Data di pubblicazione: 05/05/2024
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L’arco della normativa inclusiva italiana dal 1971 ad oggi

In Appunti sulle politiche sociali”, n. 2/2022.Puoi sostenere il nostro lavoro con l'abbonamento

Salvatore Nocera Federazione italiana superamento handicap (FISH) e Osservatorio scuola AIPD.

L’arco della normativa più propriamente inclusiva italiana, può indicativamente suddividersi in tre fasi: dal 1971 al 2000, dal 2000 al 2019 e dal 2020 in poi. La prima, potrebbe definirsi dell’integrazione, preceduta da alcuni anni di inserimento. La seconda, può chiamarsi dell’inclusione. La terza, è segnata dalla pandemia. (NdR: l'articolo è stato redatto nei primi mesi del 2022). 

In un recente volume collettivo[1], ho tracciato una breve storia della normativa inclusiva italiana. Ne riporto qui una sintesi in tre fasi:      

L’inserimento e l’integrazione

Il movimento dell’inclusione scolastica in Italia trae le sue origini dall’anno 1968, l’anno famoso della contestazione studentesca e dei tradizionali modelli organizzativi e valori ideali che persistevano da secoli delle scuole “speciali”.

Lo spirito contestativo arrivava in Italia da lontano. I primi moti contestativi si ebbero negli USA già alla fine degli anni Cinquanta e primi anni Sessanta con il sorgere della Beat Generation, che cominciò a contestare i tradizionali principi di vita capitalistica, criticata da Marcuse della Berkley University della California.

Questi sussulti passarono l’Atlantico e pervennero in Europa, specie in Germania ed in Francia, dove divampò nel 1968 il Maggio francese con l’occupazione di scuole e dell’Università.

Dalla Francia il movimento si spostò in Italia con l’occupazione pure di scuole ed università. Qui la contestazione investì le forme tradizionali di istituzionalizzazione dei “diversi”. Basaglia rivoluzionò la visione della cura nella malattia mentale, si iniziò il percorso che portò alla chiusura dei manicomi; furono contestati gli orfanotrofi ed i cronicari per gli anziani. Entrarono nell’occhio del ciclone pure gli istituti speciali per persone con disabilità. Animarono questo movimento il MCE (Movimento di cooperazione educativa), Don Milani e la scuola di Barbiana, la CGIL-scuola, e Bruno Tescari. Immediatamente i docenti ed alcune università affrontarono professionalmente questa rivoluzione, sostenuti specialmente da Andrea Canevaro dell’Università di Bologna, considerato universalmente il padre dell’integrazione scolastica. 

Questi convergenti movimenti spinsero i genitori e gli operatori a portare via gli alunni dalle scuole speciali, iscrivendoli nelle scuole elementari e medie comuni.  

La normativa vigente obbligava gli alunni con disabilità ad iscriversi nelle scuole speciali. Per contrastare questa “illegalità”, il Governo approvò un decreto legge, poi convertito con la l. 118 del 1971, che prevedeva (articolo 28 comma 1) l’adempimento dell’obbligo scolastico degli alunni con disabilità fisiche nelle classi comuni della scuola pubblica.

A seguito di questa imprevista novità nelle scuole, l’allora Sottosegretario On. Franca Falcucci radunò degli esperti, formulò con essi un Documento nel 1974 che fu sottoposto a dibattito parlamentare e divenne il documento-base per l’avvio della nuova esperienza di scolarizzazione degli alunni con disabilità.

A seguito di ciò e del crescente interesse per la nuova realtà fu approvata successivamente la legge n. 360 del 1976 a favore dell’inserimento scolastico degli alunni ciechi,  e la legge 517 nel 1977, che con gli articoli 2, 7, e 10 introduceva  per tutti gli alunni con qualunque tipo di disabilità e con qualunque livello di gravità, ufficialmente in Italia l’integrazione scolastica, caratterizzata dalla programmazione didattica, organizzativa e finanziaria, alla quale dovevano provvedere lo Stato e gli Enti locali secondo le rispettive competenze.

