Data di pubblicazione: 01/09/2025
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Proviamo ad agire non solo per i diritti, ma anche per avere servizi facilitatori dei diritti!

Fausto Giancaterina, Già direttore del Servizio Disabilita` e Salute Mentale di Roma Capitale. In superando.it.

«Servirebbe accogliere quale obiettivo di lavoro unitario – scrive tra l’altro Fausto Giancaterina in questo suo approfondimento – la realizzazione, per ogni persona, del progetto di vita personalizzato e partecipato, sostenuto nel suo cammino esistenziale da un accompagnamento professionale, competente e solidale nei diversi percorsi di inclusione»

Agire, perché?
Da un po’ tempo, riflettendo con amici e leggendo qua e là pezzi che raccontano vite e progetti di persone con disabilità e altre curiosità, ho rivisitato una bella intervista di Miguel Benasayag (L’epoca è oscura, ma noi siamo vivi), su «Animazione Sociale» (n. 379/2025, pagine 6-15) in cui ricorre spesso l’invito «ad agire e abitare in modo diverso il nostro rapporto con il reale».
Ma nel mondo delle disabilità, che si fa? Da una parte, mi sembra di assistere ad una pericolosa immobilità, mascherata da ridondanti lanci di mirabolanti progetti sperimentali (quasi sempre difficili da realizzare e privi di sostegni finanziari!) e dall’altra di imbattermi in interviste e annunci ripetuti e retorici (e da qualche mese anche attraverso una nuova e patinata rivista ministeriale!), che promettono futuri ed “epocali” cambiamenti…
In realtà la vita delle persone con disabilità – in molti territori – continua a fare i conti con servizi sempre più pericolosamente inadeguati: un brutto insieme che racconta come il nostro welfare continui semplicemente piano, piano a sgretolarsi. Aggiungiamo, poi, il fatto di come stia diventando oltremodo difficile attivare su questi temi la partecipazione dei cittadini, ormai più attenti a ricercare soluzioni per i soli propri problemi/interessi, che mettersi comunitariamente a riflettere e risolvere problemi sociali altrui.
Se volessimo, comunque, cercare consensi, e coralmente fare ipotesi e suggerire azioni, tentando di fare qualche reale positivo passo in avanti e, soprattutto, cercando, con molta attenzione, di non farci più rosicchiare le conquiste faticosamente raggiunte, dove potremmo trovare qualche indizio per iniziare un concreto e positivo cambiamento che, soprattutto non sia più solo enfasi retorica?
Vista l’enorme abbondanza di leggi e di direttive, che ormai rasenta la bulimia (come ha già raccontato molto bene su queste stesse pagine Roberto Toppoli, in Non basta la “bulimia normativa” per avere servizi che funzionino) e poiché appare sempre più difficile rintracciare in esse concrete disposizioni che almeno avviino un potenziamento e un rilancio dei servizi, sempre più (lo ripetiamo!) poveri di mezzi e di personale professionalmente qualificato, come dobbiamo muoverci affinché si verifichi una qualche scossa a questo Sistema dolorosamente indifferente, e prendere finalmente coraggio per metterci tutti su quella traiettoria operativa che promuova ed esiga nuovi e duraturi sostegni al bene-essere di tutte le persone con disabilità?
Allora: bisogna agire! Ma come? Magari dal basso, come si diceva una volta? Va benissimo: ma quali possibilità di azioni abbiamo? Cioè, quali progetti siamo in grado di inventare per superare la passività delle Istituzioni pubbliche (in particolare e soprattutto quelle regionali!) e contemporaneamente non cadere nella trappola di assecondare solo quelle parzialità che, alcune Associazioni fortemente competitive e ben organizzate anche economicamente, spesso fanno prevalere nelle Assemblee Generali, spingendo su quel particolare e utile approccio che, però, va dritto ad ottenere soluzioni settoriali e solo per i propri associati, mettendo tutti gli altri ancora in costante divergente attesa?
Non è forse questo assurdo procedere che sta paralizzando alcune Consulte in Roma Capitale? Ecco, in proposito, una dichiarazione della FISH Lazio (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), ripresa su queste pagine (in Consulta per i Diritti delle Persone con Disabilità di Roma: ripristinare un dialogo costruttivo): «Esprimiamo una profonda preoccupazione per la situazione di perdurante immobilismo della Consulta Cittadina per i Diritti delle Persone con Disabilità di Roma, istituzione neo-costituita nel 2023, che ha visto emergere fin da subito numerosi dissidi interni che ne hanno compromesso il regolare funzionamento. Invitiamo quindi tutte le parti coinvolte a lavorare insieme e a trovare spazi di confronto per ripristinare un dialogo costruttivo».
Allora, carissimi membri delle Consulte romane, le norme ci sono (e in sovrabbondanza!) e la Regione Lazio ha persino deliberato l’impegno di darsi un Testo unico sui diritti e le politiche per le persone con disabilità (Legge Regionale del Lazio 10/22Promozione delle politiche a favore dei diritti delle persone con disabilità, articolo 16))”: è possibile, quindi, fermarsi un attimo e mettersi ad analizzare le cause dell’attuale immobilità per poi dare una svolta di cambiamento e superare separazioni rivendicative (purtroppo, ancora potenti!) e ritrovare la forza e il piacere che può venire solo da un gruppo unitario, che non pensa più per singole categorie, ma ricerca con forza come esigere dai Servizi pubblici soluzioni positive per tutte le persone con disabilità?
Partiamo ricordandoci di un vecchio “detto”, che ogni persona con disabilità (e/o i suoi familiari) dovrebbe tenere lucidamente presente: “da soli non si va molto lontano”; e io, modestamente, mi permetto di aggiungere: non basta appartenere a questa o a quell’altra rappresentativa Associazione (più o meno numerosa o più o meno forte nel saper fare rivendicazioni); dobbiamo essere tutti convinti che serva una unione molto più ampia (come in una riconosciuta Consulta, appunto!) e che tale aggregazione spinga le Associazioni/Membri a mettere a disposizione tutte le forze creative e le competenze, affinché unitariamente si lavori per ottenere quei Servizi territoriali aperti, accoglienti e competenti per tutti, con risposte aderenti alle caratteristiche personali di ognuno.

