Perché l’avvocato specializzato in materia di disabilità è un “traduttore” tra la norma e la vita Massimo Rolla, Avvocato. Garante dei diritti delle persone con disabilità della Regione Umbria; Centro Studi Giuridici della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie); Disability manager; Consulente giuridico dell’Intergruppo Parlamentare sulla Disabilità della Camera e del Senato; Patrocinante in Cassazione. In, superando.it. 19 dicembre 2025. C’è un dato che chi lavora ogni giorno con la disabilità conosce bene: i diritti, da soli, non “camminano”. Esistono in Costituzione, nelle leggi ordinarie, nei decreti di riforma e nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ma diventano effettivi solo quando qualcuno li traduce in scelte amministrative, prassi organizzative e soluzioni concrete. E quando questo non accade – o accade a metà – la persona con disabilità resta spesso intrappolata in un labirinto di competenze frammentate: scuola, sanità, servizi sociali, lavoro, trasporti, casa, digitale. Proprio per questo, nel momento storico che stiamo attraversando, il ruolo dell’avvocatura specializzata in materia di disabilità, è decisivo. Un quadro normativo robusto (ma sempre più complesso) La riforma in corso e il bisogno di “traduttori” dei diritti Gli atti discriminatori “di tutti i giorni”: riconoscerli prima di combatterli Perché serve anche “conoscere il territorio” Vedi anche -------------- Leggi LA RICHIESTA DI SOSTEGNO del Gruppo Solidarietà Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali. La gran parte del lavoro del Gruppo è realizzato da volontari, ma non tutto. Se questo lavoro ti è utile PUOI SOSTENERLO CON UNA DONAZIONE e CON IL 5 x 1000. Clicca qui per ricevere la nostra newsletter.
“Specializzata”, però, non può voler dire soltanto “aggiornata sulle norme”. Significa anche conoscere i contesti reali in cui quelle norme vivono (o non vivono): i territori, le reti dei servizi, le prassi degli uffici, le soluzioni praticabili, le criticità ricorrenti. Significa – prima di tutto – saper ascoltare le persone con disabilità e le loro famiglie, riconoscendo che spesso la discriminazione non si presenta come un diniego esplicito, ma come una somma di ostacoli, rinvii, moduli, silenzi, accessi impossibili, “si è sempre fatto così”.
La base resta costituzionale: il principio di eguaglianza sostanziale e il dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che limitano libertà e uguaglianza (articolo 3), insieme alle tutele sociali e ai diritti di educazione e avviamento professionale (articolo 38).
In questo impianto si innesta la già citata Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 3 marzo 2009, n. 18: è un passaggio fondamentale perché sposta il baricentro dal modello “assistenziale” a quello dei diritti umani e include espressamente il rifiuto di un accomodamento ragionevole tra le forme di discriminazione.
Sul versante interno, alcune norme-chiave sono ormai “strutturali”: la Legge 5 febbraio 1992, n. 104, come legge-quadro su assistenza, integrazione sociale e diritti; la Legge 12 marzo 1999, n. 68, sul diritto al lavoro e sul collocamento mirato; la Legge 1° marzo 2006, n. 67, che offre una tutela giudiziaria specifica contro le discriminazioni fondate sulla disabilità, definendo anche discriminazione diretta e indiretta.
Nel lavoro, inoltre, è centrale il Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216 (attuazione della Direttiva 2000/78/CE), che richiama l’obbligo di predisporre accomodamenti ragionevoli per garantire la parità di trattamento delle persone con disabilità.
Nella scuola, la cornice dell’inclusione è delineata dal Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 66 e, sul piano operativo, dai modelli e dalle linee guida del PEI (Piano Educativo Individualizzato), adottati con il Decreto Interministeriale 182/20 e poi corretti dal Decreto Interministeriale/Decreto Ministeriale 153/23.
E poi c’è un capitolo sempre più rilevante: l’accessibilità, anche digitale. La Legge 9 gennaio 2004, n. 4 (cosiddetta “Legge Stanca”) tutela il diritto di accesso ai servizi informatici; e il Decreto Legislativo 27 maggio 2022, n. 82 ha recepito la Direttiva (UE) 2019/882 (European Accessibility Act), con obblighi che dal 28 giugno 2025 incidono in modo significativo su prodotti e servizi, anche privati, legati alla vita quotidiana.
