'occasione follemente sprecata per la quasi totalità dei servizi della Regione Lazio. [1] Starace F. (a cura di), Manuale pratico per l’integrazione sociosanitaria – Il modello Budget di salute, Carocci Faber, Roma 2011. [2] Saraceno B., I sistemi sanitari non sono disegnati per i bisogni dei cittadini, in www.souqonline.it - nov.2014. [3] Ad es.: Camerlenghi R., d’Angella F., La costruzione sociale della salute, in Animazione Sociale n.287/2014, pgg. 21-31. [4] Benasayag M., Non è tempo per rifugiarsi nell’impotenza, Intervista di Garzone F., in AS N.271, TO 2013, pgg. 3-12. [5] Starace F., “Salute mentale globale: un approccio di sistema contro i particolarismi disciplinari”, siep.it 28 genn.019 [6] Saraceno B., Salute mentale fra sanitario e sociale una querelle, in PSS n.7, Milano, 1999 [7] 22/03/2018 – Bollettino Ufficiale della Regione Lazio - n. 24 PS: Per una opportunità di approfondimento si veda (stessa epoca!): Come ricostruire un forte legame tra diritti sociali e la loro esigibilità Le opportunità della legge 112/2016 – su: APPUNTI n. 228, Aprile-Giugno 2019, https://www.grusol.it/appunti/articoloAppunti.asp?a=11228. Dello stesso autore vedi anche Garanzia dei diritti sociali e accompagnamento all’esistenza Non più un welfare territoriale dove ancora sanitario e sociale non si parlano! Disabilità. Come superare le difficoltà attuative della legge 112. Una proposta LA RICHIESTA DI SOSTEGNO del Gruppo Solidarietà Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali. La gran parte del lavoro del Gruppo è realizzato da volontari, ma non tutto. Se questo lavoro ti è utile PUOI SOSTENERLO CON UNA DONAZIONE e CON IL 5 x 1000.