La Cura per essere gentile ha bisogno di incontrare spazi gentili: la Residenza anziani che vorrei In, Appunti sulle politiche sociali, n. 3/2023 - Puoi sostenere la rivista con l’abbonamento. Letizia Espanoli, Consulente e formatrice, esperta servizi persone con demenza La Cura per essere gentile ha bisogno di incontrare spazi gentili. Spazi pensati, costruiti, agiti. Spazi capaci di accogliere la persona e la sua storia, capaci di accoglienza e di reale benessere. I luoghi, gli spazi, gli ambienti non sono solo unità abitative in una residenza per anziani ma veri e propri “parchi” per l’anima. E non solo quella del residente, ma anche quella degli operatori e delle famiglie che, attraverso quei luoghi miglioreranno cura e amore. Ecco allora che entra in gioco il concetto di “vocazione” dello spazio che deve rispondere a precise domande: - Per chi è? (se è per il residente, non troveremo oggetti degli operatori. Es. se il comodino è del residente, non troveremo guanti monouso e flebo, se lo spazio del bagno è per il residente non troveremo carrelli delle pulizie e scatoloni sopra il mobile…) - A chi deve essere funzionale? - Come realizzarlo per aumentare il benessere? - Quali emozioni può e deve creare? - Quali azioni si realizzeranno in questo luogo? - Quali arredi potrebbe renderlo più prezioso e accogliente? (dobbiamo smetterla di considerare gli arredi come qualcosa che non c’entra con la Cura. La scelta degli arredi è un’azione di Cura) - Se fosse “casa” quali altri elementi dovremmo aumentare? - Se fosse “casa” quali altri elementi dovremmo diminuire? Stereotipie intorno al concetto di vecchiaia Due i grandi errori della progettazione a mio parere, spesso anche presenti in residenze nuove, che nascono dalle stereotipie intorno al concetto di vecchiaia. 1) L’“ammassamento” delle persone: ecco create le residenze “pollaio”, quelle dove nei grandi saloni si svolge la maggior parte della vita, luoghi senza vocazione nei quali la confusione si mescola con i vocalizzi e le richieste di aiuto, nei quali gli anziani con demenza vivono insieme agli altri creando tensioni e fatica ad entrambi (chissà in nome di quale processo di integrazione). La vastità dei corridoi e le piccole stanze, l’assenza di spazi vitali, l’assenza di spazi per le esperienze di vita quotidiane, l’assenza di luoghi per la solitudine e l’intimità creano luoghi di grande sofferenza umana. 2) La somiglianza architettonica all’ospedale: con i lunghi corridoi, le porte delle stanze tutte uguali, la scarsa luminosità, le finestre senza tende, i luoghi dedicati alla cucina ed alla camera mortuaria in “scantinato”. In queste case il linguaggio si adegua: non esistono le comunità ma i reparti. Non si vivono le accoglienze dei nuovi residenti, ma si fanno gli ingressi, non si accompagnano le persone ma si spostano… La residenza per anziani è ponte, non isola. Accoglie al suo interno storie, relazioni. In questo caso pensare ed agire “da ponte” vuol dire comprendere come facilitare le relazioni tra i tre soggetti principali e co-progettatori: residenti, operatori e famigliari. Sto immaginando la cultura che parte dalla residenza per anziani (cultura della gentilezza, dell’accoglienza della fragilità e della vulnerabilità, cultura dello “scarto” che riprende a essere pietra miliare, della dedizione e della bellezza della cura, delle relazioni che si orientano alla collaborazione ed al perdono, di comunità fertile per i processi umani). Essere comunità non si improvvisa, ma si organizza. Ecco allora che l’ambiente diventa attore non contenitore, diventa il fertilizzante delle relazioni e dei processi, diventa il concime per il benessere l’appartenenza. E perché questo avvenga serve impastare idee innovative e gentilezza (uno sguardo gentile sulle possibilità delle persone). Il contrario è sotto ai nostri occhi. Dal punto di vista ambientale molte residenze per anziani sono diventate i luoghi della marginalità, come i vecchi ospedali psichiatrici di un tempo, oppure i luoghi della pietà dove le persone “portano” il loro tempo per creare benessere più a se stesse che non ai residenti ed agli operatori. L’ambiente