Palestina, epicentro di un nuovo ordine globale che ha cancellato il diritto umanitario 1. A settembre di quest’anno una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha riconosciuto l’esistenza di un genocidio in corso nella Striscia di Gaza. Un riconoscimento che si cerca di svuotare con il rilancio delle critiche a chi utilizzerebbe un “discorso d’odio”, o assumerebbe posizioni antisemite, quando i principali propagatori di discorsi d’odio sono stati per anni proprio i vertici israeliani e chi li sostiene in diversi paesi del mondo. Nessuno potrà mai dimenticare l’assassinio politico di Rabin, il 4 novembre del 1995, con l’abbandono degli accordi di Oslo, quando anche in Israele sembrava prevalere una prospettiva di pacificazione con il popolo palestinese. Decenni di linguaggi d’odio, e di rovesciamento del diritto internazionale, a partire da tutte le Risoluzioni delle Nazioni Unite sullo Stato di Palestina rimaste senza esito, hanno prodotto una generale assuefazione a violazioni quotidiane dei diritti umani, ampiamente sperimentate nei confronti del popolo migrante, ed alla sistematica commissione di crimini contro l’umanità, che oggi con l’occupazione militare di Gaza non viene neppure nascosta dai governanti israeliani e dai loro complici, presenti in molti paesi occidentali. 2. Secondo l’art.6 dello Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale, per crimine di genocidio si intende, tra le altre ipotesi, sottoporre deliberatamente persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da comportare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo stesso. In base all’art. 7 dello stesso Statuto, si configurano come crimini contro l’umanità, oltre alla deportazione ed al trasferimento forzato della popolazione, l’Imprigionamento o altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale e il «crimine di apartheid» per il quale s’intendono gli atti inumani di carattere analogo commessi nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e di dominazione da parte di un gruppo razziale su altro o altri gruppi razziali, ed al fine di perpetuare tale regime. La Corte Penale internazionale ha infine competenza (art.8) sui crimini di guerra e tra questi rientra, oltre al trasferimento forzato della popolazione all’interno di un territorio occupato, affamare intenzionalmente, come metodo di guerra, i civili privandoli dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza, compreso il fatto di impedire volontariamente l’invio dei soccorsi previsti dalle Convenzioni di Ginevra. In ipotesi di conflitto armato non di carattere internazionale, rientrano tra i crimini di guerra, come gravi violazioni dell’articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, diversi atti commessi contro coloro che non partecipano direttamente alle ostilità, tra questi “violare la dignità personale, in particolare trattamenti umilianti e degradanti” e “dirigere intenzionalmente attacchi contro personale, installazioni, materiale, unità o veicoli utilizzati nell’ambito di una missione di soccorso umanitario o di mantenimento della pace in conformità della Carta delle Nazioni Unite”. Infine, ai sensi dell’art.8 bis dello Statuto di Roma si configura come “Aggressione il blocco dei porti o delle coste di uno Stato da parte delle forze armate di un altro Stato”. La Corte penale Internazionale ha recentemente confermato la sua giurisdizione sui crimini commessi dal governo israeliano, anche se Israele non aderisce allo Statuto di Roma. A inizio ottobre arriverà alla Corte penale internazionale una denuncia che chiama in causa il governo italiano per complicità nel genocidio a Gaza. 3. Il 19 luglio dello scorso anno, nell’indifferenza generale, la Corte internazionale di giustizia ha riaffermato l’unitarietà dello stato della Palestina, compresa Gerusalemme Est condannando l’occupazione, e intimando a Israele di non compiere atti riconducibili alla categoria di genocidio. La Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio del 1948 prevede tra i casi di genocidio la sottoposizione di membri del gruppo a condizioni di vita tali da determinare la distruzione fisica, totale o parziale, di quest’ultimo (art. 1, co. 2) e la deportazione di membri del gruppo (art. 2). La Corte di Giustizia internazionale, ha recentemente affermato che l’occupazione israeliana, inizialmente giustificata come difensiva, è degenerata in una violazione del divieto di annessione di territori in spregio al divieto dell’uso della forza, con una condanna esplicita dell’occupazione. Già nel 2016 il Consiglio di Sicurezza ONU, nella risoluzione n. 2334, aveva condannato la costruzione e