Ufficio Parlamentare Bilancio (UPB). Audizione sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica 8 luglio 2025. L’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) ha svolto oggi un’audizione sui fenomeni connessi ai mutamenti e alle prospettive demografiche dell’Italia presso la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto. Nel documento illustrato dalla Presidente Lilia Cavallari viene fornita una riflessione critica sulle dimensioni di questi cambiamenti e sulle loro implicazioni economiche, con particolare riguardo alla finanza pubblica. Ci si sofferma innanzitutto sugli aspetti demografici, per poi affrontare le conseguenze sul mercato del lavoro, la crescita potenziale e gli effetti dell’invecchiamento della popolazione sulla spesa pubblica, in particolare, quella pensionistica, sanitaria e per l’assistenza agli anziani. Infine, si analizzano – mediante simulazioni – le possibili conseguenze sulla dinamica del debito pubblico in rapporto al PIL. La popolazione italiana sta attraversando una profonda transizione demografica, che nei prossimi decenni altererà in modo sostanziale la sua numerosità e struttura per età. Secondo le più recenti previsioni dell’Istat, l’Italia continuerà a registrare, come sta avvenendo dal 2014, una riduzione della popolazione in termini assoluti. I flussi migratori netti con l’estero potranno contenere ma non controbilanciare del tutto il saldo naturale negativo, che – manifestatosi dall’inizio degli anni Novanta – diventerà ancora più marcato in futuro. Un aspetto ancora più rilevante per le sue implicazioni finanziarie e distributive è la ricomposizione della struttura per età della popolazione. La continua diminuzione della quota dei giovani (0-30 anni), il parallelo aumento degli anziani oltre 65 anni e il progressivo passaggio dei baby boomers dalla fase centrale della vita (31-59 anni) a quella del pensionamento sono i fenomeni più significativi da questo punto di vista. Un’ulteriore criticità è legata alla dinamica delle migrazioni. I flussi migratori internazionali contribuiscono al ricambio demografico, ma non riescono a controbilanciare il declino naturale e le perdite di capitale umano dovute all’emigrazione, composta prevalentemente da giovani qualificati. Le migrazioni interne contribuiscono ad accentuare i divari territoriali, con un flusso netto di popolazione e capitale umano dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord, rendendo alcune aree fragili e a rischio di spopolamento. Questi fenomeni avranno un impatto diretto negativo sulla numerosità e sull’età media della forza lavoro in Italia nei prossimi decenni. La dimensione effettiva dell’input di lavoro nel futuro, tuttavia, dipenderà da fattori economici, sociali e istituzionali che influenzano il tasso di occupazione e le scelte di partecipazione. Nel corso degli ultimi due decenni il mercato del lavoro italiano ha assistito a un’importante ricomposizione per età, con un deciso sbilanciamento verso le classi di età più elevate. L’andamento favorevole del tasso di occupazione totale (3,8 per cento dal 2004 al 2024) è dovuto al contributo positivo della classe di età 50-64 anni e, in misura minore, alla crescita dell’occupazione tra le donne in età adulta (35-49 anni). La scomposizione della variazione complessiva del tasso di occupazione evidenzia che le dinamiche demografiche hanno contribuito positivamente all’occupazione solo per la fascia di età 50-64 anni, mentre l’apporto è stato negativo per le classi di età più giovani. La variazione specifica nel tasso di occupazione, ovvero quella misurata al netto dell’impatto dei cambiamenti nella demografia, ha rafforzato il contributo della classe 50-64 anni per entrambi i generi. Questo suggerisce che l’aumento complessivo dell’occupazione negli ultimi venti anni non è derivato solo da un effetto meccanico, ma anche da un maggiore impegno degli adulti più anziani e, in misura minore, delle donne in età adulta. Il contributo delle generazioni più giovani appare invece di segno negativo. Un’importante linea d’intervento per mitigare gli effetti del declino demografico sul mercato del lavoro riguarda l’incentivazione e la rimozione degli ostacoli alla partecipazione, riducendo così