Data di pubblicazione: 24/06/2014
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Verso il nuovo Isee. Contenuti e problematiche applicative

In, Appunti sulle politiche sociali, n. 4/2014 (208). - Tutti i numeri della rivista.

A breve dovrebbe entrare in vigore la nuova normativa sull’indicatore della situazione economica equivalente (Isee). L’impressione è che dopo una prima fase in cui le modifiche sono state salutate con soddisfazione da molti soggetti, in particolare enti locali, sembra ora allargarsi il fronte dei perplessi. Ne parliamo con Massimiliano Gioncada con il quale facciamo il punto riguardo contenuti, anche rispetto alla precedente normativa e problematiche applicative (intervista a cura di Fabio Ragaini). 


Dello stesso autore

Servizi sociosanitari. Compartecipazione al costo e applicazione della normativa ISEE, in, "Appunti sulle politiche sociali", n. 3/2016

L’ISEE e la compartecipazione al costo dei servizi sociali e sociosanitari. A che punto siamo?, in, "Appunti sulle politiche sociali", n.  2/2024


Dovremmo essere alla vigilia dell’applicazione del nuovo ISEE[1]. Una tua valutazione complessiva sulla nuova norma anche con riferimento alla precedente.

Che dire… La nuova disciplina mi pare tradisca le attese, di tutti, sotto più profili. Nella mia attività rinvengo lamentele, a mio avviso fondate, sia da parte delle amministrazioni comunali sia da parte dell’utenza. Le prime evidenziano come la previsione di un ampliamento delle voci “di reddito” incluse nell’ISEE siano di fatto depotenziate da tutta una serie di fattori demoltiplicativi che le vanificano. Gli utenti si lamentano perché col nuovo indicatore viene eccessivamente penalizzata la proprietà immobiliare. Personalmente la ritengo un’occasione parzialmente persa, un decreto che sotto tanti aspetti non fa i conti con la realtà, e che non consentirà facilmente di superare la contrapposizione, deleteria per tutti, tra amministrazione pubblica e cittadini.

Rispetto al precedente, il futuro indicatore dovrebbe essere più flessibile e realmente rappresentativo della capacità economica di chi richiede determinate prestazioni. In realtà, in certi casi (vedi la titolarità di beni immobili, nel caso in cui si richieda una compartecipazione comunale al pagamento della retta per un inserimento in struttura residenziale), non si risolve il problema di un bene che è illiquido per definizione, ciò che rappresenta un problema evidente in molti casi. Ovvio che un regolamento comunale non costituisce una fonte del diritto tale per cui possano esser vanificate le previsione di una norma di legge (di qui l’ottusa posizione di coloro che ritengono che essendo così stabilito nel regolamento, quello è ciò che vale), ma ho l’impressione di un decreto scritto molto “a tavolino”, senza un preciso e concreto ancoraggio alla realtà. Ciò che mi pare confermato da alcune proposizioni contenute del d.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159 che, oggettivamente, lasciano sbalorditi.

Quali gli aspetti che più ti convincono e quali ti lasciano maggiormente perplesso? Come valuti la formulazione della parte in cui viene indicato come livello essenziale?

Ecco, in continuità con la risposta precedente, questa domanda calza a pennello. Posto che, personalmente, ritengo l’art. 2 del d.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159 uno dei più “affascinanti”, dal punto di vista giuridico, è altrettanto vero ch’esso pone dei problemi interpretativi di non poco conto, che non sono ancora stati sciolti. Laddove il decreto stabilisce che “La determinazione e l’applicazione dell’indicatore ai fini dell’accesso alle prestazioni sociali agevolate, nonché della definizione del livello di compartecipazione al costo delle medesime, costituisce livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”, pone un limite ben preciso alla competenza regionale: non sono ammessi ISEE “artigianali”, predisposti a livello regionale o, addirittura, comunale, giacché la competenza a disciplinare i contenuti dell’ISEE è riconducibile, in via esclusiva, in capo allo Stato.

Ciò detto, si pone il problema di come declinare l’enunciato successivo, allorquando si stabilisce che sono “fatte salve le competenze regionali in materia di normazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e socio-sanitarie e ferme restando le prerogative dei Comuni”.

In che senso sono fatte salve le competenza regionali e le prerogative comunali, a fronte di un indicatore che è riconosciuto come “livello essenziale” e tenendo conto che l’art. 2 co. 1 si chiude con la seguente proposizione “E’ comunque fatta salva la valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare attraverso l’ISEE”?

