Data di pubblicazione: 27/11/2025
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Raccontiamo l'inclusione. Ricercare amici e contesti di vita per un figlio orami grande

Stella,  mamma di 65 anniIn, Appunti sulle politiche sociali, n. 1/2024 (246) - Puoi sostenerci con l'abbonamento.

Vedi anche,  Raccontiamo noi l’inclusione. Le interviste integrali e i due libri del Gruppo Solidarietà, Raccontiamo noi l’inclusione. Storie di disabilità (2014) e STORIE DI VITA. Genitori e giovani con disabilità si raccontano (2024).

“Lui vorrebbe stare con le persone “normali”, ma dove li andiamo ad acchiappare? Questo è il grande problema! Fino a qualche anno fa si frequentava più con i cugini, adesso lavorano tutti. Non so cosa inventargli, perché già se il padre fosse stato in una condizione migliore non ci sarebbero stati tutti questi problemi. Senza queste ore di educativa domiciliare, che sono 4 a settimana, resterebbe ancora di più in casa” (intervista a cura di Gloria Gagliardini).

Stella mamma di 65 anni.

Mi chiamo Stella, abito con mio figlio Davide e mio marito. L’altra figlia è sposata e abita in altra casa. Davide ha 34 anni, lei 40. Mi piace tanto il mio lavoro come educatrice in un nido, prima facevo l’impiegata e in quell’azienda ho conosciuto mio marito da giovane.

Quando hai scoperto che Davide aveva uno sviluppo differente dalla sorella?

Anzitutto, è nato tre settimane prima del termine. Ad un mese di vita, sentivamo spesso di notte un piccolo lamento. Dopo una settimana abbiamo chiesto spiegazioni alla dottoressa dell’ospedale. Quando siamo andati purtroppo c’era un sostituto che ci ha detto in modo sgarbato: “I genitori sono tutti pallosi…!”. Poi gli ha dato una botta sulla fontanella. Noi avevamo 30 anni, siamo rimasti pietrificati. La stessa notte Davide è stato male. Abbiamo chiamato il nostro pediatra e siamo andati subito in ospedale dove hanno visto che era un’emorragia cerebrale. È stato 15 giorni in rianimazione, ci dissero: “Ci vuole un miracolo perché si salvi!”.

Tu potevi assisterlo?

No! Mezz’ora al giorno e mezz’ora la sera, potevo solo vederlo attraverso la telecamera. Quando mi ha detto che non c’era più niente da fare gli ho chiesto di farmi entrare, per fortuna c’era un medico un po’ più “umano”. Non potevo fare niente, lui era tutto pieno di tubicini. Il giorno dopo, sempre attraverso la telecamera che lo inquadrava, ho visto che muoveva una mano e gli occhi, e infatti il giorno dopo l’hanno trasferito in reparto. Il dottore mi ha detto, sull’uscio della porta, che c’era da mettere una “valvola da idrocefalo”, termine mai sentito prima! Per lui dirmi una cosa così sull’arco della porta era forse una prassi normale… per me no, ero spaventata! Avevo capito che l’emorragia gli aveva chiuso il foro da cui esce il liquor. Ha quindi poi subito due interventi. Stavamo in ospedale 10 giorni al mese. L’emorragia gli ha lasciato crisi epilettiche, per cui, tutt’ora, assume la terapia farmacologica. Ha provato tanti farmaci, ma in Ancona ci hanno detto che era farmacoresistente. Davide aveva 12 anni quando siamo andati a Modena e lì gli hanno dato un farmaco che in America davano dai 16 anni e da allora ancora prende quello. Andavamo sempre all’ospedale di Ancona a fare l’ecografia per vedere se la valvola funzionava. Siamo andati poi a Bologna, lì ci hanno detto che in quel momento funzionava, ma funzionava a singhiozzi. Non scaricava bene questa valvola. Allora siamo andati a Marsiglia in un centro europeo specialistico. Sapevamo che c’era un dottore italiano, in quel reparto sentivamo parlare tutti italiano, dalle Marche andavano tutti lì. A Marsiglia ci hanno detto di usare un altro tipo di valvola. Siamo tornati in Italia e tramite il medico della rianimazione gli abbiamo fatto mettere la valvola che usavano in Francia e l’ha portata fino a 12 anni. Eravamo rimasti in contatto con questo professore che nel frattempo era diventato primario di Torino; ci aveva detto che c’erano possibilità di togliere la valvola, che per via endoscopica potevano fare un altro intervento per ripulire. Gli tolgono la valvola ma senza fare questo altro intervento; a casa ha cominciato a strabuzzare gli occhi, cosa che non aveva mai fatto prima: il liquido gli comprimeva il nervo ottico. Allora mi sono raccomandata di fargli rimettere la valvola.