Validi servizi territoriali
Il primo obiettivo che ogni saggia Consulta Cittadina dovrebbe ottenere dalle Autorità Comunali e dalle ASL cittadine è quello che, da subito, siano disponibili Servizi Integrati Sociosanitari di Distretto.
Tale obiettivo – sostanzialmente irrinunciabile – richiede che ogni singolo territorio, in relazione al numero delle persone con disabilità residenti, sia dotato di una (o più) équipe multidisciplinare integrata che:
° eserciti una precoce presa in carico;
° sappia dare buone e competenti informazioni;
° sappia fare proposte di co/progetto di vita personalizzato che accompagni con competenza il cammino esistenziale della persona, impegnando tutti i protagonisti a co/progettare un percorso che lasci spazio anche ai desideri, agli affetti e alle relazioni sociali della persona, relazioni che non devono ridursi ai soli operatori/gestori e in lontananza ai familiari, ma devono aprirsi a tutte le persone dei contesti e dei luoghi della vita sociale;
° sia vigile e attenta per evitare un’autoritaria gestione della persona;
° sia in grado di programmare e gestire un’attenta e periodica manutenzione, supervisionata dalla Direzione del Distretto, Servizio Pubblico che, per doveroso mandato istituzionale, esercita la governance, determina efficienti procedure ed emana indicazioni operative.

