Riforma disabilità. Dopo il rinvio e .. non solo Pubblicato nel n. 1/2025 (250) di, Appunti sulle politiche sociali. Puoi sostenere il nostro lavoro con l'abbonamento. Sulla “Riforma della disabilità” si è acceso un ampio dibattito a seguito del rinvio, con una disposizione all’interno del decreto “milleproroghe”, dell’entrata in vigore della riforma. Il periodo di sperimentazione che coinvolgerà altre province, per un totale di 20, è stato prorogato di un anno e quindi, per ora, l’entrata a regime della legge è fissato al 1° gennaio 2027. Questa disposizione, ispirata evidentemente dal Governo, ha innescato un confronto tra chi vede nel rinvio lo stop, o peggio l’affossamento di una riforma che aveva promesso un cambiamento immediato (autodeterminazione/progetto di vita/budget di progetto) della condizione di vita di molte persone con disabilità e chi invece ritiene che l’allungamento del periodo di sperimentazione possa forse consentire di affrontare e superare le difficoltà attuative, che difficilmente si sarebbero potute risolvere in un solo anno. Con Carlo Giacobini, analista e divulgatore, vogliamo provare fare un po’ il punto, senza pretese di esaustività, sulla riforma, non fermandoci solo a queste ultime vicende (intervista a cura di Fabio Ragaini). Tu sei stato, mi sembra, molto “tiepido” rispetto, non tanto ai contenuti della riforma, quanto alla sua reale applicabilità. Hai spesso ironizzato sulla “epocalità della riforma”: perché? Bene: partiamo dall’origine dell’ironia che ho espresso ripetutamente ma sempre a condimento di riflessioni credo piuttosto ampie. È una voluta reazione alla comunicazione iperbolica che ha accompagnato l’approvazione della legge delega e poi del decreto 62/2024. Bene inteso: il marketing politico non scandalizza, ma quando ventila soluzioni salvifiche e rivoluzionarie dovrebbe tenere conto che può innescare aspettative, illusioni, fraintendimenti presso persone che già vivono quotidianamente disagio, emarginazione, solitudine, deprivazioni. A fronte della estrema delicatezza e complessità degli àmbiti aggrediti sarebbe stato più opportuna una comunicazione più umile, cauta e possibilista. Così non è stato e gli effetti si pagheranno quando le persone tireranno la somma con la realtà dei fatti. Molte delle reazioni al rinvio della sperimentazione derivano proprio dall’enfasi messianica che ci è stata propinata da mesi. Ricorda molto la scena di taluni ministri e sottosegretari che, affacciati sbraccianti ad un balcone governativo, plaudivano all’abolizione della povertà in Italia. Un’arma non violenta rimane la civile ironia. Questo forse è accaduto perché molte sigle si riconoscono nella riforma e vi hanno partecipato… Difficile sostenere che la scrittura di questa riforma sia l’esito di una ampia partecipazione. Basta ricostruire la cronologia. La riforma della disabilità, come quella per la non autosufficienza, sono state annoverate (malamente) fra gli interventi previsti per poter ottenere i quattrini del PNRR. La legge delega nel 2021 ha risposto più alle stringenti esigenze di rispettare le scadenze UE che a quelle della partecipazione o dei confronti. Ricordo che la stessa discussione parlamentare fu ridotta a termini strettissimi. Le audizioni parlamentari sono stare compresse in 8 minuti. Lo stesso decreto 62/2024 è transitato in Osservatorio nazionale sulla disabilità a cose fatte, dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri e chiedendone una mera presa d’atto. Anche in quel caso non si è levata una voce, non si è alzato perplesso nessun sopracciglio. Per favore: non parliamo di scrittura partecipata. Torniamo alla riforma. Mi sembra tu abbia evidenziato in particolare il fatto che il nodo fondamentale è quello delle risorse. Ho interpretato bene? Di nodi ce ne sono almeno quanti i coni d’ombra. Uno di questi è sì quello delle risorse