A seguito di numerosi conflitti di competenze circa l’incertezza di individuare la titolarità di taluni servizi, si diffuse la pratica delle “intese interistituzionali” che riuscirono a far diffondere l’integrazione in modo più ordinato e di qualità. L’integrazione crebbe quindi quantitativamente nella scuola dell’obbligo, sino a battere alle porte delle scuole superiori.

Nel 1987, a seguito di un rifiuto di iscrizione di un alunno con disabilità da parte di una scuola superiore, fu pronunciata la famosa sentenza della Corte costituzionale n. 215 che può considerarsi la “magna Carta” dell’integrazione italiana. In essa si stabilì il diritto pieno ed incondizionato allo studio in tutte le scuole comuni di ogni ordine e grado, realizzato grazie tutti i servizi necessari a livello scolastico, sociale e sanitario. Le massime di questa sentenza affermavano che in età evolutiva non si può parlare di non irrecuperabilità di nessuno; che capacità  e merito non possono essere valutati secondo parametri standardizzati, ma sulla base delle effettive capacità di ciascuno; che in caso di conflitto tra il buon andamento dell’amministrazione (articolo 79, Costituzione) e diritto allo studio degli alunni con disabilità, non deve cedere il diritto allo studio ma occorre trovare un equo contemperamento dei due interessi.

A seguito dei principi contenuti nella sentenza si aprì un ampio dibattito culturale e politico che portò all’approvazione della legge-quadro n. 104 del 1992, sui diritti delle persone con disabilità, che tracciava il percorso pedagogico-giuridico dell’integrazione scolastica. Esso parte dalla certificazione sanitaria della disabilità, seguita dalla formulazione della diagnosi funzionale (DF), che descrive i punti di forza e di debolezza dell’alunno; segue la formulazione del profilo dinamico funzionale (PDF),  formulato insieme dagli insegnanti, dalla famiglia e dagli operatori sociosanitari che seguono l’alunno; questo insieme di persone formulano il Piano Educativo Individualizzato (PEI) che, partendo dalla situazione indicata nella DF e nel PDF, indica gli obiettivi  di apprendimento e di socializzazione che anno per anno  deve raggiungere l’alunno, le strategie didattiche adeguate alla sua disabilità e le risorse umane, materiali e finanziarie, necessarie per il raggiungimento di tali obiettivi. Furono emanate regolamenti, decreti e circolari applicative della legge-quadro e, a seguito di una maggiore diffusione dell’autonomia degli enti locali, anche la scuola ebbe una maggiore autonomia organizzativa, didattica e di sperimentazione delle singole scuole con il DPR n. 275del 1997.

Questa prima fase si conclude nel 2000 con la riforma degli esami di maturità voluta dal Ministro Luigi Berlinguer (legge 225/1997 e Regolamento applicativo, DPR n. 323/98 e con la legge 62/2000 sulla parità scolastica che affermava l’obbligo anche delle scuole paritarie di accettare l’iscrizione di alunni con disabilità, pena la perdita della parità.

L’inclusione

La fase successiva è caratterizzata dall’aumento dei tagli alla spesa pubblica, quindi anche in ambito scolastico. Vengono mantenuti, comunque fermi, i principi dell’integrazione scolastica, presenti nella riforma Moratti del 2003. Tale fase è però dominata dal diffondersi di una nuova cultura della disabilità veicolata dai principi dell’ICF, la classificazione internazionale del funzionamento dell’OMS, basata sul “contesto ambientale”. La legge 104/92 era fondata su un concetto di disabilità di carattere esclusivamente personale; essa era costituita dalle minorazioni conseguenti ad un evento traumatico o morboso avvenuto lungo tutto l’arco della vita che è causa di emarginazione. Quindi la disabilità è una caratteristica strettamente personale e connota l’identità del soggetto (cieco, sordo, ecc..). L’ICF invece vede questa situazione personale fortemente influenzata dal contesto nel quale la persona si trova a vivere (ad esempio: scuola, servizi sanitari, sociali, tecnologie, mentalità favorevole o contraria “all’inclusione”; che è il nuovo termine che sostituisce “l’integrazione”). Quindi la disabilità viene intesa come conseguenza della mancata risposta positiva della società.   Ad esempio se un alunno con  minorazioni considerato in situazione di gravità (art. 3, comma 3 legge 104/92) si trova in un ambiente favorevole perché la scuola è priva di barriere architettoniche e senso percettive, ha un docente specializzato per il sostegno, ha un assistente per l’autonomia e la comunicazione, ha docenti curricolari formati sulla didattica anche inclusiva,  ha, se necessario, collaboratori e collaboratrici scolastiche per l’assistenza igienica, è dotata di tecnologie assistive, ha classi non numerose nel rispetto degli articoli  4 e 5, comma 2, del DPR n. 81/09 , in base  alla legge n. 104/92 ha diritto di norma ad un docente per una intera cattedra di sostegno. Viceversa, se un alunno con “handicap lieve”, ai sensi dell’art. 3, comma 1, l. 104/92, si trova in una scuola disastrata in cui la situazione è capovolta, sempre in base alla legge 104 ha, di norma, diritto a mezza cattedra di sostegno.