Il paradigma del progetto di vita
Stiamo suggerendo, quindi, di partire dall’attuazione di una visione operativa che dia unitarietà ed eguali esigibilità per tutte le persone, superando quelle parziali richieste che a volte paralizzano l’azione comune: accogliere come obiettivo di lavoro unitario la realizzazione, per ogni persona, del progetto di vita personalizzato e partecipato, sostenuto nel suo cammino esistenziale da un accompagnamento professionale, competente e solidale nei diversi percorsi di inclusione: dalla iniziale vita familiare, alla scuola, alla formazione, al lavoro, alla comunità sociale del proprio territorio, allo sviluppo affettivo e relazionale!
Questa visione della persona con disabilità è fortemente presente anche nelle proposte e nelle opportunità non istituzionalizzanti del “Dopo di Noi” della Legge 112/16 (Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare). Mi si permetta qui una digressione e anche una mia personale gratificazione: quella Legge (la 112/16) è stata magistralmente anticipata – su mia proposta/progetto – dal Comune di Roma, con la Deliberazione di Giunta Comunale n. 4373 del 29 dicembre 1995Handicap: Progetto Residenzialità: Casa Famiglia per un massimo di 6 persone residenti in normali, civili abitazioni). Quest’anno il progetto compie 30 anni e un po’ li dimostra: qualcuno potrebbe prenderlo in mano e “ringiovanirlo” un po’?
In ogni caso è questo uno dei tanti racconti delle conquiste del nostro welfare, come, del resto, lo sono state tutte quelle opportunità sociali di inclusione in tutti gli àmbiti della vita, ottenute con azioni corali e potenti a partire dagli Anni Settanta in poi.  Ma può capitare che, a volte, queste importanti conquiste sociali a qualcuno non vadano bene e provi a metterle in discussione, se non addirittura a tentare di cancellarle con forza. Attenzione, spesso succede così: si prende al volo una qualche manifesta difficoltà di inclusione di persone con disabilità (magari nella scuola?) e si lancia un sasso potente per scuotere i “ben pensanti”, cercando di dimostrare che quella cosa “non s’ha da fare più”, perché ormai – “è risaputo!” – costituisce un danno per i più! Avrete – in proposito – certamente letto quella subdola uscita di Ernesto Galli della Loggia (La strana amnesia sulle mire di Tito, la falsa inclusività della scuola, in «Corriere della Sera», 12 gennaio 2024), che tranquillamente (sapendo, probabilmente, di avere dietro un buon numero di consensi!) ha messo brutalmente in discussione «con  un tratto di penna, sessant’anni di conquiste democratiche del sistema formativo italiano», come ha bene raccontato su queste stesse pagine Fabio Bocci.
Quindi reagire ai colpi di ogni negativa visione delle persone con disabilità, è necessario, ma è altrettanto necessario proporre con determinazione azioni di cambiamento.