l’espansione degli insediamenti e le correlate «confische, demolizioni di abitazioni e sgomberi» di civili Palestinesi susseguitesi negli anni. L’occupazione militare di Gaza si configura giorno dopo giorno come uno strumento di deportazione forzata e annientamento fisico, finalizzato alla realizzazione di un vero e proprio genocidio ai danni della popolazione palestinese, o di una sua parte rilevante, indipendentemente dalle motivazioni iniziali dell’ingresso di forze militari israeliane nella Striscia. Nel suo rapporto del 2025, “Lo stato dei diritti umani nel mondo”, Amnesty International ha descritto il 2024 come l’anno in cui il mondo è diventato spettatore passivo di un “genocidio trasmesso in diretta streaming. 4. Il genocidio è attualmente punito in Italia dalla Legge n. 962/1967, adottata allo scopo di assicurare l’adeguamento dell’ordinamento interno alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio del 1948. Tra i casi di genocidio rientrano la sottoposizione di membri del gruppo a condizioni di vita tali da determinare la distruzione fisica, totale o parziale, di quest’ultimo (art. 1, co. 2) e la deportazione di membri del gruppo (art. 2). In base all’art. 1 della legge, chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, commette atti diretti a cagionare lesioni personali gravi a persone appartenenti al gruppo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni. Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, commette atti diretti a cagionare la morte o lesioni personali gravissime a persone appartenenti al gruppo, è punito con la reclusione da ventiquattro a trenta anni. La stessa pena si applica a chi, allo stesso fine, sottopone persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da Chi, al fine indicato nell’articolo 1 della legge, deporta persone appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, è punito con la reclusione da quindici a ventiquattro anni. Chiunque pubblicamente istiga a commettere alcuno dei delitti di genocidio è punito, per il solo fatto della istigazione, con la reclusione da tre a dodici anni. 5. Non sembra che la giurisdizione nazionale, come del resto le Corti internazionali, abbiano riconosciuto le gravissime violazioni commesse dalle autorità israeliane nei territori palestinesi ormai tutti sotto occupazione. La denuncia pubblica delle responsabilità e delle complicità, dovrà avere la stessa forza di una condanna in sede giurisdizionale, almeno sotto il profilo del ritorno al principio di realtà, contro tutte le mistificazioni e le dichiarazioni, ipocrite o mendaci, diffuse in questi tempi sul conflitto in Palestina, e più in generale sul ricorso alla guerra per la soluzione di conflitti che hanno evidenti ragioni economiche oltre che razziali. La guerra ibrida, portato delle nuove tecnologie, permette di confondere cause e mandanti, alimenta la diffusione di fake-news, ma ha come obiettivo finale sempre più evidente oltre alle componenti più deboli delle popolazioni civili, la legittimazione delle istituzioni internazionali multilaterali come le Nazioni Unite, e le Agenzie collegate. Gli attacchi a questi organismi hanno ormai ricadute immediate, non solo a Gaza, ma su milioni di persone, escluse da qualsiasi tipo di aiuti e dalle garanzie offerte dalle Convenzioni internazionali, abbandonate alla mercè degli Stati guidati da governi nazionalisti e populisti. La Relatrice speciale ONU per i Territori palestinesi occupati Francesca Albanese ha denunciato il genocidio in atto e le precise complicità dell’Italia, ma la sua Relazione, piuttosto che indurre il governo Meloni ad adottare misure sanzionatorie nei confronti di Israele, ha innescato, oltre a violenti attacchi personali, una disputa ideologica che le destre hanno sfruttato per nascondere le responsabilità reali, ed agitare ancora una volta lo spauracchio del terrorismo. Anche sul piano della giurisdizione nazionale, invece, dovrebbero essere perseguiti gli autori dei crimini contro l’umanità commessi in territorio palestinese, con una serie di denunce circostanziate e con procedimenti penali che potrebbero svelare tutte le complicità nascoste. Il crimine di genocidio è perseguibile nell’ambito della giurisdizione universale in qualunque paese, come in tutti i paesi aderenti alla Corte internazionale di Giustizia ed alla Corte penale internazionale dovrebbero trovar esecuzione i provvedimenti interdittivi e di arresto emanati dai Tribunali internazionali nei confronti degli autori di crimini contro l’umanità. 