che è rilevante in particolare per la parte della riforma che riguarda il cosiddetto progetto di vita e il budget di progetto. Non che la parte della riforma riferita alla nuova modalità di riconoscimento della disabilità sia scevra da notevoli inghippi e da rischi concreti, ma teniamola per un’altra intervista. Ci tengo a precisare che quando mi riferisco alle “risorse” non penso tanto e solo a stanziamenti o a quote di PIL destinate al welfare. Sarebbe troppo semplice evidenziarne l’esiguità rispetto alle ambizioni della riforma. Quand’anche, con qualche artifizio di finanza creativa, si decidesse di mobilitare stanziamenti mai visti prima per la disabilità e la non autosufficienza – il che non è nemmeno lontanamente ipotizzabile – ci troveremmo comunque limitati nella capacità di spesa. Perché? Perché l’offerta dei servizi nei welfare locali rimane immutata per tipologia e quantità: la riforma non l’ha modificata e non sarebbe in grado di farlo. Perché soffriamo di carenze endemiche e sempre più gravi di operatori, di educatori professionali, di mediatori, di terapisti occupazionali e della riabilitazione, di logopedisti… per tacere di infermieri e OSS. E ancora: di assistenti personali con un minimo di specializzazione o formazione. Se, ad esempio, ipotizziamo percorsi di transizione alla vita adulta o di abitare in autonomia per persone con disturbi del neurosviluppo dovremmo credibilmente prevedere mediazioni e sostegni variabili da parte di educatori professionali. Sono figure drammaticamente sempre più insufficienti rispetto al potenziale fabbisogno. Si paga il precariato, le confusioni nei percorsi formativi, il mancato riconoscimento e valorizzazione negli anni di queste figure. Ce lo insegna anche la vicenda degli assistenti all’autonomia in ambito scolastico. Ma anche senza immaginare impegni progettuali di ampio respiro, la stessa valutazione di base – quella volta a delineare meramente la condizione di disabilità – prevede la presenza, per i minori, di neuropsichiatri e di altre specialità che sono irrefragabilmente carenti nel nostro sistema attuale. Sono convinto che INPS incontrerà non poche difficoltà nel cooptare i 1.069 medici, adeguatamente preparati, destinati alla novella valutazione di base. Nello stesso Paese in cui mancano circa 5.500 medici di famiglia e più di 800 pediatri di libera scelta, 65.000 infermieri e altrettanti OSS, migliaia di logopedisti… E da ultimo, sempre in tema di risorse, non possiamo dimenticare che nel 2024 erano 470 i Comuni italiani (il 6% del totale) in stato di crisi (257 in predissesto e 213 in dissesto), concentrati prevalentemente al Sud, con una tendenza alla crescita. Questo è il Paese reale, il lugubre esito di politiche decennali e bipartisan. Questo intendo per carenza di risorse… Nel dibattito di questi giorni si sono confrontate diverse posizioni (vedi box). Non solo riguardo alla valutazione della scelta del rinvio da parte del governo. Cerco, forse semplificando, di indicare alcuni punti. La riforma rimarrà bloccata finché non diventerà effettiva la possibilità di riconvertire le risorse ora impiegate nelle “rette”, ovvero nel finanziamento di strutture diurne e residenziali. Attraverso questa liberazione di risorse si potrà permettere la realizzazione di progetti autodeterminati e personalizzati. Insomma, c’è un cambiamento che non si vuole realizzare oggi e probabilmente neanche domani. La domanda è: se la riforma fosse andata in vigore da oggi questa possibilità sarebbe stata, secondo te, effettivamente realistica/percorribile? Il rinvio dell’entrata a regime della riforma, soprattutto nella seconda parte, era largamente prevedibile. È solo l’ennesima riprova della enorme difficoltà applicativa del sistema profilato dalla riforma. Francamente non mi ha stupito per nulla, a prescindere che processi di questo tipo devono essere