Giulia Milan, Viviana Celli, Emmanuele Pavolini, Stefani Scherer, Pietro Bracaglia, Pierina De Salvo, Valeria Qualiano e Roberta Crialesi dopo aver ricordato che in Italia è ampio il divario tra desiderio di avere figli e nascite, sostengono che una determinante di quel divario è l’insufficiente offerta di servizi educativi per l’infanzia e l’accesso ai nidi. Uno studio ISTAT sui Comuni italiani mostra che aumenti consistenti dei servizi socio-educativi alla prima infanzia portano a più nascite e ciò indica le potenzialità del PNRR come leva per affrontare tale sfida. In, eticaeconomia.it.
L’inverno demografico italiano. La bassa fecondità rappresenta una preoccupazione costante nelle società avanzate, e l’Italia si colloca tra i Paesi dell’Unione Europea con il numero medio di figli per donna più basso, attestandosi a 1,20 nel 2023. Tale situazione di bassa fecondità si protrae da molti anni nel nostro paese.
La bassa fecondità spesso non è il risultato di una scelta esplicita: la ricerca sul tema mostra che esiste un chiaro squilibrio tra il desiderio di avere figli da parte delle coppie (mediamente 2) e il numero di figli effettivamente realizzati. Si tratta, quindi, di un fenomeno in gran parte collegato all’esistenza di barriere strutturali che si potrebbero provare a rimuovere anche tramite politiche pubbliche adeguate.
Nel dibattito sul tema emerge come una leva potenzialmente importante per favorire la realizzazione della fecondità desiderata dalle coppie sia il supporto ad una adeguata conciliazione tra lavoro e compiti di cura familiari, un aspetto cruciale soprattutto per le donne. La scarsità di servizi educativi e di supporto, specialmente per i bambini sotto i tre anni (servizi educativi per la prima infanzia), può agire come un forte disincentivo o un ostacolo alla decisione di avere figli.
Storicamente, l’offerta di nidi in Italia è stata caratterizzata da carenza strutturale e forte frammentazione, risultando particolarmente limitata nelle regioni meridionali e nei Comuni di piccole dimensioni. Questa carenza ha ostacolato il percorso lavorativo e professionale delle donne, alimentando un circolo vizioso in cui la nascita del primo figlio è subordinata all’ottenimento di un lavoro stabile. L’Italia si colloca nelle ultime posizioni in Europa occidentale per l’accesso ai servizi ECEC per i bambini sotto i tre anni, con un tasso di frequenza medio-basso, intorno al 28 per cento.
Tuttavia, negli ultimi anni il Paese ha cercato di promuovere in maniera più decisa che in passato politiche volte a sostenere le famiglie con figli. Un pilastro centrale di questa strategia è rappresentato dai 4,6 miliardi di euro dedicati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) al rafforzamento dei servizi educativi per bambini in età prescolare, con un’attenzione particolare alla fascia 0-3 anni.
Che effetti possono avere questi investimenti sulla natalità futura? Chiaramente, dovremo aspettare il termine del periodo per la realizzazione di nuovi nidi per poter misurare quanto si sarà ottenuto con il PNRR. Allo stesso tempo, un lavoro da noi curato e recentemente uscito fra i working paper dell’ISTAT (“L’impatto dell’espansione dei servizi educativi per la prima infanzia sull’andamento della natalità in Italia”, Istat Working Papers N. 2/2024), può aiutare a ragionare, con dati empirici riferiti al periodo appena precedente al PNRR, attorno ad alcuni probabili risultati.
La relazione fra natalità e servizi alla prima infanzia fra aspettative teoriche e risultati empirici. Dal punto di vista teorico, studi economici e sociologici suggeriscono una relazione positiva tra l’offerta di servizi educativi alla prima infanzia e la fecondità. La teoria economica indica che tali servizi, se accessibili, riducono i costi diretti e indiretti della crescita di un bambino, inclusi i costi opportunità legati alla perdita di salario o al deprezzamento delle competenze professionali, soprattutto per le donne. Inoltre, i servizi educativi aiutano a riequilibrare i ruoli di genere, contribuendo a superare il conflitto tra le aspirazioni di equità delle donne e il contesto istituzionale/culturale. Pertanto, un incremento sostanziale nel tasso di copertura viene considerato come funzionale alla rimozione di un importante ostacolo, che dovrebbe generare maggiore fiducia dei potenziali genitori riguardo al supporto della comunità e del paese in cui vivono alle loro scelte di genitorialità.
Tuttavia, quando si passa agli studi empirici, nazionali ed internazionali, i risultati appaiono più contrastanti. Questa eterogeneità è spesso dovuta a questioni metodologiche e alla diversità degli indicatori utilizzati per misurare sia la fecondità (intenzioni vs. nascite effettive, primo figlio vs. figli successivi) sia l’offerta di servizi (copertura totale, focalizzazione sui 0-2 anni, livello territoriale di analisi). In Italia, la letteratura sul tema è limitata e i risultati sono parimenti contrastanti. Alcuni studi hanno fino ad ora riportato una associazione positiva tra disponibilità dei servizi educativi e nascite, mentre altri non hanno trovato effetti significativi sull’intenzione di avere figli, in particolare un secondo figlio.