Davide com’è stato in tutti questi anni di visite, operazioni…?

Sempre zitto, sorridente, accomodante, non si lamentava mai. La notte gli dovevo mettere il ghiaccio in testa quando aveva la febbre, lo accettava. Quando passava il medico e gli chiedeva come stava lui diceva sempre “bene”. Per i primi 12 anni siamo stati sempre con il pensiero che ci fossero dei problemi, o avesse delle assenze.

Che vuol dire le assenze?

Sono forme leggere di crisi epilettiche. Davide quando fa delle cose sembra confuso, come si perdesse nel portare a termine un compito, chiaramente qualche danno è rimasto.

Quindi diciamo che questi primi anni di vita sono stati caratterizzati tanto da visite, interventi…

Tutto ospedale. Speriamo che non si chiuda questa valvola, perché c’è sempre l’imprevisto.

Il periodo della scuola come te lo ricordi?

Il primo anno è andato dalle suore, ma per via di questi problemi è andato pochissimo. Per avere l’insegnante di sostegno bisognava andare nella scuola statale, allora l’abbiamo iscritto lì all’infanzia, così aveva l’assistenza.

Ha avuto sempre sia insegnante di sostegno che educatore?

Sì, quella ce la dava il Comune. Lui ha iniziato a 18 mesi a camminare, a correre tardissimo, spesso rischiava di cadere. Non potevamo mandarlo a scuola da solo, anche perché poi se aveva una crisi…

 

Secondo te lui ha un bel ricordo del periodo scolastico?

No, perché non aveva amici. A tutt’oggi soffre la mancanza di amicizie, fino a dirmi: “Perché devo credere in Dio se non ho nessun amico?” Lui partecipa ad alcune attività, ad esempio in parrocchia, ma poi... gli altri hanno la patente, il motorino, lui no. Si rende conto che non ha nessuno! Al padre dice che è come se avesse il “vuoto dentro”. In prima elementare non si vedeva tanta differenza con i compagni. Le differenze si sono viste dopo e a livello didattico è stato necessario il programma differenziato. In quarta e quinta abbiamo scoperto che stava sempre fuori dalla porta, tante, tante ore.  Lui non mi raccontava molto. Matematica non riusciva a seguire nulla e lo potevo giustificare, ma in materie come italiano, geografia, storia, avrebbe potuto stare in classe… invece lo portavano sempre fuori. Non lo tenevano nemmeno in una stanza, proprio nel corridoio. Siamo andanti a lamentarci dal Preside ma era tardi ormai.

Secondo te questo ha influito sulla possibilità di allacciare amicizie?

In seconda e terza elementare io lo portavo a casa dei compagni, cercavo di farlo partecipare. Con il passare degli anni gli altri si accorgevano che lui era più lento, per esempio andavano in bici e lui non riusciva… gli altri cominciavano ad uscire insieme e lui non veniva chiamato… il divario è iniziato così.

Le superiori le ha fatte?

Sì, ha frequentato l’Istituto Tecnico Agrario. Gli sarebbe piaciuto tanto andare all’Alberghiero ma era molto distante da casa, ci saremmo dovuti alzare alle 6 della mattina e con la terapia che doveva assumere in certi orari, non ce la facevamo ad essere puntuali.

Con la sorella che rapporti aveva?