sperimentati e testati (seriamente però) per comprendere se abbiano realmente la possibilità di diventare strutturali per tutti, non solo per felici sperimentazioni locali di poche decine di persone. Non credo nemmeno che 24 mesi siano sufficienti, con queste premesse, ad una sperimentazione realistica. Il rinvio è una ammissione implicita che quanto vagheggiato è molto più complesso da realizzare di quanto si sia millantato. Comprendo l’indignazione di taluni: a fronte di una annunciata palingenetica rivoluzione epocale è evidente che le reazioni siano negative. Tuttavia, vorrei capovolgere la questione in un esercizio di provocazione intellettuale: ce la prendiamo – giustamente – perché la sperimentazione viene estesa, cioè per la data finale. Ma ci siamo chiesti se la sperimentazione sia effettivamente iniziata? Quanti progetti di vita con il nuovo impianto hanno iniziato il loro percorso? Rispetto alla conversione delle risorse impegnate nelle “rette” dei centri diurni e delle strutture residenziali, credo vi sia parecchia idealizzazione e scarsa valutazione dei numeri e delle cifre. La ipotizza timidamente la riforma della non autosufficienza, ma la riforma della disabilità non la contempla. E poi i numeri non tornano o sono tutti da dimostrare. Possiamo immaginare che il costo dei sostegni domiciliari possa essere inferiore ad una retta in RSA. Per quella persona specifica posso immaginare – se non ha una severa necessità sanitaria – che il costo del sostegno a domicilio sia inferiore a quello in struttura, e dunque sia efficiente prediligere la prima soluzione alla seconda. Ma siamo così certi che i “risparmi” complessivi, attivabili solo chiudendo tutte le RSA (o RSD), siano sufficienti a sostenere adeguatamente il costo di tutti i progetti di vita? Ancora più intricato il riferimento ai centri diurni: quali sono sul territorio le alternative? Come abbiamo generato e sostenuto modellizzazioni alternative ai centri diurni? Abbiamo considerato che in molti casi i centri diurni stanno cambiando pelle e modalità organizzative? Come ne supportiamo il cambiamento e li rendiamo sostenibili? Altra questione che ha diviso è la seguente. Con il rinvio della legge si rimanda la possibilità di realizzare il progetto di vita, condizione per veder garantiti i propri diritti, sulla base di uguaglianza con gli altri. Insomma, il diritto di scegliere. L’obiezione è che già oggi il progetto personalizzato può essere richiesto (art. 14, legge 328) e dunque il “progetto di vita” della riforma non innova. Mi sembra che non dobbiamo sottovalutare il fatto che cambiamenti come quelli previsti camminano anche sulle gambe di chi opera nei territori, sui quali è indispensabile un grande investimento. Anche io, credo, per quello che conta, che molte cose si possono fare fin da oggi (non tutte quelle nella modalità che la riforma consente). Ad esempio, nel territorio in cui operiamo siamo riusciti nel 2008 a riconvertire risorse sociali e sanitarie precedentemente spese per la comunità per consentire il ritorno a casa. Inizio dall’ultima battuta. La Sardegna, da qualche anno ha finanziato un progetto denominato “Tornare a casa”. Si rivolge a persone con disabilità con forti necessità sanitarie che, con supporti diretti e sostegni indiretti, sono passate da una struttura sanitaria al proprio domicilio di origine. Soluzione praticabile, apprezzabile e che non ha bisogno della riforma. Riguarda un numero di fattispecie molto limitato rispetto ai quasi tre milioni di persone con disabilità nelle più disparate condizioni. Consentimi una rapidissima digressione: nel testo della riforma non ricorre mai il termine segregazione. Il termine de-istituzionalizzazione ricorre nella legge delega e poi scompare nel decreto 62/2024. Il progetto personale previsto dalla legge 328/2000 e il progetto di vita delineato dalla riforma sono