Data di pubblicazione: 19/03/2021
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Servizi. Non solo (cambiare) i requisiti ma tematizzare domanda e offerta


Fabio Ragaini[1], Gruppo Solidarietà

Cambiamo i  requisiti di autorizzazione dei servizi sociosanitari e sociali, prima della loro (sostanziale) entrata in vigore!  (Non è richiesto coraggio, ma solo sano realismo). Affrontiamo, a partire dall’analisi della domanda,  contestualmente il tema del  sistema complessivo di offerta, compresi i sostegni domiciliari

L’approvazione (luglio 2020)  dei nuovi requisiti di autorizzazione dei servizi diurni e residenziali, complice la pandemia (anche se l’approvazione è avvenuta alla fine della prima ondata), è passata sotto silenzio. Neppure un comunicato stampa della (precedente) giunta in occasione della approvazione. Neanche un accenno durante la campagna elettorale per le elezioni di settembre.

Lo stato di crisi determinato dalla pandemia ha anche causato il rinvio delle richieste di nuova autorizzazione alla fine dell’emergenza (entro 18 mesi) per tutte le tipologie di strutture.

            In un nostro recente Quaderno abbiamo documentato del percorso che ha portato alla nuova normativa. Pensiamo possa rappresentare uno strumento utile sia per approfondire i contenuti, sia per capire “come è andata a finire”.

In questo lavoro, in maniera sintetica, riprendiamo alcuni temi, in stretta connessione anche con altre questioni.

Quali risultati dal lavoro di pressione (e forse, visti gli interessi in gioco, si è ottenuto il massimo possibile)   

Prima di iniziare, pare opportuno ricordare alcune delle modifiche ottenute a seguito  del lavoro di pressione svolto da alcune associazioni (vedi il Quaderno), dall’emanazione delle prime bozze fino all’approvazione definitiva. Al di là delle modifiche, il lavoro ha avuto almeno il merito di portare all’attenzione pubblica l’importanza di un provvedimento di questo tipo, i cui effetti riguardano oltre 15.000 fruitori dei servizi,  e che movimentano ingenti interessi in gioco.

E’ da subito evidente che i Requisiti sono stati pensati e costruiti  sulle esigenze delle principali organizzazioni dei soggetti gestori.  Ricordiamo che per alcuni requisiti strutturali (dimensionamenti, accorpamenti, superficie minima)  valgono quelli precedenti (quand’anche assenti dalla normativa!), in caso di strutture già attive o in via di realizzazione. Che significa, sostanzialmente, tutta l’offerta attuale e futura.

Vediamo le principali modifiche ottenute a partire dalle prime proposte della giunta, passate attraverso il parere della Commissione, prima della definitiva approvazione:

- Comunità per minori con disturbi neuropsichiatrici: Non è più previsto che il modulo sia da 20, ma da 10 (benché sempre accorpabile con altro modulo e con un Centro Diurno).

- Tempo minimo apertura dei Centri diurni. Almeno 48 settimane all’anno, fatta salva diversa disposizione nei requisiti specifici. Le ultime bozze indicavano 40 settimane. Nelle precedenti non c’erano indicazioni, fatto salvo per alcuni requisiti specifici.

- Centro diurno disabili (ex Cser). Non è più prevista la doppia tipologia di utenza, che significava standard e remunerazione differente per persone nella stessa identica condizione. A regime, quindi, tutti dovranno avere lo stesso standard e il riconoscimento della stessa tariffa e corrispondente quota sanitaria. Qualche limite è stato inserito per l’accesso dei minori  al centro diurno riabilitativo (ex CD legge 20/2000).  

- Letti per camera: tutte le strutture con 3 e 4 letti (eccetto Rsa anziani e Comunità per dipendenze patologiche) entro cinque anni dovranno adeguarsi ai 2 letti per camera  previsti per le nuove realizzazioni.