La novità del nostro studio. Dato questo quadro, si è deciso di effettuare un’analisi innovativa per il panorama italiano e, in parte, internazionale. L’analisi si basa sulla raccolta di dati sui circa 8.000 Comuni italiani e copre l’arco temporale che va dal 2013 al 2022. Si sono utilizzate le informazioni contenute in varie banche dati ISTAT. Nell’arco di tempo considerato si è calcolato per ogni anno il numero di nuovi nati vivi in ciascun Comune. La disponibilità dei servizi socio-educativi per la prima infanzia (tasso di copertura) è stata misurata come la percentuale di posti nei nidi, nelle sezioni primavera (introdotte nel 2006 per bambini 24-36 mesi) e nei servizi integrativi (pubblici e privati), rispetto alla popolazione residente di età 0-2 anni.
Per comprendere il ruolo di tali servizi socio-educativi rispetto alla natalità, si è adottato un approccio controfattuale quasi-sperimentale basato sulla generalizzazione non parametrica dello stimatore Difference-in-Differences (per lo sviluppo di tale approccio si veda K. Imai et al., “Matching Methods for Causal Inference with Time-Series Cross-Sectional Data”, American Journal of Political Science, 2023). Questo metodo specifico DiD permette di studiare gli effetti di interventi delle politiche pubbliche (in questo caso l’aumento dell’offerta dei servizi educativi) che possono verificarsi in tempi diversi per diversi Comuni, all’interno della finestra temporale individuata.
Per garantire l’affidabilità dell’analisi, i Comuni italiani sono stati divisi in due gruppi: quelli in cui si sono registrate variazioni (aumenti) del tasso di copertura dei servizi socio-educativi alla prima infanzia (i cosiddetti ‘Comuni trattati’), e quelli che non hanno sperimentato un aumento significativo dell’offerta di tali servizi (i cosiddetti ‘Comuni di controllo’). Si sono poi confrontati tali due gruppi di Comuni (‘trattati’ e ‘non trattati’), ricorrendo ad un processo di matching che ha ristretto la comparazione a quei Comuni che, dentro una stessa regione, presentavano forti similitudini nel periodo precedente alla finestra temporale del “trattamento” rispetto alle seguenti caratteristiche socio-demografiche e socio-economiche: popolazione femminile media in età fertile (15-49 anni); popolazione residente media di 0-2 anni; numero di nati vivi; spesa pubblica dei Comuni per i servizi socioeducativi per la prima infanzia; tasso di occupazione (generale, poiché quello femminile non è disponibile a livello comunale); reddito medio e prezzo delle case a livello comunale.
Lo studio non si è limitato a stimare l’effetto sulla natalità delle variazioni nell’offerta dei servizi socio-educativi (il ‘trattamento’), ma ha cercato di sfruttare maggiormente la varietà delle situazioni presenti nell’offerta di tali servizi in Italia a livello comunale. Come mostra la tabella 1, nel 2014 oltre la metà dei Comuni italiani aveva un tasso di copertura di tali servizi molto basso ed inferiore al 10%, mentre all’opposto circa l’11% raggiungeva almeno un tasso di copertura pari al 40%. Allo stesso tempo un numero non indifferente di Comuni ha visto nel corso di pochi anni aumentare il tasso di copertura: nel 2021 gli enti locali con scarsa copertura erano scesi a circa il 52% e quelli con alta copertura (40% o più) rappresentavano circa il 19% dei Comuni italiani.
Questa eterogeneità a livello comunale nei livelli di partenza nella copertura dei servizi (molto basso – sotto il 10%, basso (10-20%), etc.), così come nei differenti tassi di variazione nel tempo della copertura (molto limitato; consistente; molto consistente) si presta bene per indagare a quali condizioni una variazione nell’offerta dei nidi ha effetti positivi in termini di natalità.
Tabella 1: Comuni italiani per classe del tasso di copertura dei servizi educativi alla prima infanzia pubblici e privati. Anni 2014, 2018 e 2021 (composizioni percentuali)

Fonte: Istat, Indagine su nidi e servizi integrativi per la prima infanzia
(a) Il tasso di copertura dei servizi è pari ai posti nei nidi, nelle sezioni primavera e nei servizi integrativi per la prima infanzia pubblici e privati per 100 bambini residenti in età 0-2 anni.
Risultati in chiaroscuro. Il nostro studio offre risultati incoraggianti a riguardo del rapporto fra aumento dell’offerta dei servizi all’infanzia e natalità, ma allo stesso tempo mette in luce due principali criticità.