differenti sotto il profilo della giusta enfasi che il secondo attribuisce alla partecipazione della persona e al rilievo che si attribuisce all’autodeterminazione. Due punti che dovrebbero essere patrimonio della ordinaria deontologia professionale degli operatori anche senza riforma. Ma allora come possono le Unità di valutazione elaborare il progetto di vita e il conseguente budget di progetto? Le UVM devono partire dalle aspettative, dai bisogni, dagli obiettivi di vita della persona (occorreva scriverlo?). Devono anche effettuare un’istruttoria di quanto la persona già fruisce in termini di sostegni e di supporti e riallinearli evitando sovrapposizioni. Solo dopo arriviamo al dunque: scrivere un progetto che possa essere sostenibile e continuativo. Vestiamo per un attimo i panni di una Unità di valutazione, al corrente della debolezza dei sostegni disponibili nel territorio, dei limiti delle risorse e delle opportunità, e consapevole dell’impegno alla sostenibilità. Elaborerà il progetto in funzione dei sostegni praticabili e delle risorse disponibili oppure rimarrà asettica e terza rispetto a queste carenze delineando un progetto di vita che risponda solo al profilo della persona e delle sue aspettative ma che sia di fatto impraticabile? Lascio la risposta a chi legge. Insomma, non ti convince proprio il “progetto di vita”…. Al contrario! Mi convince molto, ma su tutt’altre basi e soprattutto ben altre prospettive. È la stessa locuzione “progetto di vita” ad avere subito una profonda manipolazione di senso. Come qualcuno ha acutamente osservato, si è trasformata da un processo di pensiero strategico ad una reificazione. Tradotto: da un modo di intendere la costruzione sostenibile di percorsi fatti di traiettorie flessibili e variabili con il supporto di diverse competenze, ad uno strumento tecnico. Il costrutto che ne deriva, per essere qualcosa di palpabile e forse anche rassicurante, se non salvifico, deve rispondere ad iter predefiniti, strutture formalistiche, ruoli diffusi, formazione massiva e ansiolitica e, ovviamente, acquisizione di linguaggi comuni, quasi che con una koiné dell’inclusione ci si protegga da eventuali conflitti. Ne sortiranno apprezzati manuali e modelli redazionali dei progetti, ricchissimi di schemi, moduli, fac-simili, routine tecnicistiche, fenotipi a cui ricondurre agevolmente la complessità umana e la sua evoluzione nel tempo, con evidenti fascinazioni scientiste ed efficientiste. Indubbiamente per molti operatori rassicuranti di fronte all’incertezza, al dubbio, alle difficoltà interpretative degli umani casi e accadimenti. Ma poi si finirà per fare i conti con il contesto e con la realtà e bisognerà gestire gli inevitabili conflitti di cui la riforma preferisce nemmeno prefigurare la possibilità: la partecipazione non genera conflitti! Tant’è che la riforma nemmeno prevede modalità di prevenzione e composizione dei contenziosi. Un ulteriore aspetto che mi pare non sufficientemente posto all’attenzione è: cosa hanno fatto finora le Regioni. L’impressione è che siano state abbastanza ferme. Se è così, non mi pare un dato irrilevante. Entro novembre 2024, se non sbaglio, le Regioni avrebbero dovuto, “al fine della predisposizione del progetto di vita”, programmare e stabilire modalità di riordino e unificazione, all’interno delle Unità di valutazione multidimensionale, delle attività e dei loro compiti. Un lavoro enorme. Da parte, ad esempio, della mia Regione non ho visto traccia. Ecco, appunto! Ci si indigna per il rinvio del termine ultimo della sperimentazione, ma non ci interroga sulla reale data di inizio. Qualcuno, giustamente, all’approvazione della legge delega e poi del decreto 62/2024 si è interrogato su come tutto ciò planasse nei 20 differenti welfare regionali. Un interrogativo che evidentemente il Legislatore non si è posto, nemmeno osservando alcune