- Comunità disabili (RD3). Alle comunità con numero di posti inferiore a 20 è consentito incremento di personale fino alla copertura del turno h24. In qualche modo le piccole comunità (che precedentemente avevano capacità recettiva massima di 10 persone), circa 30,  potranno (forse) sopravvivere.  

- Ripristino standard riabilitativo nei posti di  cure intermedie.

Requisiti, ma non solo

Così scrivevamo lo scorso giugno, poco tempo prima dell’approvazione definitiva del provvedimento. “Premesso che i contenuti dei requisiti di autorizzazione rappresentano un tassello del sistema di offerta di due specifici “regimi” (diurno e residenziale), che si completa poi con i posti “convenzionabili”, con le tariffe, con gli oneri a carico del sistema sanitario e sociale, sono poi le scelte complessive di politica sociale che stabiliscono su quale orizzonte si muove il sostegno e la tutela di soggetti che necessitano di interventi e servizi. Ad esempio: quale spazio per il sistema di valutazione e presa in carico, quale investimento nel sostegno domiciliare e di che tipo (contributo economico e come, sostegni formali attraverso i servizi, ecc..), quali interventi di sostegno al reddito. Quindi: quanta residenzialità e come, quanta domiciliarità e come. E ancora: quanti sostegni preventivi e come. Ne scaturisce l’importanza che  tutto venga inquadrato all’interno di un progetto complessivo collegato strettamente ad altre politiche: ad esempio, abitative, lavoro ”.

Fabbisogno e requisiti, ma soprattutto analisi della domanda e progetto

Ma è sul tema fabbisogno che riteniamo importante tornare. Non tanto, e non solo, per l’evoluzione che sembra aver preso il percorso delle progettualità prioritarie. L’idea originaria di riconoscere specifiche necessità territoriali, trasformata (e bisognerebbe tentare di dare qualche risposta al perché) in un incontrollato assalto alla ricerca di servizi (più remunerati) che nulla hanno in comune con il termine “progettualità”.

Ma non è solo questo. Occorre riprendere, rigorosamente, la questione della “domanda”, sulla quale viene costruito il “fabbisogno”. Da un lato c’è un bisogno, già presente ma non riconosciuto ancora pienamente, (ad esempio, attraverso la creazione di posti convenzionati in residenze protette), dall’altro c’è un “bisogno” (è una brutta parola ma serve per capirci) rispetto al quale non abbiamo fatto lo sforzo per individuarlo e analizzarlo. E allora i posti contrattualizzabili (quelli, in particolare, ad alta remunerazione) stanno diventando l’obiettivo di una battaglia per accaparrarseli. I più scaltri (generalmente i profit, ma anche diversi non profit si stanno attrezzando) vanno a caccia di rette. Se possono li attaccano a qualche altro servizio già contrattualizzato, altrimenti cercano di razzolare tutto il disponibile. Non basta dunque definire buoni (come non lo sono quelli marchigiani) requisiti per i servizi diurni e residenziali, occorre ripartire dall’analisi della domanda e anche  dalla possibilità che possa esservi libera scelta. Nella consapevolezza, laddove i sostegni domiciliari siano effettivi e robusti, che le persone preferiscono continuare a vivere dove hanno sempre vissuto. Se, ad esempio,  per le persone con disabilità, fino a non molti anni fa si rispondeva automaticamente alla mancanza del sostegno familiare con più  residenzialità, oggi questo assunto non è più automatico. La persona, con sostegni adeguati e se lo desidera, può e riesce a rimanere nel luogo in cui ha sempre vissuto.

Ritornando ai requisiti: intervenire subito su alcuni aspetti è doveroso

Indicare solo alcuni aspetti è sempre pericoloso, perché può dare l’impressione che gli altri  non siano così importanti. In questo caso vogliamo indicare due aspetti, molto diversi tra loro, che però  hanno come denominatore comune il tema della qualità di vita.