6. Sembra davvero di essere giunti all’atto finale della crisi del Diritto internazionale e del multilateralismo su cui si basano le Nazioni Unite. La Palestina è solo l’epicentro di un nuovo ordine globale che ha cancellato le regole del diritto umanitario ed i principi dello Stato di diritto, con la delegittimazione della giustizia internazionale, come confermano gli attacchi alla Corte penale internazionale ed alla Corte internazionale dell’Aja. Attacchi nei quali Giorgia Meloni è in prima linea, accanto a Trump ed a Netanyahu. Come è emerso in modo plateale sulla scandalosa vicenda Almasri, che la maggioranza di governo sta cercando di insabbiare sia in Parlamento che davanti alla Corte penale internazionale. Per quanto riguarda le forze che guardano alla pace, alla giustizia sociale ed al dialogo tra i popoli, saranno costrette a prendere atto di una sconfitta storica ed a ridefinire i termini della resistenza al capitalismo globale, e dunque all’internazionale nera ed al bellicismo che ne costituiscono strumento. Gli assi di intervento diffuso praticabili dal basso, che si potranno attivare nei territori, riguardano la comunicazione, la difesa legale dei diritti fondamentali, il rafforzamento delle reti di solidarietà sociale e di pratiche alternative di lavoro e di consumo. Sarà un processo lungo, perché il controllo dei media e la diffusione di notizie false, a danno dei principi democratici e di chi ancora li difende, hanno una presa sempre più forte sull’elettorato. 7. L’omicidio Kirk ha innescato negli Stati Uniti, ma anche in Italia, soprattutto da parte della Lega, la campagna di liquidazione finale di qualsiasi forma di dissenso rispetto ai poteri esercitati dai regimi di stampo nazionalista e populista, anche con una vera e propria violenza di Stato, come si sta verificando in modo sempre più visibile negli Stati Uniti, con la rottura del patto costituzionale. Governi formalmente democratici, ma con basi ideologiche radicate sul primatismo e sull’esclusione, che stanno conquistando quasi ovunque la maggioranza del corpo elettorale, attraverso politiche liberticide all’insegna del richiamo ideologico a “legge ed ordine”. Chiunque continua a dissentire viene fatto oggetto degli stessi processi di criminalizzazione che per anni sono stati rivolti contro gli immigrati. Intanto nei media dilagano l’intimidazione e l’autocensura, sotto i colpi degli degli artefici delle politiche di odio che adesso si ammantano dei panni delle vittime di quella stessa violenza che hanno utilizzato per inquinare il corpo sociale. Rimane fondamentale l’indipendenza degli organi giurisdizionali, che si vorrebbe attaccare con riforme che stravolgono gli equilibri sanciti dalla Costituzione repubblicana. Appare sempre più evidente come alla forza del diritto ed al rispetto sostanziale dei principi di garanzia dettati dalle Convenzioni internazionali e dalle Costituzioni nazionali si voglia sostituire il diritto della forza, con il mantenimento soltanto formale dei principi democratici e l’accentramento degli effettivi poteri decisionali nei vertici politici ed economici. Un rovesciamento della democrazia liberale che si accompagna anche sotto il profilo ideologico con la rivincita del nazionalismo e con il ricorso alla guerra come strumento per la soluzione dei conflitti tra Stati. Ma la guerra oggi non potrà risolvere nessun conflitto, riuscendo soltanto ad approfondire le divisioni tra popoli, e l’odio a tutti i livelli, anche sul piano interno, con il rischio di una serie di conflitti su scala globale/regionale che potrebbero risultare esiziali per la maggior parte della popolazione mondiale, certamente per quella parte meno garantita dal sistema degli armamenti. Su questi temi, strettamente connessi alla opposizione alla guerra ed all’autoritarismo che dilagano ovunque, occorre avviare una vasta mobilitazione su iniziative concrete e partecipate, a partire dalla richiesta di riconoscimento immediato dello Stato di Palestina, con una serie di denunce circostanziate di responsabili e complici di crimini contro l’umanità, con una capillare riflessione critica sui nessi tra politica estera e questioni sociali (casa, lavoro, sanità), per individuare modi e tempi che restituiscano protagonismo alle tante persone che sono rimaste escluse dai canali della rappresentanza e della partecipazione, ma che non possono lasciare prosciugare nell’astensionismo la linfa della democrazia. Vedi anche Gaza. ASGI: diritto all’ingresso in Italia per motivi umanitari e familiari Gaza: i profitti di un genocidio LA RICHIESTA DI SOSTEGNO del Gruppo Solidarietà Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali. 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determinare la distruzione fisica, totale o parziale del gruppo stesso.