l’inattività. Nonostante il tasso di partecipazione sia cresciuto in Italia in misura considerevole negli anni successivi alla crisi pandemica (raggiungendo il 66,7 per cento nel 2023), esso resta largamente inferiore a quello medio della UE, a causa dell’elevata inattività. In Italia il numero di inattivi tra 15 e 64 anni nel 2024 ha sopravanzato i 12 milioni di persone; la forte inattività incide già oggi sull’attività produttiva e una sua riduzione potrebbe contribuire ad attenuare la tendenza discendente dell’offerta di lavoro dovuta al declino demografico. Circa due terzi del complesso degli inattivi è costituito da donne. La componente femminile è fortemente gravata dai servizi di cura della famiglia che, insieme allo scoraggiamento, rappresentano il freno principale alla loro offerta di lavoro, in particolare nelle regioni meridionali. Oltre la metà degli inattivi è connotato da bassi livelli di scolarità, una caratteristica che incide in misura rilevante sul successo delle politiche volte ad ampliare l’offerta di lavoro. La bassa scolarità, la mancanza di competenze specifiche da spendere sul mercato del lavoro e la scarsa motivazione alimentano un atteggiamento di rinuncia alla ricerca attiva, che rende complessi gli interventi necessari a fronteggiarli. La transizione demografica italiana, caratterizzata dalla riduzione della popolazione in età lavorativa e dall’invecchiamento, si ripercuote sia sull’input di lavoro, sia sulla produttività aggregata, incidendo negativamente sul prodotto potenziale. Storicamente, fino agli anni Settanta la crescita demografica e l’adozione di nuove tecnologie hanno contribuito a sostenere lo sviluppo, compensando la riduzione delle ore lavorate. Dagli anni Ottanta, invece, il rallentamento demografico e l’indebolimento della produttività totale dei fattori hanno progressivamente inciso sulla variazione del potenziale. Le proiezioni indicano che nei prossimi anni la crescita del prodotto potenziale potrà essere ancora sostenuta dagli investimenti del PNRR e da un aumento del tasso di partecipazione, ma nel prossimo decennio si prevede una sostanziale stagnazione del potenziale, soprattutto a causa del calo del contributo inerente agli occupati. Sul piano delle politiche economiche, ciò implica la necessità di rafforzare la produttività totale del fattori (usando al meglio le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e migliorando i fattori di contesto istituzionale), oltre che di stimolare l’ingresso nel mercato del lavoro degli inattivi e orientare in modo lungimirante i flussi migratori; l’effetto congiunto di questi interventi potrebbe mitigare l’impatto delle tendenze demografiche sul potenziale di crescita dell’economia italiana. Riguardo all’effetto diretto della transizione demografica sui conti pubblici, le proiezioni disponibili restituiscono un quadro di sostanziale tenuta, pur con la prospettiva di un significativo aumento delle spese legate all’invecchiamento nel prossimo decennio. Secondo le proiezioni del rapporto sull’invecchiamento (Ageing Report) del 2024, redatto dal Working Group on Ageing Populations and Sustainability (AWG), per la UE si prevede un aumento dell’incidenza sul PIL della spesa totale legata all’invecchiamento (age-related) di 1,2 punti percentuali entro il 2070, al 25,6 per cento. Per l’Italia, che parte da valori superiori alla media europea, la spesa age-related dovrebbe scendere di 2 punti percentuali, attestandosi al 25,3 per cento del PIL nel 2070. Tuttavia, principalmente a causa del pensionamento dei baby boomers, è previsto nel prossimo decennio un aumento di un punto percentuale, che porterebbe l’incidenza della spesa sul PIL a raggiungere nel 2036 il picco del 28,3 per cento e a mantenersi su tale valore estremo fino al 2040. Si assisterebbe a un processo di parziale ricomposizione della spesa, con la componente pensionistica che, pur rimanendo di gran lunga maggioritaria, vedrebbe diminuire il suo peso relativo a causa di un sensibile aumento dell’età di pensionamento e di una riduzione significativa nel rapporto tra pensione e retribuzione media. Parallelamente, crescerebbero le quote delle spese sanitaria e per long-term care all’interno della spesa complessiva. La riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica sul PIL attesa per l’Italia (-1,9 punti percentuali tra il 2022 e il 2070) è maggiore rispetto a quella delle altre principali economie europee (Germania, Francia e Spagna) nonostante un’evoluzione demografica peggiore rispetto agli altri paesi considerati (tranne la Spagna). Essa deriva soprattutto da modifiche normative, introdotte progressivamente dagli anni Novanta, che abbasseranno in maniera importante il rapporto tra importo medio della pensione e PIL pro capite. La quota della popolazione con almeno 65 anni che si trova in pensione, già inferiore agli altri paesi, scenderà ulteriormente per effetto dell’aggancio automatico dell’età di pensionamento alle aspettative di vita e alla quasi totale assenza di strumenti di flessibilità in uscita. La consistente riduzione del rapporto tra pensioni e PIL pro capite, pur contenendo la spesa, solleva questioni sull’adeguatezza degli importi delle prestazioni. L’aggancio automatico dell’età di pensionamento alla dinamica delle aspettative di vita avrà un impatto positivo sul tasso di sostituzione (rapporto tra prima pensione e ultima retribuzione); tuttavia, non riuscirà a compensare del tutto la riduzione degli importi delle prestazioni derivante dall’entrata a regime, a partire circa dal 2040, del metodo di calcolo contributivo delle prestazioni. È importante che venga mantenuto l’adeguamento automatico alla variazione dell’aspettativa di vita dei requisiti anagrafici e contributivi minimi per l’accesso al pensionamento al fine di attenuare l’aumento dell’indice di dipendenza dei pensionati ed evitare che le pensioni risultino troppo basse, con conseguenti pressioni sugli istituti assistenziali. La questione dell’adeguatezza delle future prestazioni si porrà a maggior ragione per i lavoratori con retribuzioni basse o carriere brevi e discontinue. La capacità del sistema di garantire prestazioni future comparabili a quelle attuali richiede di migliorare le condizioni economiche e reddituali della popolazione attiva, garantendo al contempo prospettive adeguate di dinamica salariale e un più saldo legame delle retribuzioni con la produttività del lavoro. Carriere lavorative lunghe, remunerative e continuative assicurano, oltre a trattamenti pensionistici più elevati, una maggiore contribuzione al sistema previdenziale e consentirebbero di ridurre le pressioni che il progressivo invecchiamento della popolazione genererà sul suo equilibrio finanziario e sulle finanze pubbliche. Il metodo di calcolo contributivo – pur garantendo una migliore trasparenza e una maggiore capacità di controllo della dinamica della spesa per pensioni rispetto a quello retributivo, in vigore in Italia prima del lungo processo di riforma iniziato negli anni Novanta – deve essere dotato di meccanismi automatici di aggiustamento rispetto a shock macroeconomici e demografici. I due principali automatismi presenti nel sistema italiano, l’aggiornamento biennale del coefficiente di trasformazione e l’adeguamento dell’età di pensionamento all’andamento dell’aspettativa di vita, consentono di neutralizzare il rischio di longevità e di attenuare la crescita del rapporto tra pensionati ed occupati. La gestione di questi strumenti, soprattutto nel caso di scostamenti tra valori realizzati e attesi nelle prospettive di vita, sarebbe preferibile fosse definita ex ante e in maniera trasparente piuttosto che con interventi ex post e di tipo discrezionale. In ambito sanitario e della long-term care, il rischio di una maggiore longevità è che questa si associ al disagio della malattia e dell’invalidità. La maggiore richiesta di cure e supporto potrebbe non trovare risposta all’interno della famiglia, soggetta a trasformazioni che potrebbero ridimensionare i sostegni informali oggi disponibili, mentre gli attuali sistemi di welfare non sono ancora del tutto preparati ad affrontare gli effetti della mutata composizione demografica della popolazione. I modelli europei di erogazione delle prestazioni di long term care (LTC) sono differenziati e in molti paesi, tra cui l’Italia, lontani da una stabilizzazione. Numerosi studi sono stati rivolti a valutare l’impatto di lungo termine dell’invecchiamento sulla