fisico è la manifestazione più visibile della cultura di una organizzazione (dimmi cosa c’è in giro, con cosa appendi le comunicazioni, come sono le bacheche, che odore c’è, come sono i ripostigli, se apro un cassetto cosa trovo, cosa c’è sopra la scrivania del direttore, quali quadri sono appesi … e ti dirò chi sei e quali valori sta perseguendo la tua organizzazione – potresti tristemente scoprire che sono molto diversi da quelli che porti nel cuore). Nel nostro caso l’edificio diventa attore per messaggi di riflessione ed i valori diventano “spunti incarnati” che rafforzano l’identità. Creare ambienti gentili Oggi non stiamo vivendo un’emergenza. Oggi siamo di fronte ad una reale urgenza. Una urgenza gentilezza, urgenza trascuratezza, urgenza disorganizzazione e confusione di ruoli, urgenza squallore degli ambienti, urgenza immagine delle Rsa rispetto alla popolazione italiana, urgenza benessere degli operatori. Creare ambienti gentili vuol dire avere cura di tutto questo, non dell’impossibile, ma del non ancora. Creare ambienti gentili è avere cura della tenerezza dell’umano. La residenza per anziani deve essere capace non solo di trasmettere sicurezza e prevenire infortuni ma anche trasmettere un senso di orgoglio, apprezzamento, un luogo dove le persone possano dire “Qui mi sento bene”. Nelle residenze per anziani, ogni giorno, le persone con demenza vengono lavate e “costrette” ad attività di igiene, bagno compreso, senza la loro volontà e complicità. “Non vorrai mica lasciarle sporche” è la frase che ci sentiamo ripetere all’inizio di ogni intervento di allenamento al “bagno consapevole”. Ecco allora che il gesto di cura, il “che cosa” diventa immediatamente più importante del “come” farlo accadere. La contenzione farmacologica al bisogno (chissà perché in questo caso il bisogno anziché essere quello della persona è quello dell’organizzazione incompetente) e l’aggressività fisica (tre persone trattengono a forza la persona) diventano le risposte presenti nella maggior parte delle organizzazioni. Il tutto aggiunto al fatto che spesso i cosiddetti bagni speciali sono luoghi umidi, maleodoranti (uno strano mix di urina e candeggina), arredati in modo squallido, luoghi incapaci di rispettare anche l’operatore. Cosa accade quando lo squallore esterno richiama quello interno? Molti semi di trascuratezza e maltrattamento prendono origine in questa situazione. I rifiuti delle persone con demenza vengono totalmente ignorati e catalogati come “capricci”. Ogni mattina molti di loro vengono “prelevati” dalle loro stanze e “portati” in un bagno freddo, impersonale per vivere la spaventosa avventura di essere lavati. E come sappiamo, ogni rifiuto si trasforma in un linguaggio che noi non comprendiamo. Il rifiuto diventa re-attività che noi scambiamo per “aggressività”. Gli operatori diventano cosi bersaglio di sputi, morsi, pugni, invettive verbali facendo si che il loro lavoro perda, giorno dopo giorno, bellezza e tenerezza. Eppure il bagno deve essere trasformato in una esperienza più umana e delicata per le persone con demenza, più serena per il benessere degli operatori. E’ la strada della gentilezza organizzativa. Due diventano quindi gli ingredienti sinergici per un bagno gentile e consapevole: la creazione di un ambiente accogliente, caldo e capace di creare rilassamento ed un’équipe di operatori formata alla comprensione dei disturbi del comportamento ed alla creazione di tecniche adeguate a vivere quell’esperienza con successo. Allenare il team a impiegare tecniche di comunicazione appropriate, applicare approcci di risoluzione dei problemi per identificare le cause e le potenziali soluzioni per i sintomi comportamentali e adattare l'ambiente al comfort e alla sicurezza dei residenti sono la strada da percorrere. E’ fondamentale aiutare il team a rendersi conto che quando posa le mani sul corpo del residente per lavarlo le posa sulla sua interiorità, sulle sue emozioni. Ecco perché tra gli indicatori di risultato della qualità della vita in una Rsa o tra le righe di una carta dei servizi non dovremmo trovare “il bagno”. Questa cultura della numerazione del “che