Alla luce dell’ICF invece se lo stesso alunno con gravità si trova in una scuola ottimale, non avrà necessariamente diritto al massimo delle ore di sostegno, perché in quella scuola vi sono molti “facilitatori” e quasi nessuna “barriera”; mentre l’alunno con “handicap” lieve in una scuola disastrata, avrà diritto probabilmente alla cattedra completa di sostegno perché si trova in un contesto sfavorevole.

Con questi nuovi orientamenti culturali viene approvata nel 2006 la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, che viene ratificata in Italia dalla legge 18 del 2009 che recepisce il nuovo concetto di disabilità e fissa il principio di discriminazione consistente nel fatto che una persona con disabilità venga trattata a causa della sua disabilità in modo diverso dagli altri che si trovino nella stessa situazione. Questo principio era stato già recepito in Italia con la legge 67/2006 ed è stato abbondantemente utilizzato dalla Magistratura ad es. per assegnare più ore di sostegno in caso di   riduzione del loro numero senza adeguata motivazione o con motivazione dovuta alla necessità di tagli alla spesa pubblica (sentenza Corte costituzionale. n. 80/ 2009). A seguito di questi nuovi orientamenti culturali, politici e legislativi, si amplia il concetto di inclusione. Ci si comincia ad occupare di altri alunni diversi da quelli con disabilità, che hanno altri bisogni educativi speciali. Così nel 2010 viene approvata la legge 170 sui DSA, disturbi specifici di apprendimento, come la dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia, che creano difficoltà di apprendimento non più basate su esiti di situazione “traumatiche o morbose”, come con tutta la legislazione precedente. Per questi alunni però non è previsto il diritto al docente per il sostegno, ma solo strumenti compensativi (computer con correttore automatico, calcolatrici, magnetofono ecc..) e misure dispensative: dispensa dall’esame scritto di lingue straniere, compensate con la prova orale).

Su questa scia, viene emanata la Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 con la quale si estendono i benefici riconosciuti agli alunni con DSA anche agli alunni con svantaggi culturali, ambientali, affettivo-relazionali, agli stranieri. In questo clima matura l’orientamento di modificare la legge-quadro per emendarla dei riferimenti alla vecchia concezione di disabilità e delle sue conseguenze. Così, dopo un ampio dibattito tra le associazioni, i sindacati ed i partiti, viene approvata la legge sulla “buona scuola”, legge n. 107 del 2015. Essa è una legge di ennesima riforma della scuola nella quale sono contenute deleghe per le modifiche alla precedente normativa anche sull’inclusione scolastica in generale.

A seguito di tali deleghe, anche in presenza di forte dibattito e contestazioni, vengono emanati alcuni decreti delegati, due dei quali riguardano specificamente gli alunni con disabilità, con DSA e con ulteriori BES (bisogni educativi speciali). Il decreto legislativo n. 66 del 2017 è il più importante, recepisce nei primi due articoli  i principii della Convenzione ONU del 2006  e reca la previsione di radicali modifiche allo stato giuridico degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione con la previsione di un profilo professionale nazionale, mai formulato (art. 3); si prevede pure l’introduzione della formulazione di “indicatori” per misurare la qualità dell’inclusione scolastica realizzata nelle singole classi e nelle singole scuole (art. 4), cosa mai prevista prima.