Comprendiamo che vi sono evidenti problemi di coordinamento, che le Regioni dovrebbero, unitariamente, dirimere. Personalmente ritengo che l’unica interpretazione costituzionalmente orientata sia la seguente: Regioni e Comuni possono garantire al cittadino un trattamento migliorativo rispetto all’ISEE nazionale, ma non certamente deteriore rispetto ad esso, giacché questo rappresenta, per esplicita volontà legislativa, un “livello essenziale”. Alcune altre previsioni lasciano, comunque, oggettivamente basiti.

All’art. 6 co. 3 si stabilisce, con riferimento alle prestazioni erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo, alcune regole, tra le quali la non calcolabilità delle componente aggiuntiva del figlio non convivente, “quando risulti accertata in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali la estraneità del figlio in termini di rapporti affettivi ed economici”. La stessa regola è prevista, pur se soggettivamente diversamente destinata, con riferimento alle prestazioni agevolate rivolte a minorenni di cui all’art. 7 co. 1 lett. d).

Sarebbe interessante chiedere agli estensori di queste previsioni, “chi” hanno inteso individuare per “pubblica autorità competente in materia di servizi sociali”, ma, soprattutto, di spiegare a questa “pubblica autorità” quali sono gli indicatori di affettività tra due persone da utilizzare e come si misura l’affettività tra le persone. E ciò a prescindere dal fatto che non è dato di capire come l’assistente sociale comunale possa procedere a indagini economiche, a fini compartecipativi, circa l’effettiva estraneità del figlio (o del padre) rispetto all’utente.

In aggiunta a ciò, mi è sorta immediatamente una domanda: stante il carattere modulare dell’indicatore ISEE, che ne è nel caso in cui il figlio non convivente si dichiari indisponibile all’integrazione della retta, pur avendone le capacità economiche? Potrebbe il Comune agire direttamente nei suoi confronti, o dovrebbe agire nei confronti del ricoverato (che magari già paga, delle proprie sostanze, tutto ciò che deve)? Mi si permetta, da avvocato, una battuta: ho l’impressione che se si voleva dar lavoro alla mia categoria, ci stanno riuscendo benissimo.

Il precedente ISEE è stato scarsamente applicato dai Comuni ai fini della definizione della compartecipazione al costo dei servizi. Ritieni che con la nuova normativa potranno esserci dei cambiamenti?

L’orientamento comunale, così per come lo sto cogliendo io, ragionando con le molte amministrazioni che seguo da vicino, non mi pare molto cambiato: era mal vissuto il precedente ISEE, lo è ancor di più l’attuale, a maggior ragione alla luce del fatto che le prime previsioni rendono l’idea di un incremento dell’impegno economico pubblico. Tutto ciò, infatti, avverrebbe nonostante il fatto che le risorse a disposizione sono diminuite, e non certo aumentate. Prevedere una regola di favore massimo per l’utenza, non è concettualmente osteggiato nei Comuni (o A.S.L. che siano): il problema è un altro, vale a dire i soldi che non ci sono. E che non ci sono per sostenere un livello di servizi così come delineato dalla norma.

Scrivere una norma positiva, di civiltà, ma inapplicabile per mancanza di risorse, è un po’ come fantasticare una vacanza da sogno senza aver ferie a disposizione. La norma attuale (il d.lgs. n. 109/1998), letta d’insieme con la l. n. 328/2000, prevede l’utilizzo dell’ISEE, ma ciò non è avvenuto così diffusamente, perché a livello locale rinveniamo applicazioni parziali o “aggiustamenti” discutibili. Prima di censurare l’amministrazione, però, dobbiamo chiederci il perché.In alcuni (residuali) casi si tratta di mera ottusità del funzionario o politico di turno, in altri, e ben più numerosi casi, è stata la giurisprudenza a dover chiarire che l’ISEE era di necessaria applicazione.

Nel futuro scenario, ciò è previsto dalla legge in modo esplicito (vedi il suindicato art. 2 comma 1 capoverso), ma siamo sicuri che basterà a renderne effettiva e diffusa l’applicazione?

Io non ne sono così certo, perché le resistenze, motivate da questioni economiche e di bilancio, permangono, e molto più diffuse di ciò che si pensi. Per le Province autonome, poi, si apre un capitolo a parte, ma mi pare di poter osservare che il Consiglio di Stato, sul punto, ha già preso posizione.

Come sappiamo uno dei punti più controversi e disapplicati della precedente normativa è stato quello riguardante anziani non autosufficienti e disabili gravi. La gran parte dei Comuni che ha spinto per la modifica, non sembra ora gradire neanche la nuova formulazione. Condividi questa impressione e nel caso qual è la tua opinione?