pratiche, magari limitate ma sicuramente innovative. In questo momento – ed è già teoricamente iniziata la sperimentazione – gran parte delle Regioni annaspano, in particolare quelle che in questi anni avevano già avviato in questi anni una propria riorganizzazione magari innovativa. Anche questo era prevedibile, e credo che non abbiamo ancora visto tutto. IL DIBATTITO. Dopo lo slittamento dell’entrata a regime della riforma con il decreto “milleproroghe”. Carlo Francescutti, Progetto di vita: cinque punti di distanza tra la riforma e la sua narrazione Natascia Curto, Il rinvio della Riforma sulla disabilità e l’esistente da salvaguardare Cecilia Marchisio, Chi ha paura dei progetti personalizzati? Alceste Santuari, Riforma della disabilità tra futuro (nazionale) incerto e presente (regionale) certo Ciro Tarantino, Il gioco del silenzio Giampiero Griffo, Le voci dei diritti Vincenzo Falabella, Il rinvio di quel Decreto, tra preoccupazioni e opportunità Salvatore Nocera, Tra le pieghe giuridiche riguardanti il rinvio di quel Decreto LEDHA, Già oggi le persone con disabilità possono richiedere il Progetto di Vita al proprio Comune Vedi anche Disabilità. D. lgs 62-2024 attuativo della legge delega 227/2021. Testo, analisi e commenti Legge delega al Governo in tema di disabilità (L. 227/2021) e decreti attuativi. Testi e commenti Puoi sostenerci con l’abbonamento Tutti i numeri della rivista, fino al 2021, sono disponibili con accesso gratuito. Alcuni recenti articoli - Francesco Crisafulli, La professione educativa. Il diritto che sia riconosciuta e il bisogno di riconoscer-se-la - Massimiliano Gioncada, L’ISEE e la compartecipazione al costo dei servizi sociali e sociosanitari. A che punto siamo? - Luca Fazzi, Modello dei servizi, dignità e diritti delle persone - Ennio Ripamonti, Immaginare i servizi che si vorrebbero per sé. L’esperienza della residenza anziani di Pinzolo - Arianna e Guido, Raccontiamo l'inclusione. Un prima e un dopo. L’adolescenza di un figlio Asperger e il mondo fuori - Fabio Ragaini, GARANTIRE DIRITTI E QUALITA' DI VITA. Una strada tutta in salita. Una storia - Fausto Giancaterina, Garanzia dei diritti sociali e accompagnamento all’esistenza - Maria Rita di Palma, Raccontiamo noi l'inclusione. Una “ragazza adulta” e una rete di amici… tutta da coltivare! - Salvatore Nocera, L’arco della normativa inclusiva italiana dal 1971 ad oggi - Sergio Tramma, Considerazioni intorno ai "conflitti” interni all’area del lavoro educativo e alla carenza di educatori ed educatrici - Letizia Espanoli, Persone con demenza: dar casa al tempo fragile: errori da evitare, strade da percorrere - Elena Cesaroni, Protezione giuridica e amministrazione di sostegno. La necessità di una riflessione LA RICHIESTA DI SOSTEGNO del Gruppo Solidarietà Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali. La gran parte del lavoro del Gruppo è realizzato da volontari, ma non tutto. Se questo lavoro ti è utile PUOI SOSTENERLO CON UNA DONAZIONE e CON IL 5 x 1000. Clicca qui per ricevere la nostra newsletter.
Lascia l’amaro in bocca che a questa narrazione abbia collaborato entusiasticamente anche una parte significativa del movimento delle persone con disabilità rinunciando al pensiero critico.
Sembra esserci una convinzione di fondo che l’autogestione delle risorse sia la panacea di ogni situazione, che l’autodeterminazione sia parimenti praticabile da chiunque, che l’assistenza indiretta funzioni sempre e in ogni caso. “Dammi i soldi che mi arrangio”. Purtroppo, questo rischia di generare profonde disequità fra chi ce la fa e chi è in difficoltà, o di togliere a qualcuno per dare a qualcun altro.
Hanno però in comune un inossidabile tratto: sono entrambi finanziariamente condizionati. Sono praticabili – nero su bianco – nei limiti delle disponibilità e delle risorse. La riforma su questo aspetto non innova nulla.