La fase attuale è segnata dalla Legge Delega 22 dicembre 2021, n. 227, che ha tracciato il percorso di revisione e riordino complessivo della materia. In attuazione di quel percorso, il Decreto Legislativo 3 maggio 2024, n. 62 ha introdotto un impianto innovativo: definizioni, valutazione di base, valutazione multidimensionale e – soprattutto – l’elaborazione e attuazione del “progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato”, con entrata in vigore dal 30 giugno 2024.
La stessa riforma procede anche tramite sperimentazioni territoriali e progressiva estensione (fino all’applicazione definitiva su tutto il territorio nazionale a partire dal 1° gennaio 2027), elemento che rende ancora più importante conoscere come, concretamente, i sistemi locali stanno applicando (o interpretando) le nuove regole.
In parallelo, il Decreto Legislativo 5 febbraio 2024, n. 20 ha istituito l’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità, con entrata in vigore il 20 marzo 2024 e un ruolo esplicito nel contrasto ai fenomeni discriminatori.
In un quadro così articolato, l’avvocato “generalista” rischia di perdere pezzi: perché la tutela dei diritti delle persone con disabilità raramente si esaurisce in una singola norma o in un solo giudice. Spesso richiede infatti strategie ibride, lettura sistemica e capacità di prevenire il contenzioso attraverso soluzioni ragionevoli, tempestive, sostenibili.
Uno dei contributi più importanti di un avvocato competente in materia di disabilità è saper dare un nome giuridico a esperienze che le persone raccontano, da anni, come “disagi” o “mancanze di attenzione”. La Legge 67/06 è chiarissima: la discriminazione può essere diretta (trattamento meno favorevole) o indiretta (una prassi apparentemente neutra che produce svantaggio). E la Convenzione ONU ricorda che anche il rifiuto di accomodamenti ragionevoli può integrare discriminazione.
Nella pratica, questo può tradursi in situazioni ricorrenti: nel lavoro, quando la persona è esclusa di fatto perché non si valutano (davvero) adattamenti organizzativi, tecnici o di mansione, pur possibili; nella scuola, quando l’inclusione resta formale e non diventa partecipazione effettiva (accesso ai materiali, strumenti, assistenza, tempi, comunicazione), nonostante l’impianto dell’inclusione scolastica e gli strumenti del PEI; nei servizi essenziali e nel digitale, quando prenotazioni, modulistica, piattaforme o informazioni sono inaccessibili e di fatto impediscono l’esercizio di diritti, anche alla luce delle norme su accessibilità e dei nuovi requisiti europei; nei servizi territoriali, quando la persona viene letteralmente “rimbalzata” tra enti e uffici e il progetto di vita rischia di ridursi a un documento senza presa in carico reale, mentre la riforma punta proprio a integrazione e personalizzazione.
Qui l’avvocato specializzato diventa un presidio di realtà: perché può ricostruire i fatti, distinguere tra disfunzione e discriminazione, individuare la norma applicabile, ma anche capire quali interlocutori attivare e in che ordine, evitando che la persona venga schiacciata dai tempi.
La competenza territoriale non è un dettaglio: è una parte della tutela. Sapere come funziona una ASL, quali sono i percorsi effettivi di presa in carico, come si muove un Ambito Sociale, quali sono le prassi di una scuola o di un ufficio, quali servizi esistono davvero e quali sono solo sulla carta, significa poter impostare richieste realistiche e puntuali (anche in termini di accomodamenti); prevenire il conflitto quando una soluzione è possibile subito, costruire prove e documentazione con metodo, scegliere il percorso più efficace (dialogo istituzionale, diffida, ricorso), senza lasciare la persona sola davanti a un muro di adempimenti. E soprattutto significa rispettare un principio non negoziabile: la persona con disabilità non è “un caso”, ma è titolare di diritti. E quei diritti, oggi, devono essere difesi dentro un cambiamento profondo: riforma, sperimentazioni, nuove autorità di garanzia, nuovi standard di accessibilità, nuovi obblighi di accomodamento.
In questo scenario, l’avvocato specializzato in materia di disabilità è – a tutti gli effetti – un “traduttore” tra la norma e la vita. Non sostituisce i servizi, non fa politica al posto delle Istituzioni, non può risolvere da solo ciò che è strutturale. Ma può fare la differenza nel punto più delicato: trasformare cioè un diritto astratto in una tutela effettiva, tempestiva e rispettosa della persona. E, quando serve, chiamare le Istituzioni alle proprie responsabilità, con gli strumenti che l’ordinamento già prevede.