L’autonomia differenziata e la Costituzione tradita Francesco Pallante, in, volerelaluna.it. Accingendomi a studiare il contenuto delle pre-intese sull’autonomia differenziata firmate dal ministro Calderoli con le regioni Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria ho commesso un errore d’ingenuità. Stampati i documenti, li ho collocati l’uno a fianco all’altro sulla scrivania, in modo da cogliere somiglianze e differenze tramite una lettura trasversale. All’inizio ho proceduto attentamente, svoltando le pagine in parallelo e avendo cura di ricollocarle nel corrispondente plico regionale. Dopodiché, ho ricevuto una telefonata e mi sono distratto. Risultato: alcune pagine relative al Veneto sono finite nel plico ligure, altre nel plico lombardo, altre ancora in quello piemontese; e così per le altre regioni. Sulle prime, la cosa mi ha provocato un’infastidita agitazione, cui ho cercato di porre rimedio riordinando i plichi. Finché mi sono reso conto dell’errore d’ingenuità: a dispetto della giurisprudenza costituzionale, che pretende la riconducibilità di ciascun accordo alle specificità delle regioni richiedenti l’incremento delle competenze (sentenza n. 192/2024), le quattro pre-intese sono tra di loro in tutto e per tutto identiche. Inutile agitarsi. Inutile ricomporre i plichi. Inutile persino studiare i quattro documenti: è sufficiente leggerne uno e sostituire, all’occorrenza, il nome di una regione all’altra. Eppure, sul punto, la Corte costituzionale è stata chiarissima, sancendo che ogni richiesta «va giustificata e motivata con precipuo riferimento alle caratteristiche della funzione e al contesto (sociale, amministrativo, geografico, economico, demografico, finanziario, geopolitico ed altro) in cui avviene la devoluzione, in modo da evidenziare i vantaggi […] della soluzione prescelta». Ulteriormente precisando che, a tal fine, l’intesa deve «essere preceduta da un’istruttoria approfondita, suffragata da analisi basate su metodologie condivise, trasparenti e possibilmente validate dal punto di vista scientifico». Ed ecco l’istruttoria approfondita e scientificamente validata dalla combriccola di astuti firmatari le pre-intese: «il Governo e la Regione […] convengono che l’attribuzione [delle ulteriori competenze] corrisponde a specificità proprie della Regione richiedente e immediatamente funzionali alla sua crescita e sviluppo». Se lo dicono da soli, in una riga, e pazienza se le specificità sono così poco specifiche da risultare identiche: uno sberleffo bello e buono all’indirizzo della Corte costituzionale. Ulteriori criticità emergono dalla lettura delle nuove competenze regionali in materia di protezione civile, professioni, previdenza complementare e integrativa, sanità. In proposito, la già ricordata pronuncia della Corte costituzionale ha stabilito che «la devoluzione non può riferirsi a materie o ad ambiti di materie, ma a specifiche funzioni»: mentre le pre-intese dichiaratamente investono l’intera materia sia nel caso delle professioni non ordinistiche («sono attribuite alla Regione […] funzioni normative e amministrative volte a disciplinare professioni di rilievo regionale»), sia nel caso della previdenza complementare e integrativa («la Regione […] disciplina il funzionamento delle forme di previdenza complementare e integrativa ad ambito regionale»). Ne segue, nel primo caso, il potere di stabilire i requisiti di abilitazione all’esercizio della professione, di verificarne il possesso (anche attraverso prove di lingua italiana), di istituire corsi di formazione, di riconoscere qualifiche professionali pregresse, di organizzare tirocini; nel secondo caso, di differenziare le pensioni del personale non solo regionale, ma anche degli enti locali e del Sistema (sic) sanitario regionale. Quanto alla protezione civile, lo scopo, in caso di calamità, è che il presidente regionale, nominato commissario straordinario, possa agire in deroga alla normativa statale. In preparazione, la regione procede al reclutamento del personale (anche a tempo determinato con procedure d’urgenza) e alla sua formazione (individuando enti erogatori, docenti e percorsi formativi), con possibilità di prevedere integrazioni contrattuali e di occuparsi dell’immatricolazione dei veicoli e del rilascio delle patenti di guida. Inevitabilmente, il coordinamento inter-regionale si farà più complicato. E poi c’è la sanità, oggetto di una pre-intesa separata. Qui le richieste delle regioni sono dirompenti al punto da scardinare il Servizio sanitario nazionale. Alle regioni interessa, anzitutto, acquisire la facoltà di ridefinire l’organizzazione interna delle Asl e degli enti sanitari, cosa che può condurre alla riconfigurazione degli equilibri interni all’intero Servizio sanitario regionale, sul piano delle competenze e delle responsabilità, di fatto separando la propria struttura territoriale da quella nazionale: cosa che complicherebbe oltremodo i poteri statali di coordinamento e controllo. In secondo luogo, le pre-intese assegnano alle regioni il potere di gestire in autonomia le risorse loro attribuite, facendo così venir meno i vincoli che oggi impongono l’uniformità nella destinazione delle risorse assegnate dallo Stato alle regioni: vincoli che, indirettamente, finiscono, almeno in parte, per incidere su quantità e qualità delle prestazioni erogate nelle varie regioni (che, dunque, potranno ulteriormente differenziarsi a beneficio delle regioni già più capaci). Terzo obiettivo è rinforzare il sempre meno adeguato finanziamento della spesa pubblica in salute tramite fondi sanitari integrativi disposti in deroga alla normativa vigente, in tal modo incentivando, ancor più di quanto già accade oggi, la penetrazione degli operatori privati all’interno del lucroso mercato della salute dei cittadini (basti pensare alla recente decisione lombarda di stipulare convenzioni con cui smaltire le liste d’attesa negli ospedali). Di fatto, è la porta che apre alla trasformazione definitiva del Servizio sanitario regionale in un sistema pubblico-privato, a beneficio delle imprese assicurative. Collegata è la quarta competenza, che consentirebbe alle regioni di stabilire il sistema di rimborso e remunerazione delle prestazioni sanitarie erogate nella regione dagli operatori pubblici e privati, nonché di decidere la compartecipazione alla spesa da parte degli assistiti (i c.d. ticket). In tal modo, le regioni beneficiarie delle nuove competenze potranno godere di un vantaggio competitivo sul mercato della sanità privata a discapito delle altre regioni, anche grazie alla già ricordata facoltà di utilizzare le risorse ricevute dallo Stato senza vincoli di destinazione (ed, eventualmente, scaricando sugli assistiti, tramite i ticket, i maggiori profitti assicurati ai privati). Infine, le pre-intese assegnano alle quattro regioni firmatarie il potere di programmare in autonomia gli investimenti in edilizia ospedaliera e strumentazione sanitarie, operando in deroga ai vincoli che continuerebbero a gravare sul resto delle regioni. Le conseguenze sarebbero un’accresciuta autonomia regionale anche nella configurazione della rete ospedaliera e una potente leva di contrasto alla decadenza cui sono invece destinati i patrimoni edilizi e strumentali del Servizio sanitario nazionale, dove gli investimenti sono più che mai carenti. Insomma: proprio nel campo della salute, là dove più forte è oggi l’esigenza di uguaglianza, il Governo spinge più a fondo il pedale della disuguaglianza. Forse, il vero errore d’ingenuità è rifiutare di vedere l’emergenza democratica derivante da una destra che opera oramai apertamente contro l’ordinamento costituzionale. Vedi anche, Autonomia differenziata. 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