Dire che la nuova norma “non è gradita” dai Comuni è un eufemismo. Diciamo pure che è apertamente osteggiata. Anche perché, a ben vedere, trattasi dell’introduzione, ex lege, del principio della capacità economica del solo assistito. Laddove l’art. 6 comma 2 del d.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159 stabilisce che ai fini delle prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria “il nucleo familiare del beneficiario è composto dal coniuge, dai figli minori di anni 18, nonché dai figli maggiorenni”, siamo appunto, salvo il caso in cui la disabilità sia intervenuta in età avanzata, a seguito di incidente o malattia, all’introduzione ex lege del suindicato principio.

Quanti utenti con disabilità grave frequentanti centri diurni hanno coniuge e figli? Presto detto….

Se prima, in ordine all’applicabilità dell’art. 3 co. 2-ter del d.lgs. n. 109/1998, la giurisprudenza aveva supplito all’opacità normativa (salvo l’intervento risolutore della Corte Costituzionale con la sentenza n. 296/2012), la futura norma, ora, è tranciante, non prevedendosi in alcun modo possibili compartecipazioni da parte dei genitori o da parte dei famigerati tenuti agli alimenti.

Ovvio che le amministrazioni non vedono di buon occhio questa previsione, ponendosi seri problemi di bilancio e di disponibilità di risorse. Ma, allora, viene spontanea una domanda: solo ora ci si accorge della rigidità di tale previsione? Eppure la legge, quando e se entrerà in vigore, parla chiaro.

Da ultimo un problema che sempre più investe gli utenti dei servizi sociosanitari. Mi pare stiamo assistendo sempre di più ad una privatizzazione del rapporto tra ente gestore e utente, in un quadro di crescente deresponsabilizzazione del pubblico (sia esso Asl o Comune). Cosa ne pensi?

Bisogna fare chiarezza. Il ruolo pubblico in sede di erogazione dei servizi socio-sanitari è previsto nella legge, ma riposa in diverse fonti normative, stratificatesi negli anni, e che ora non contribuiscono a fare totale chiarezza.

Una conto è il rapporto tra ente gestore e utenza (sul quale la giurisprudenza è ondivaga, configurandolo talvolta di diritto pubblico, altre volte di diritto privato, con tutto quel che, anche processualmente, ne consegue), un altro è il rapporto tra utente e pubblica amministrazione.

Quel che va chiarito è il ruolo di questa nei confronti dell’utente che, pur accedendo a servizi assistenziali, quali quelli socio-sanitari, non ha le risorse sufficienti per provvedere al pagamento della c.d. quota sociale.

Che la legge attribuisca all’amministrazione un ruolo che la obbliga all’intervento, è noto e innegabile, ma poiché ciò non sempre avviene in modo lineare, forse sarebbe il caso che il legislatore aggiornasse anche questo contesto, rendendo più chiaro ed evidente “chi” fa “che cosa” e “a quali condizioni”.

Non mi spaventerei di fronte all’evidente tentativo di render sempre più privatizzato il rapporto tra ente gestore e utenza, perché se fosse chiaro, e interiorizzato, il rapporto trilaterale ente gestore – utenza – pubblica amministrazione, non vi sarebbero problemi di sorta: ove non è più in grado di intervenire il privato, interviene il pubblico. Punto.

Con conseguente tranquillità dell’ente gestore (che comunque si vedrebbe garantito il pagamento che gli spetta) e del cittadino (che pagherebbe il giusto, consapevole che l’eventuale rimanenza è a carico di chi, per legge, vi è tenuto). I problemi sono molteplici, a partire dalla vincolatività, o meno, delle quote di ripartizione tra sanità e sociale di cui all’allegato 1 C del d.P.C.M. 29 novembre 2001, per passare attraverso l’introduzione di costi standard riguardo alla c.d. quota alberghiera, fino alla tendenziale uniformità di misurazione della capacità economica dell’utenza secondo standard sostenibili sia da parte di questa sia da parte dei Comuni.

Un passo, molto parziale, in quest’ultimo senso, sembra sia stato tentato attraverso il c.d. “nuovo ISEE”, ma riguardo agli altri due, che si sta facendo?

Le realtà regionali son molto variegate, e ciò certamente non giova a nessuno.

Del resto, non poteva esser diversamente, a fronte di un disegno costituzionale, l’attuale Titolo V, che mostra ogni giorno di più la propria inadeguatezza alla realtà che muta.

 

[1] Il Regolamento in, http://www.grusol.it/apriInformazioni.asp?id=3564,  è stato approvato con Dpcm, il  5.12.2013.

 


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