spesa sanitaria e su quella per la LTC. Data la lunghezza del periodo di osservazione di queste stime e l’incertezza delle ipotesi, dovuta al fatto che in ambito sanitario intervengono numerosi fattori difficilmente prevedibili, questi esercizi vanno interpretati con cautela. Nel complesso, le proiezioni del Rapporto AWG 2024 sugli effetti dell’invecchiamento sulla spesa sanitaria e su quella per LTC restituiscono un quadro di sostanziale tenuta. Nello scenario base si evidenzia un aumento marginale della spesa sanitaria in rapporto al PIL tra il 2022 e il 2070 (0,1 punti percentuali, al 6,4 per cento). Anche rispetto al 2024, un anno ordinario dopo la fase dell’emergenza sanitaria, l’incremento della spesa al 2070 resta limitato (0,6 punti). L’impatto della transizione demografica trainata dai baby-boomers appare smorzato, mentre ipotesi più o meno favorevoli sulle condizioni di salute negli anni di vita guadagnati grazie alla maggiore longevità implicano variazioni della spesa sull’orizzonte delle proiezioni che oscillano da un incremento di 0,5 punti percentuali del PIL a una riduzione di 0,2 punti. Se poi si proiettano nel futuro le tendenze di crescita della spesa degli ultimi dieci anni o si ipotizza un aumento dei costi trainato da quelli del lavoro, la spesa al 2070 risulta inferiore rispetto a quella del 2022. Le maggiori criticità provengono dalle pressioni dal lato dell’offerta, che vanno tenute sotto controllo con la programmazione e la regolazione del sistema, e dalle attuali debolezze del Servizio sanitario nazionale, che andrebbero affrontate con un rafforzamento strutturale a partire da misure di contrasto all’abbandono da parte del personale. Esigenze di questo tipo sono riflesse in uno scenario di rischio che mostra un aumento continuo della spesa, fino a raggiungere 7,2 punti di PIL dal 2058 fino al 2070. Per la LTC, lo scenario base implicherebbe un incremento dell’incidenza della spesa sul PIL di mezzo punto percentuale tra il 2022, quando era pari all’1,6 per cento, e il 2070. L’aumento è sospinto soprattutto dalla crescita delle cure domiciliari (37 per cento) e dei trasferimenti monetari (34 per cento), mentre per i trattamenti residenziali l’incremento è inferiore (18 per cento). Negli altri scenari la variazione della spesa è compresa tra un minimo di 0,4 punti percentuali del PIL (scenario healthy ageing) e un massimo di 1,5 punti (scenario di rischio). Anche in questo caso le pressioni sulla spesa operano principalmente dal lato dell’offerta, in quanto si attende un possibile rafforzamento del sistema di LTC, per avvicinarlo agli standard di altri paesi europei, soprattutto attraverso una maggiore offerta pubblica di servizi in natura. La distribuzione territoriale dei bisogni sanitari e di assistenza così come delle risorse si modifica nel tempo per effetto delle dinamiche demografiche e migratorie. Le migrazioni interne, in particolare, determinano un flusso netto di popolazione e capitale umano dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord, rendendo alcune aree fragili e a rischio di spopolamento, soprattutto nelle zone interne del Paese. È dunque necessario superare i divari nell’accesso e nella qualità dei servizi per evitare che le differenze territoriali rafforzino gli incentivi all’emigrazione. Sarà altresì necessario valutare in maniera tempestiva, con dati capillari e integrati tra Istituzioni, come evolveranno i bisogni sanitari e di assistenza, per poter programmare per tempo interventi di mitigazione e adattamento. Il miglioramento del sistema sanitario e dei servizi assistenziali per gli anziani richiederebbe maggiori risorse che, sulla base delle nuove regole europee, dovrebbero trovare compensazione in altri settori di spesa o attraverso aumenti discrezionali della pressione fiscale per evitare un impatto sfavorevole sulla discesa del debito in rapporto al PIL. Nel nuovo quadro di governance economica della UE, le spese legate all’invecchiamento della popolazione assumono un ruolo importante nella determinazione dell’aggiustamento di bilancio richiesto dai Piani strutturali di bilancio a medio termine (PSB). Le proiezioni AWG di spesa per pensioni (al netto della tassazione), sanità, LTC e istruzione