cosa” è il grembo nel quale ha preso origine il rischio del maltrattamento. Non contiamo allora il numero dei bagni eseguiti, piuttosto il numero dei bagni che è stato capace di creare benessere al residente ed ai professionisti, protagonisti indissolubili di questa esperienza di cura. “La maggior parte del personale infermieristico riceve poca o nessuna formazione per gestire i comportamenti aggressivi e la maggior parte della formazione è orientata al compito”. Ecco perché “pensare l’ambiente in modo gentile” consente di intervenire in modo preventivo. E’ un atto di rispetto che le direzione devono ai propri collaboratori. Arredare non significa allestire. Arredare vuol dire creare qualità di vita, nutrire la cura di bellezza. Ecco perché è importante che in ogni residenza per anziani ci sia un team “bagno gentile e consapevole”. Per immaginare lo spazio del bagno, per comprendere i desideri dei residenti, per coinvolgere le persone anziane nella progettazione. Dove c’è trascuratezza c’è confusione. Quando invece operiamo in un ambiente bello, con la luminosità adeguata, dove i colori aiutano a riconoscere lo spazio, dove ci sono fiori, piante, i quadri accendono il nostro interesse, i profumi sono accoglienti, i suoni piacevoli, quando c’è attenzione al dettaglio, l’ambiente diventa cura capace di gesti e parole gentili. In questo caso coltivare la bellezza ed assumersi la responsabilità di mantenerla comunica interesse. La residenza per anziani: un luogo da ripensare La Residenza per anziani è oggi un luogo da ripensare, rigenerare, ricreare, risognare. E’ una somma di “ri” che prende origine dalla certezza che dobbiamo “ri-spetto” a questi nostri anziani, al personale ed alle famiglie. Il rispetto diventa “io ti vedo, tu hai valore ai miei occhi”, è l’atteggiamento di considerazione, con-siderazione nei confronti degli anziani che risiedono nella casa. Significa riconoscere e valorizzare l'importanza e la dignità di ogni individuo anziano, rispettando i loro diritti, la loro autonomia e le loro esperienze di vita. "Rispecchiarsi nell'altro" all'interno di una residenza per anziani implica riconoscere la propria umanità e le proprie esperienze attraverso gli occhi degli anziani. Significa essere in grado di “sentire” emozioni e vivere in reciprocità sfide, gioie e preoccupazioni e di vedere ciò che unisce le persone di diverse generazioni. Questo concetto sottolinea la connessione umana che attraversa le differenze di età e l'importanza di ascoltare e comprendere gli anziani come individui unici e preziosi. Immagina di non sapere che cos’è una residenza per anziani. Prova a immaginarla “da capo”. Come potrebbe la Rsa che desideri? Io ho provato a rispondere… La Residenza per anziani che vorrei prevede spazi nei quali le persone possano vivere una vita degna di essere chiamata tale (nessuno in famiglia vive in dimensioni di una sala da pranzo con 40 persone). I nuclei non devono essere spazi fisici, ma vere e proprie comunità di persone con caratteristiche mediamente omogenee e con professionisti formati a dare risposte emozionali e fisiche a tali bisogni e desideri. A questa comunità appartengono i residenti, le loro famiglie, gli operatori dedicati (si lavora nel proprio nucleo con la possibilità di essere trasferiti per richiesta propria o su incarico condiviso). La Residenza per anziani che vorrei conosce la Bellezza Terapeutica e sa come creare ambienti sempre capaci di cura per i residenti, di benessere per gli operatori e di accoglienza ed intimità per le famiglie. Ambienti funzionali alle azioni di cura che per ciascun soggetto della triade sono fondamentali. Inoltre lo staff di direzione ha definito come le “mura” possano essere veicoli di messaggi: osservando i quadri appesi possiamo vedere l’accuratezza dei messaggi proposti, la congruità con l’identità della cura, la chiarezza delle bacheche e delle loro funzioni... Nella Residenza per anziani che vorrei il personale non è un pacco da trasferire, mandare in punizione. Il capitale umano è l’elemento di successo per la residenza più preziosa che abbiamo. Esso va accolto, sostenuto, ispirato, de-formato (troppa cultura socio sanitaria obsoleta). Nuove competenze devono essere sviluppate, non solo quelle orientate alla capacità di rispondere ai bisogni assistenziali sempre più complessi, ma anche quelle in grado di far diventare i desideri degli anziani punti di partenza per una cura personalizzata e di qualità. Inoltre sempre maggiori competenze devono essere sviluppate intorno alla capacità degli operatori di saper avere cura di sé stessi, della propria energia vitale, della propria risposta allo stress. Resilienza, ottimismo, speranza ed autoefficacia devono essere costantemente sostenute. La turnistica risponde a logiche di ciclicità ed equità e viene sempre rispettato il diritto al riposo ed alla rigenerazione. La residenza per anziani che vorrei è sostenuta da scelte politiche capaci di definire standard di personale adeguati alla qualità della vita. La Residenza per anziani che vorrei è parte del territorio, rappresenta la “nave scuola” della cultura della cura delle persone non autosufficienti, è una serra di iniziative culturali insieme ai professionisti che ci lavorano ed alle associazioni di volontariato del territorio. Ha spazi per accogliere le persone dall’esterno, per creare dibattiti, per creare iniziative culturali ricche di nuove idee per la cura delle persone in residenza per anziani. Sa creare un laboratorio a “vetrate” per far scorgere la cura, le sue difficoltà ma anche i suoi costanti tentativi di miglioramento. La Residenza per anziani che vorrei ha cura delle parole che sceglie per raccontare la vecchiaia, la demenza attraverso il suo sito, le pagine social, i documenti interni. Ha un vocabolario interno costruito con tutti nel quale il “timbro” della sua voce è riconoscibile e riconosciuto. Troppo spesso le parole usate rendono l’anziano un “oggetto”: lo metto, lo sposto, lo porto. Troppo spesso l’idea dell’anziano è di “guscio vuoto”, di “non c’è più niente da fare”. Troppo spesso il piano di lavoro diventa più importante delle persone. Troppo spesso il “che cosa” diventa anche nel progetto della qualità più importante del “come” . La Residenza per anziani attiva ogni anno progetti di cura stimolanti ed innovativi capaci di attrarre il personale e capaci di rivelare al territorio, alla politica locale e nazionale la bellezza della cura delle persone fragili. Nulla è diventato più dannatamente difficile della “catena di montaggio della cura”. Una fabbrica di corpi inermi, di odori nauseanti, di anziani “mostrati” in fila seduti nelle loro carrozzine con le cinture di contenzione, di rumori costanti, di tv baby sitter accese e di operatori “esausti”. Una fabbrica di assistenza che in questi tre anni ha perso la stima della maggior parte del Paese. La Residenza per anziani ha politiche di cura degli operatori: accoglienza del nuovo collaboratore, condivisione dell’identità della cura (che è scritta e rappresenta il faro delle scelte e delle iniziative), formazione, allenamento delle competenze emozionali al lavoro di cura, empowerment continuo attraverso feedback gentili e formazioni di alto valore umano e professionale. Ma ancora funzionigrammi chiari e definiti soprattutto per le figure di coordinamento dalle quali molto di quanto scritto in questo documento dipende. La Residenza per anziani ha uno staff di direzione capace di visione del Futuro, pianificazione e progettazione in linea con le moderne ricerche delle neuroscienze, capace di lavorare per l’eliminazione della contenzione fisica e farmacologica, della riduzione dei lassativi, di attività di vita per i residenti che non infantilizzino mai le persone residenti. E’ capace di vivere il ciclo delle consegne socio sanitarie con maestria e precisione, cosi come è capace di vivere il progetto di assistenza individualizzata come un elemento cardine del processo di cura. La Residenza per anziani ha uno staff di direzione in grado di riconoscere ogni micro segnale di violenza tra le sue mura. Violenza non è solo un ematoma che accade perché l’operatore si dimentica di mettere il freno alla carrozzina, ma sono anche le infantilizzazioni, i toni di voce, la contenzione farmacologica per il bagno