Non relativizziamo i progetti di vita
Serve sì darci uno sguardo critico sulle realtà di oggi, ma appare sempre più necessario essere pronti a ricercare e a condividere scelte che aiutino a focalizzare il nostro sguardo su come superare proposte settoriali, aiutando anche le Associazioni a non farsi sedurre da quelle rotte rivendicatrici vantaggiose solo per le persone che rappresentano e tutelano!
Forse (come già anticipato!) potrebbe essere decisiva l’accettazione unitaria e condivisa di quel paradigma del progetto di vita personalizzato e dare ancor più forza a quell’azione di coesa comunità attiva, particolarmente sensibile, che ricerca solide e positive soluzioni per le persone. E così il progetto di vita personalizzato ed evolutivo diviene un pubblico e visibile riconoscimento del diritto di ognuno di costruirsi un suo personale cammino esistenziale.
Due validi professionisti – Carlo Lepri e Carlo Francescutti – hanno sapientemente suggerito che bisognerebbe «scrivere a matita i progetti delle persone […]. Ogni progetto che riguardi il futuro di una persona andrebbe scritto a matita, in modo da poter essere aggiornato e riformulato in relazione agli accadimenti e agli imprevisti» (in «Animazione Sociale», n. 378/2025, pagine 21-33). Ma oltre alla tempestiva riscrittura attualizzata, quei progetti come si concretizzano e come si sostengono?
Una buona strada sarebbe quella di agganciare ogni progetto personalizzato al sistema operativo budget di salute (nel Lazio la Legge Regionale 11/16, articolo 53) che, con le sue potenzialità, costituirebbe quello “zainetto” – in spalla ad ogni persona – che raccoglie tutte le risorse economiche, strutturali e personali, ma, soprattutto, per tenere dentro e al sicuro il sostegno di uno o più accompagnatori professionali competenti (questo sì da rivendicare, care Associazioni e care Consulte, con forza e instancabilmente!), per realizzare quel suo progetto di persona, che si incammina a dimostrare il suo personale diritto di vivere con autodeterminazione e in relazione con altre persone, sentendosi di appartenere a quella precisa comunità sociale e territoriale che rende disponibili anche sostegni non strettamente professionali di persone ricche di buone esperienze e disponibilità.
Quel paradigma, inoltre, serve a consolidare un importante passaggio verso un pensiero collettivo che insegni ad affrontare i problemi non più come «io Associazione ho un problema da risolvere», ma come «Noi tutti – Rappresentanti di tutte le persone con disabilità – abbiamo un problema da risolvere!». Potrebbe essere tutto questo finalmente il superamento di certi approcci culturali, che non permettono di alzare lo sguardo oltre Lo bene mio particulare, creando divisioni e sprecando l’occasione di far diventare quei luoghi (le Consulte, appunto!) i luoghi privilegiati dove costringere la Politica a conoscere e riconoscere la complessità dei problemi di tutte le persone con disabilità di quella città e, inoltre, che quei luoghi siano anche i luoghi dove sia possibile costruire decisive ipotesi progettuali, per arrivare finalmente ai cambiamenti e ai miglioramenti della vita non solo delle persone con disabilità, ma, anche la vita di tutta una comunità territoriale.
Si tratta, forse, di provare a considerare la persona con disabilità non più (o meglio: non solo!) come un problema isolato con annessa richiesta di esperti che lo risolva, ma di considerarla uno stimolo vivente che mette in esplorazione una comunità sociale per trovare altri possibili e interessanti cambiamenti con diversi modi di vivere buoni per tutti e tutte, allargando, così, l’interesse e l’appoggio di molte altre persone.
Utopia? E perché? Non siamo ognuno di noi in continua ricerca di sostanziali cambiamenti del bene-essere personale? «Allora non si tratta di sperare – tornando alla citata intervista di Miguel Benasayag (pagina 15) -, ma neanche di disperare. Si tratta di impegnarci con uno sforzo senza garanzie di successo per aprire nuove possibilità di esistenza. La speranza, diceva Spinoza, è una passione triste perché ci lascia in attesa, perché diminuisce la nostra potenza di agire, ma non la potenza della Modernità che ha causato distruzione, ma una potenza che nella complessità sappia trovare nuovi modi di protezione della vita, della cultura, del pensiero, dell’amore»… E noi, aggiungiamo… «delle persone con disabilità»! 