costituiscono, infatti, le componenti delle uscite che si ipotizza impattino sulla dinamica del saldo primario strutturale a politiche invariate nel decennio successivo al periodo di aggiustamento. L’UPB ha condotto alcuni esercizi di sensitività per valutare gli effetti sul debito pubblico di tre scenari alternativi rispetto allo scenario di base del Rapporto AWG 2024. Tali scenari assumono: 1) una riduzione dei flussi migratori netti del 33 per cento lungo tutto l’orizzonte di previsione; 2) il congelamento dell’età di pensionamento ai livelli del 2023 e la disattivazione dei meccanismi di adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita; 3) un incremento delle spese sanitarie, dovuto ai fattori non demografici quali l’innovazione tecnologica e l’allargamento della copertura pubblica a nuove prestazioni, e per LTC, ipotizzando per il nostro Paese la convergenza verso la media della UE dell’erogazione delle prestazioni formali non monetarie. Tutti gli scenari comportano un incremento della spesa connessa all’invecchiamento e, a eccezione del terzo, una riduzione della crescita potenziale. In media, nel periodo 2025-2041, l’aumento della spesa per invecchiamento è pari a 0,2 punti percentuali di PIL nel primo scenario, oltre 0,4 nel secondo e 0,3 nel terzo. La crescita potenziale si riduce, rispetto allo scenario base UPB di 0,1 punti percentuali nello scenario di minore immigrazione e di 0,2 punti nello scenario che assume il blocco dell’età di pensionamento. L’aumento delle spese per invecchiamento peggiora il disavanzo di bilancio in rapporto al PIL ritardando la discesa sotto la soglia del 3 per cento programmata dal Governo per il 2026. Nel primo e terzo scenario, il disavanzo di bilancio scenderebbe stabilmente sotto il 3 per cento del PIL nel 2027, mentre nel secondo scenario, il deficit si assesterebbe sotto il 3 per cento del PIL solo nel 2030, ritornando a superare tale soglia dal 2036. Il rapporto tra debito e PIL si deteriorerebbe in tutti gli scenari alternativi rispetto al PSB e allo scenario base UPB. Esso si attesterebbe nel 2031 intorno al 134 per cento nello scenario di aumento delle spese sanitarie e per LTC e al 135 nel caso di minore immigrazione, risultando, rispettivamente, circa 2 e 3 punti di PIL al di sopra dello scenario di base UPB. Nello scenario con congelamento dell’età di pensionamento, il debito si attesterebbe intorno al 139 per cento del PIL, superiore di circa 7 punti rispetto allo scenario base UPB. Pur rimanendo su una traiettoria discendente, il rapporto tra debito e PIL diminuirebbe in modo meno marcato rispetto al PSB e si attesterebbe nel 2041, rispettivamente, al 124 per cento nello scenario di maggiori spese sanitarie e per LTC e al 128 nello scenario con minori flussi migratori. Nello scenario con invarianza dell’età di pensionamento, il debito non si ridurrebbe e si attesterebbe intorno al 139 per cento del PIL nel 2041, con un differenziale di 25 punti rispetto allo scenario PSB. Questi risultati confermano la centralità delle ipotesi demografiche e delle variabili di policy per la discesa del debito in rapporto al prodotto e quindi, nel nuovo quadro di regole della UE, per la determinazione dello sforzo di bilancio. Ne deriva la necessità di verificare coerenza e realismo delle proiezioni AWG, nonché di valutare attentamente l’impatto di eventuali riforme dei sistemi pensionistico, sanitario e per LTC sulla dinamica del debito e quindi sullo sforzo di bilancio richiesto dal nuovo quadro di regole della UE. In questa prospettiva, è auspicabile che la revisione della legge di contabilità per tenere conto della nuova governance della UE rafforzi i presidi per garantire la trasparenza della programmazione degli interventi, il monitoraggio della loro attuazione e la valutazione ex post degli effetti. Vedi anche Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB). Rapporto sulla politica di bilancio – giugno 2025 LA RICHIESTA DI SOSTEGNO del Gruppo Solidarietà Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali. La gran parte del lavoro del Gruppo è realizzato da volontari, ma non tutto. Se questo lavoro ti è utile PUOI SOSTENERLO CON UNA DONAZIONE e CON IL 5 x 1000. Clicca qui per ricevere la nostra newsletter.