alla persona con demenza. E’ l’assenza della bellezza terapeutica, è la confusione dei messaggi. La Residenza per anziani ha la capacità di costruire e mantenere delle relazioni di fiducia con le famiglie. La famiglia partecipa al progetto di assistenza individualizzato, conosce le scelte. E’ informata costantemente. La famiglia non sarà mai giudicata per i comportamenti che pone in essere, piuttosto accolta ed accompagnata. Non sarà mai fatta una dimissione per “assenza di fiducia e incompatibilità” perché essa rappresenterebbe il fallimento della nostra capacità di accoglienza del dolore della famiglia e la sua trasformazione. La Residenza per anziani attiva processi organizzativi e formativi per accogliere le persone con demenza e garantire loro una giornata di vita alla massima qualità. Ambienti costruiti sulla base delle reali necessità delle persone con demenza con evidenze scientifiche ed in grado, nella loro semplicità, creare benessere per residenti, famigliari ed operatori. Ambienti in grado di favorire movimento, sicurezza, bellezza e senso di casa, luminosità affinché ogni attività possa essere svolta con serenità. Gli ambienti non presentano rumori, filodiffusione ed altri elementi che possano creare disturbi del comportamento nel residente. La Residenza per anziani sa valutare i comportamenti dei residenti e sa riconoscere in essi l’espressione del disagio della persona. La Residenza per anziani identifica indicatori di risultato per i residenti, le famiglie, i professionisti ed i volontari attraverso i quali misura il servizio erogato. Ha un progetto annuale di miglioramento organizzativo capace di trasformare le criticità interne in risorse ed opportunità di sviluppo. Ne vale l’impegno. Per noi e per quegli occhi che tutte le mattine ci aspettano per andare aldilà dell’arsura umana e organizzativa. Dell'autrice nella rivista, Persone con demenza: dar casa al tempo fragile: errori da evitare, strade da percorrere, Appunti sulle politiche sociali, n. 1/2023 (242). Vedi anche IL VIDEO DELLA PRESENTAZIONE (24 ottobre 2023) del libro, LA GENTILEZZA NELLE RELAZIONI DI CURA, Storie, studi e metodo come antidoto ai maltrattamenti, edizioni Dapero. Tutti i numeri della rivista, fino al 2022, sono disponibili con accesso gratuito. Puoi leggere alcuni recenti articoli - Andrea Pancaldi, Volontariato: crisi di identità non può che essere crisi di rappresentanza - Fausto Giancaterina, Accompagnare l’esistenza. Proposte per ripensare i servizi - Carlo Giacobini, Riforma disabilità. Dopo il rinvio e .. non solo - Matteo Schianchi, Le contraddizioni dell’inclusione. I servizi socio-educativi per la disabilità tra criticità e prospettive - Massimiliano Gioncada, L’ISEE e la compartecipazione al costo dei servizi sociali e sociosanitari. A che punto siamo? - Francesco Crisafulli, La professione educativa. Il diritto che sia riconosciuta e il bisogno di riconoscer-se-la - Luca Fazzi, Modello dei servizi, dignità e diritti delle persone - Ennio Ripamonti, Immaginare i servizi che si vorrebbero per sé. L’esperienza della residenza anziani di Pinzolo - Arianna e Guido, Raccontiamo l'inclusione. Un prima e un dopo. L’adolescenza di un figlio Asperger e il mondo fuori - Fabio Ragaini, GARANTIRE DIRITTI E QUALITA' DI VITA. Una strada tutta in salita. Una storia - Fausto Giancaterina, Garanzia dei diritti sociali e accompagnamento all’esistenza - Maria Rita di Palma, Raccontiamo noi l'inclusione. Una “ragazza adulta” e una rete di amici… tutta da coltivare! - Salvatore Nocera, L’arco della normativa inclusiva italiana dal 1971 ad oggi - Sergio Tramma, Considerazioni intorno ai "conflitti” interni all’area del lavoro educativo e alla carenza di educatori ed educatrici - Elena Cesaroni, Protezione giuridica e amministrazione di sostegno. La necessità di una riflessione LA RICHIESTA DI SOSTEGNO del Gruppo Solidarietà Altri materiali nella sezione documentazione politiche sociali. La gran parte del lavoro del Gruppo è realizzato da volontari, ma non tutto. Se questo lavoro ti è utile PUOI SOSTENERLO CON UNA DONAZIONE e CON IL 5 x 1000. Clicca qui per ricevere la nostra newsletter.