Non ha avuto molti rapporti, io sono stata tanto occupata dalla cura verso Davide. Quando lei faceva la terza elementare io sono stata due mesi in ospedale. Ogni mese stavamo in ospedale 10 giorni. Le ho portato via tante attenzioni, non hanno legato tanto, nemmeno adesso. Lei dice: “Tutto per Davide”, ed è la verità, da quando ha avuto le crisi io stavo sempre vicino a lui e sentivo che cominciava a respirare male, era l’unico modo per accorgerci che ce l’aveva…

In questi anni tu e tuo marito eravate abbastanza forti?

Sì sempre in due, avevamo fatto squadra. Da quando è nato Davide purtroppo mio marito ha avuto problemi alla vista, dopo un po’ di tempo ha cominciato a soffrire di depressione, con tutte le conseguenze di non riuscire più a svolgere il ruolo di direttore dell’ufficio vendite nell’azienda in cui lavorava. Ha poi cambiato lavoro accontentandosi di lavori più semplici, altrimenti non riuscivamo ad andare avanti. È andato in prepensionamento ed ha poi fatto lavori saltuari. Quando la vista è peggiorata di nuovo è tornato in depressione. È stato un periodo difficile, anche per star dietro al cambiamento dei vari medici che lo hanno seguito.

E tu, dopo quanto tempo hai cominciato a lavorare?

Davide aveva 4 anni. Mia madre mi aiutava accompagnandoli a scuola, avevamo poi un’educatrice scolastica e avevo una persona che mi aiutava a casa con le pulizie.

Davide è stato preso in carico dai servizi fin dalle scuole?

Dalla materna, avevamo l’educatore a casa e a scuola. Per l’educativa domiciliare: c’è stata sempre la stessa ragazza fino alla prima media. Poi abbiamo richiesto la figura maschile, anche su consiglio della neuropsichiatra di Ancona che lo seguiva. Finché è andato a scuola stavamo bene, le riunioni per i PEI erano frequenti, io lo sapevo che finché era piccolino sarebbe andata così, adesso è difficile. Ha fatto 5 anni di scuole superiori, il diploma gliel’ha dato al terzo anno, se fosse stato per me avrebbe fatto anche l’università almeno per provarci, ma il padre gli aveva detto che avrebbe perso solo tempo. È stato due anni senza fare niente, allora noi gli abbiamo trovato un impegno, quello di “badare” a mia madre. Lui andava alle 11 di mattina da solo, perché aveva imparato la strada, mangiava insieme a lei, poi lo andavo a prendere quando finivo di lavorare. Nel contempo anche mamma si prendeva cura di lui. Quindi è andata bene.

Tutt’ora usufruite del servizio domiciliare?

Sì, 4 ore a settimana. Davide ha intrapreso vari percorsi di autonomia con i diversi educatori. L’educatore prima lo accompagnava alla biblioteca comunale, poi hanno convenuto che fosse meglio andare in modo indipendente. Con l’educatore fanno attività diverse di volta in volta. Davide è sempre buono e tranquillo. L’educatore due volte a settimana lo accompagna a bocce poi fanno merenda insieme. Davide non sta molto bene con altre persone con disabilità, dice che non li capisce bene e non riesce a parlarci. Lui vorrebbe stare con le persone “normali”, ma dove li andiamo ad acchiappare? Questo è il grande problema! Fino a qualche anno fa si frequentava più con i cugini, adesso lavorano tutti. Quando vengono le figlie di mio fratello almeno la domenica mattina lo chiamano, fanno due chiacchiere … ma una ha 7 anni e una 11, non so ancora per quanto ci vorranno venire a casa. Gli obiettivi educativi li concordiamo con l’UMEA con cui facciamo incontri periodici. Tempo fa ad esempio l’educatore lo accompagnava al lavoro, adesso ci va da solo. Di educatori Davide ne ha cambiati tanti. Con l’educatore precedente andavano insieme in palestra, tre volte a settimana. Gli piaceva tanto, poi con un altro educatore non è andato e lui non è più riuscito a portare a termine da solo questa cosa, che pure gli piaceva.