Esigere sicuri sistemi strutturali di sostegno
Ecco perché, come abbiamo affermato, proclamato e richiesto da anni (inascoltati!)vogliamo ancora insistere nel chiedere coralmente che, ad esempio, nella Regione da cui scrivo, il Lazio, sia presa quella concreta decisione politica e amministrativa che obblighi l’attuazione generalizzata, in tutti i singoli distretti, di Servizi Sociosanitari Integrati e numericamente proporzionati alle presenze di persone con disabilità in quel Distretto.
Sappiamo che in tal senso ci sono state e ci sono ancora forti resistenze, oltre che da parte delle stesse Istituzioni pubbliche Sociali e Sanitarie coinvolte, purtroppo anche da parte di famiglie professionali (alcune ancora legate a sistemi operativi prestazionali!) e da parte di pubblici amministratori che fanno fatica ad accettare sistemi d’integrazione (come quello fondamentale e primario tra sociale e sanitario!), benché – nel Lazio – tale integrazione sarebbe già dovuta, in forza della citata Legge Regionale n. 11 del 2016.
Dobbiamo con forza ricordare che tutti, nelle dinamiche della vita relazionale e sociale, siamo (lo si voglia o no!) co/protagonisti, ma per alcune complessità esistenziali, servono professionisti qualificati che però in molti Servizi territoriali mancano. E questa progressiva mancanza di risorse professionali, accompagnata dal calo di risorse economiche, è il vero ostacolo all’esigibilità del diritto di ognuno ad avere quel personale progetto di vita e quello “zainetto” pieno!
Roma, ad esempio, è in atto una pericolosa riduzione della rete istituzionale dei sostegni professionali o un loro eccessivo turnoverQuesta situazione, oltre a mettere in pericolo la possibilità di costruire e accompagnare i singoli progetti di vita, genera la pericolosa convinzione, soprattutto nelle famiglie, ma anche nei gestori accreditati, che solo loro siano in grado di garantire buoni progetti di bene-essere delle persone: basterebbe che le risorse economiche fossero date in abbondanza direttamente a loro!…

Forse servirebbe una buona sensibilizzazione sociale
Ogni Istituzione Pubblica dovrebbe assumere il concreto dovere (lo esige anche il mandato istituzionale!) di costruire servizi che fossero capaci di attivare – soprattutto a partire dal progetto di vita personalizzato (ormai osannato da tutti)processi fortemente condivisi e strettamente connessi ai luoghi, dove i problemi, di quelle persone, nascono. È qui che le abilità professionali si mostrano tali: riuscire a rimodellare non solo le risorse delle Istituzioni, ma anche a coinvolgere quelle del contesto sociale (ad esempio il volontariato!) e rendere il tutto risposte flessibili e personalizzate (integrando lo zainetto delle risorse!). Un sistema organizzativo che creasse connessioni e desse un vero senso alla parola rete, trasformando la fisionomia dei servizi che, da modalità di lavoro settoriali, passassero ad essere servizi unitari, operanti in quel ben definito contesto sociale e che, in quel territorio, rendessero manifesto a tutti come un lavoro che produce trasformazione e cambiamento è fatto da tante persone che quotidianamente mettono le loro energie, le loro competenze, il loro pensiero e i loro sentimenti a servizio di una visione condivisa di persona, che trasforma i contesti vitali a sostegno e garanzia del loro diritto di cittadinanza.
In una città metropolitana come Roma sappiamo che occorrerebbe rivitalizzare il modo di lavorare di tutti i servizi. Consulte, famiglie, servizi sanitari e servizi sociali, famiglie professionali, progetti dipartimentali, progetti municipali, comunità locali… tutti dovrebbero sentire la necessità di abbandonare logiche divergenti e solistiche e darsi magari anche la possibilità di sentire il piacere di lavorare in modo corale e unitario. E alla fine, bisognerebbe saper fare anche manutenzione in questo complesso e multiforme lavoro. Sapere come svuotare lo “zainetto” e vedere che cosa sia ancora utile da mantenere, che cosa debba essere modificato e che cosa aggiunto di nuovo. Una manutenzione, questa, che è molto difficile poter fare da soli… e torniamo alla necessità di avere a fianco quell’accompagnatore competente che è coproduttore di quella personale buona qualità della vita.
E qui è bene ricordarci come sia alquanto difficile poter rappresentare un oggetto immateriale e un prodotto intangibile quale è il bene-essere delle persone… Ma questa è un’altra narrazione, anche molto interessante da fare! Forse, magari, un’altra volta!

Vedi anche dello stesso autore

Accompagnare l’esistenza. Proposte per ripensare i servizi 

Garanzia dei diritti sociali e accompagnamento all’esistenza

Non più un welfare territoriale dove ancora sanitario e sociale non si parlano! 


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