Partendo dai primi, le analisi hanno mostrato che un aumento sostanziale della disponibilità di servizi per la prima infanzia ha un effetto positivo e statisticamente significativo sull’andamento delle nascite. In generale, quando l’incremento nell’offerta dei servizi per l’infanzia è consistente e costituisce una discontinuità sufficientemente ampia nel tasso di copertura, si manifestano effetti significativi sulla natalità. Incrementi limitati nell’offerta di servizi (ad esempio, il passaggio da una copertura sotto il 20% a una tra il 20% e il 30%) non producono alcun impatto statisticamente significativo in termini di aumento della natalità.
In particolare, un profilo di Comuni sembra beneficiare particolarmente dell’aumento consistente nell’offerta di servizi all’infanzia: quelli che sono passati tra il 2015 e il 2018 da livelli di copertura inferiore al 20% a livelli superiori al 30%. Questi Comuni hanno registrato mediamente un maggior numero di nascite nei quattro anni successivi al trattamento rispetto ai Comuni di controllo. L’intensità maggiore si è verificata a 4 anni dal trattamento, con una stima media di 2,1 nascite in più in ciascun Comune trattato che non si sarebbero verificate in assenza dell’ampliamento dei servizi. Dato che il numero medio di nascite in questi Comuni (principalmente rurali o realtà di piccole dimensioni) era 25 nel 2014, l’incremento stimato (2,14 nascite) corrisponde a un ordine di grandezza dell’8,6%. In ottica PNRR, questo risultato è incoraggiante perché buona parte dei Comuni che dovrebbero beneficiare di tali fondi ha proprio queste caratteristiche: un livello di partenza attuale della copertura relativamente bassa e un aumento programmato, grazie ai finanziamenti PNRR, che dovrebbe far aumentare sensibilmente la loro copertura.
Ugualmente, si riscontrano effetti positivi significativi per i Comuni che partivano da tassi di copertura superiori al 20% e che hanno ulteriormente aumentato in maniera significativa la propria offerta di servizi all’infanzia. Anche questo profilo è riscontrabile fra una parte degli enti locali che ha ottenuto finanziamenti per il PNRR.
Tali risultati incoraggianti, tuttavia, non si verificano sempre. Quando i Comuni hanno una bassissima copertura di partenza (nulla o sotto il 10%), anche un incremento significativo di posti nei servizi non sembra comportare effetti significativi sulla natalità nei 4 anni successivi. La nostra ricerca non ha una risposta, per ora, a questo fenomeno. Possiamo ipotizzare che in questi Comuni manchi una ‘cultura minima di utilizzo dei servizi educativi’, e pertanto è possibile che sia necessario più tempo affinché l’aumento dell’offerta venga sufficientemente percepito dalle coppie come una risorsa significativa e possa indurre un cambiamento nelle intenzioni riproduttive. I Comuni che rientrano in questa casistica sono quasi esclusivamente di piccole dimensioni (sotto i 5.000 abitanti) e in larga parte in zone rurali, contesti dove sono ancora più stringenti i vincoli di carattere strutturale che limitano la natalità, legati all’invecchiamento demografico e allo spopolamento delle aree interne.
Inoltre occorre inquadrare i risultati nel contesto più generale: la scarsa natalità dell’Italia negli ultimi decenni ha comportato una riduzione in termini assoluti nel numero delle potenziali madri e ciò di per sé riduce non poco le chance di una ripresa delle nascite. Quindi nonostante il ruolo positivo e significativo, l’aumento dell’offerta di servizi all’infanzia ha sostanzialmente un effetto di rallentamento del declino delle nascite. In altri termini, il nostro studio mostra come un aumento dei nidi aiuti ad aumentare le nascite ma, almeno per ora, non in misura sufficiente ad invertire il calo demografico. In ogni caso rende meno drammatica tale tendenza.
Si può essere cautamente più ottimisti in merito all’effetto che potrebbe avere il PNRR: lo ‘shock’ rappresentato da quest’ultimo, se effettivamente verranno realizzati tutti i posti nei servizi all’infanzia programmati, potrebbe essere tale da favorire in futuro un cambiamento apprezzabile del comportamento riproduttivo delle giovani coorti. Tuttavia, un investimento nei servizi all’infanzia da solo difficilmente sarà sufficiente per invertire la tendenza, ma serviranno interventi più ampi quali misure di sostegno al reddito e delle abitazioni, riequilibrio di genere nelle responsabilità familiari, nonché politiche del lavoro e di sviluppo economico.
Vedi anche
Servizi per l’infanzia in Italia. Report Istat-Università Ca’ Foscari
Alleanza per l'infanzia. I servizi educativi per l’infanzia rimangono un miraggio nel nostro Paese?
UPB. Piano asili nido e scuole dell’infanzia: stato di attuazione e obiettivi del PNRR e del PSB
LA RICHIESTA DI SOSTEGNO del Gruppo Solidarietà
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