Gli articoli da 5 a 10 modificano sostanzialmente il processo inclusivo previsto dalla legge-quadro, cambiando composizione e compiti  delle Commissioni per le certificazioni, sostituendo il profilo di funzionamento in forma ICF alla diagnosi funzionale ed al profilo dinamico funzionale, riformulando il PEI in forma ICF su supporto elettronico, dando molto rilievo al progetto di vita personale, elevando a rango legislativo l’obbligo di formulazione del PAI, piano per l’inclusione relativo a ciascuna scuola. L’art. 12 rimodula i corsi di specializzazione per il sostegno nelle scuole dell’infanzia e primaria con la previsione di alcuni crediti formativi sulle didattiche inclusive anche per i docenti curricolari. L’articolo 13 introduce l’obbligo dell’aggiornamento in servizio per tutto il personale della scuola sulle didattiche inclusive. L’art. 14 prevede il diritto alla continuità didattica del sostegno. L’art 15 eleva a rango legislativo l’Osservatorio scolastico ministeriale con la partecipazione attiva delle principali associazioni delle persone con disabilità e loro familiari. L’art. 16 introduce per la prima volta a livello legislativo il diritto all’istruzione domiciliare.

IL decreto legislativo n. 62 riguarda esclusivamente la rimodulazione della valutazione  degli alunni e anche di quelli con disabilità , con DSA e con ulteriori BES.

Purtroppo questo insieme di novità normative è in massima parte rimasto a livello di enunciazione di principii, poiché i Governi che si sono succeduti dal 2015 al 2022 non hanno consentito l’emanazione dei numerosissimi regolamenti applicativi previsti da quasi ciascuno degli articoli del decreto legislativo n. 66 per renderli operativi.

La terza fase

Si è aperta improvvisamente con l’insorgenza dell’epidemia da corona-virus all’inizio del 2020. La pandemia ha rivoluzionato tutta la normativa di tutela dei diritti degli alunni con disabilità con la didattica a distanza, risultata fallimentare per la stragrande maggioranza di loro; a ben poco  è valso il fatto che la normativa emergenziale abbia previsto per loro il diritto alla didattica in presenza “in situazione di reale inclusione”, poiché i timori di molte famiglie degli alunni con disabilità, dei compagni, dei docenti  e dei dirigenti hanno vanificato tale garanzia per l’inclusione.

Questa terza fase non si sa quando potrà concludersi, poiché anche dopo la vaccinazione in massa, rimarranno effetti culturali, sociali ed economici, che certamente influiranno negativamente sulla normativa inclusiva.

Ci si augura che quanti operano in questo campo sappiano resistere alle suggestioni dei vantaggi per la didattica a distanza, che pur può essere utilizzata in forme integrative, ma mai sostitutive della didattica in presenza.

Una ripresa della normativa inclusiva si prevede a seguito dell’approvazione della legge-delega sulla disabilità n. 227/2021 che prevede l’adeguamento di tutta la normativa ai principii della citata Convenzione ONU.

Inoltre il Governo ha emanato il decreto legge 30 Aprile 2022 n. 36 col quale si dettano le norme sulla formazione iniziale ed obbligatoria in servizio dei docenti attuali e futuri, in cui però è dato scarsissimo spazio alla pedagogia ed alla didattica speciale. Sul decreto sarà posta la fiducia e quindi non si sa se il Governo vorrà inserire alcuni piccoli emendamenti per colmare tale lacuna.

[1] A Canevaro, R. Ciambrone, S. Nocera (a cura di), L'inclusione scolastica in Italia, Percorsi, riflessioni e prospettive future, Erickson 2021.


Vedi anche

In ricordo di Andrea Canevaro.

Alunni con disabilità nella scuola di tutti. Una conquista di civiltà da perseguire con determinazione


 

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