- Anche per le RSA anziani/demenze e per le strutture per le dipendenze patologiche prevedere entro 5 anni  l’adeguamento strutturale per avere tutte le camere a due letti. Con quello che è successo in questi mesi all’interno delle residenze per anziani, licenziare un testo a luglio 2020, con la previsione che il 40% della camere delle RSA possa contenere anche 3/4 letti, è perlomeno indecenza. Ridurre i letti per camera significa ridurre i posti complessivi e quindi il budget in entrata? Si affronti il problema, si veda come risolverlo, ma non si può mettere in discussione l’obiettivo di una miglior qualità di vita delle persone.

- In tutti i servizi che accolgono persone con disabilità intellettiva si introduca la presenza di personale educativo. Non stabilirlo nei Centri diurni riabilitativi e nelle Residenze riabilitative estensive è ingiustificabile, così come l’ambigua previsione nelle Unità speciali, che accolgono persone con disabilità intellettiva. Che questa previsione, presente già nelle prime bozze, non sia stata oggetto di emendamento da parte degli enti gestori, appare incomprensibile, ma dimostra anche quale idea di servizio alla persona abbiano molti soggetti gestori (che sono stati co-estensori dei requisiti).

L’irriducibile irrilevanza dei servizi rivolti alle persone con demenza

Tra le tante questioni, una mi sembra emergere con maggiore evidenza, seppur, in questi casi, non sempre è facile stilare una graduatoria: è l’inadeguatezza della risposta alle necessità delle persone con demenza (in questa sede nel percorso diurno/residenziale).

I Centri per i disturbi cognitivi e demenze (CDCD) sono il luogo della  valutazione e della definizione del percorso. Sappiamo come operano, dove sono collocati, da quale figure professionali sono composti? Convenzioniamo qualche unità di posto di residenza protetta demenze. A quale obiettivo risponde  (oltre ad aumentare la quota sanitaria, dunque i budget, di quei posti che passa da 33,50 a 45 euro)? Permettiamo di autorizzare una residenza protetta anziani prevedendo la possibilità che fino al 60% siano posti letto per demenze. In sostanza si predispongono percorsi autorizzativi specifici per servizi dedicati e, contestualmente, il servizio dedicato non lo si realizza.

Ripartire (né genericamente, né ritualmente) dalla “qualità di vita” delle persone

Sopra abbiamo richiamato solo alcuni fra i tanti temi connessi alla definizione dei requisiti di autorizzazione dei servizi diurni e residenziali. Perché alcuni di questi debbano essere cambiati, lo abbiamo spiegato ripetutamente. In questo approfondimento abbiamo voluto riprendere alcuni punti che, ripetiamo, rappresentano solo un tassello, per quanto importante, del sistema di offerta. Rivederli è opportuno e indispensabile, ma occorre ragionare in termini complessivi al tema della risposta alle diverse esigenze delle persone. Se vogliamo mettere al centro davvero la "qualità della vita", occorre "ripensare i servizi" ed i loro modelli, partendo dal sistema di accompagnamento, valutazione, presa in carico. E' necessario definire e rendere funzionanti i Luoghi qualificati, nei quali si progetta, assieme agli "utenti" (che brutta parola), quali possano essere i sostegni più adeguati a garantirne il benessere. Potremmo scoprire che molte delle risposte, attualmente disponibili e caratterizzate da requisiti irricevibili (a partire dal modulo da 30 e suo multiplo), definiscono servizi  lontani dalla domanda. E le risorse che li sostengono possono essere uno strumento prezioso per garantire, appunto, qualità di vita.

Per approfondire

- Quaderni Marche-6, I nuovi requisiti di autorizzazione dei servizi sociali e sociosanitari diurni e residenziali.

- Materiali corso di formazione, I nuovi requisiti di autorizzazione dei servizi diurni e residenziali.

- Le politiche sociali e sanitarie del centrosinistra nelle Marche: un bilancio.

- Quaderni Marche-4, L’assistenza residenziale anziani nelle Marche. Prima e dopo il coronavirus

 

[1] Ringrazio Vittorio Ondedei cui devo la collaborazione nella revisione del testo.


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