Sostieni che da solo un po’ si “perde” …  

Sì, va stimolato nel fare le cose altrimenti va in confusione. Prima la musica gli piaceva tanto, adesso no. Gli propongo di andare ai concerti, ma dice sempre che non gli interessa. Una volta l’ho obbligato a venire in gita con me. Mi condiziona: devo stare dentro casa tutte le domeniche perché non mi va di lasciarlo da solo davanti al computer o in silenzio nella sua stanza. Ha ragione, a 30 anni non esci più con mamma, ma che devo fare? Lo obbligo almeno a fare spesa la domenica! Se il padre sta sulla poltrona, così fa anche lui…

Per Davide, l’educatore che figura è?

Quello di prima, era come un fratello. Adesso dice: “Che ce l’ho a fare l’educatore? Ormai ho 30 anni.” Lo capisco, ma noi abbiamo sempre tenuto il servizio perché così è stimolato a fare delle cose senza di noi. Gli educatori hanno lavorato sempre sull’autonomia; per insegnargli tutti i tragitti da casa… ma non sempre poi riesce, una volta si è perso.

Parliamo del lavoro…

Da quattro svolge un tirocinio lavorativo presso un negozio di prodotti naturali, prima di questo lo svolgeva da una signora che aveva un negozio di articoli per animali, si trovava bene. Poi il negozio ha chiuso. Adesso al tirocinio va tre ore al giorno tutti i giorni; mi dice che lavora poco. L’assistente sociale credo si senta ogni tanto col titolare. Credo che se fosse affiancato dall’educatore potrebbe dare di più, da solo non riesce e non so se il settore in cui lavora gli interessi davvero, a lui sarebbe piaciuto andare a lavorare al negozio di alimentari dove va a fare spesa; gli piaceva mettere a posto sugli scaffali.

Percepisce un compenso economico?

Sì, ma ho scelto di mettere i soldi che arrivano dal Comune in una busta che gli do io a mano e lui li va a depositare sul libretto. Per lui è una cosa importante, perché il concetto di denaro ce l’ha e lo motiva. Quando ha visto la prima “busta paga” è stato contento! Allora quando ha iniziato qua abbiamo pensato di fare in questo modo. Se non avesse più la motivazione per andare a lavorare non saprei come fare. Resta tante ore in casa senza fare niente, se non esce il padre non esce nemmeno lui.

In questa fase della vita di Davide, qual è la cosa più faticosa per te?

Non so cosa inventargli, se il padre fosse stato in una condizione migliore non ci sarebbero stati tutti questi problemi. Senza queste ore di educativa domiciliare che sono 4 a settimana, starebbe ancora di più in casa. Prima ne aveva 2 in più per frequentare il progetto “Dopo di noi”. Avevano fatto anche un altro gruppo, ma lui non ci è voluto andare, quindi poi gli sono rimaste 4 ore, non andandoci ha perso le altre due. Lui mi dice che vorrebbe stare da solo, però che fa? Dopo pranzo fino alle 15.30 ci sono i Simpson, e non lo posso muovere da lì! Percepisco una preoccupazione nel vederlo diventare adulto… io sono sicura che una moglie non l’avrà mai. La sessualità è un tema tanto delicato, non ho trovato nessun appoggio neanche dalla psicologa; so che al Nord Italia invece ci sono consulenti all’interno dei servizi comunali. Mi è stato consigliato di farci parlare l’educatore… ma sinceramente temo un po' parlare di questo argomento con lui.

Come lo immagini Davide tra 10 anni?

Ah, non lo so! Immagino che più andremo avanti anche con la nostra vecchiaia e più ci sarà bisogno di una persona che ci aiuti. Mi piacerebbe che nel paese dove abito ci fosse un centro sociale diurno dove persone che hanno bisogno possano trascorrere parte della giornata.

Di come progettare il futuro ne avete parlato mai con l’UMEA?

No, ci avevano proposto di sperimentare il progetto del “Dopo di Noi”, solo quello. Se penso a noi tra dieci anni, tremo! Mio fratello mi ha proposto di aiutarmi ma…  io mi penso comunque con mio figlio.


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