Data di pubblicazione: 22/06/2024
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Disabilit. Politiche e servizi nell'Ambito sociale di Jesi. Una cornice di contesto per comprendere


Non ci sono soluzioni facili, ma necessità di percorsi nei quali tutti i soggetti coinvolti portino il loro contributo. Temo che oggi, forse senza accorgercene troppo, ci troviamo presi da una “necessità collocativa”, intesa come urgenza di risposte da dare all’interno di una cornice vecchia, ad esigenze che invece stanno cambiando rapidamente e che sollecitano risposte diverse dal passato. Ma lo facciamo con strumenti datati. Per concludere: dobbiamo mettere insieme immaginazione e passione per provare strade nuove (intervista a Fabio Ragaini a cura di Gloria Gagliardini). 

In "Appunti sulle politiche sociali", n. 2/2024. Puoi sostenerci con l'abbonamento.

Nel primo capitolo di questo volumeraccogliamo interviste a genitori che hanno figli con disturbo del neurosviluppo e vivono il passaggio dall’età evolutiva (scuola) all’età adulta. Emerge la difficoltà di essere sostenuti e accompagnati dai servizi in un momento in cui le esigenze dei figli cambiano. Tu sostieni che nelle Marche i servizi deputati alla “presa in carico” siano stati nel tempo svuotati, depauperati… Spiegaci meglio.

Le Unità multidisciplinari per l’età evolutiva e l’età adulta, collocate a livello di Distretto sanitario, nascono con la legge 18/1996. Legge di settore riguardante le persone con disabilità. Gli obiettivi e le funzioni sono indicati in un provvedimento del 2002 che definisce i criteri per la costituzione e la dotazione di personale “Le unita multidisciplinari sono nuclei organici delle AUSL dotati di autonomia operativa collocate a livello distrettuale con compiti di informazione, prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, nonché di valutazione, programmazione e verifica degli interventi educativi, riabilitativi, d'integrazione scolastica, sociale e lavorativa dei soggetti in situazione di handicap e degli altri soggetti indicati dal piano sanitario regionale nel capitolo relativo ai servizi integrati territoriali”. Dunque un servizio fondamentale: luogo dell’accoglienza e della conoscenza, della valutazione del bisogno, dell’individuazione dei percorsi. Oggi diremmo il luogo deputato anche alla definizione del “progetto personalizzato”.  All’indicazione delle funzioni non è seguita la definizione della dotazione minima di personale e non vi è stato un investimento in termini organizzativi. Ciò ha determinato a livello distrettuale una eterogeneità delle figure professionali impiegate (quali) e una loro strutturale carenza (quante). Per quanto riguarda l’età evolutiva una carenza (non da oggi), ad esempio, della figura del neuropsichiatra. Riguardo il nostro territorio (coincidenza Ambito/Distretto per circa 100.000 abitanti) per anni abbiamo avuto l’équipe per l’età adulta costituita da 1 assistente sociale e 1 psicologa. Nell’età evolutiva siamo stati senza assistente sociale, dal momento che l’unica presente non è stata sostituita durante la maternità. Diventa più di un rischio il fatto che, nella pratica, questi servizi assumano funzioni certificative/amministrative. L’effetto che si produce sugli utenti è di solitudine e sfiducia. Ricordo che nel 2019 fotografammo questa situazione: Nel territorio dell’ATS 9 sono circa 450 le persone con disabilità che fruiscono di servizi (educativa scolastica ed extra scolastica, assistenza domiciliare, inserimenti lavorativi, centri diurni, residenzialità) per i quali la funzione delle Unità multidisciplinari è obbligatoria. A queste si aggiungono, a prescindere dalla fruizione di servizi, altre persone con disabilità che si rivolgono alle Unità multidisciplinari per i compiti ad esse assegnate (informazione, prevenzione, valutazione, ecc.). Per quanto riguarda il personale ad oggi, da nostra ricostruzione, la situazione (l’azienda sanitaria, nonostante le richieste, non ha mai fornito dati sul personale) è la seguente: UM età evolutiva: nucleo fisso: 1 assistente sociale (tornata da qualche mese dalla maternità e non sostituita durante assenza), due psicologhe in corso di pensionamento; neuropsichiatra non presente. Per età adulta: 1 sola psicologa (non sostituito il pensionamento di agosto 2018), due assistenti sociali e per alcune ore settimanali: fisiatra e neurologo (contratto scaduto primi luglio, in fase di rinnovo). Per quanto riguarda l’età evolutiva vale la pena precisare che accanto al servizio UMEE distrettuale, questa funzione viene esercitata anche dal Centro riabilitativo S. Stefano (gruppo KOS Care) per i minori in trattamento riabilitativo. Si tratta nella quasi totalità di persone con disturbi dello spettro autistico del territorio. Può succedere però che il trattamento riabilitativo venga interrotto prima del raggiungimento dell’età adulta. In questo caso la funzione UMEE viene trasferita a quella distrettuale, che può non aver mai conosciuto né il minore né la sua famiglia; dovrebbe avvenire quindi una nuova presa in carico con nuovi operatori. Nel caso tale passaggio non possa realizzarsi (ad esempio per carenza di personale), il Centro di riabilitazione mantiene la funzione UMEE con remunerazione extra budget da parte dell’Azienda sanitaria. Negli ultimi 10/15 anni, nel nostro territorio la presa in carico della disabilità complessa in età evolutiva è divenuta residuale nel servizio pubblico ed è quasi completamente gestita dal privato accreditato. Un tema enorme è quello del passaggio all’età adulta, fase delicatissima in cui termina il percorso scolastico e diminuiscono i sostegni. Per quanto riguarda l’autismo ad esempio, nell’ultimo anno fondi ministeriali con progettualità a termine, hanno permesso l’acquisizione di personale dedicato. Ma è evidente la necessità di personale competente e strutturato per garantire l’effettività della presa in carico. Situazioni che non si realizzano, certo, attraverso lo strumento dei progetti. L’adeguatezza della dotazione di personale è un aspetto; ma un altro aspetto, non meno importante, è quello dei modelli cui si rifanno questi servizi che per le funzioni assegnate hanno necessità di competenze anche specifiche. Ad esempio: è possibile pensare che riguardo la disabilità intellettiva non siano presenti al loro interno professionalità di tipo educativo? La domanda è: come si esercita la “presa in carico” oggi (non 10/20/30 anni fa)? Quali sono le condizioni necessarie? Come effettivamente le UM si rapportano con i servizi, come avviene la verifica degli interventi: sono luoghi che incidono sulla programmazione territoriale? Tante domande che richiederebbero una riflessione che mi pare oggi sostanzialmente assente.

Altre interviste sono state fatte a giovani-adulti con disabilità intellettiva, che usufruiscono di sostegni per alcune ore a settimana di educativa individuale o di quello che è stato chiamato AEG (educativa di gruppo). Sostegni importanti, necessari e allo stesso tempo strutturalmente fragili. Aiutaci ad inquadrare meglio dove si situa il sostegno educativo tra l’offerta dei servizi, come nasce in questo territorio e quale è (o dovrebbe essere) la sua funzione.
La cosiddetta “educativa domiciliare” (che mantiene ancora impropriamente il nome di assistenza educativa domiciliare) in tutti i Comuni del nostro territorio (dai primi anni 2000 il riferimento è l’Ambito Territoriale Sociale), nasce nella seconda metà degli anni ’80. Qualche accenno ne avevamo fatto in “Raccontiamo noi l’inclusione. Storie di disabilità” (2014) nel contributo “Un altro sguardo sulla realtà” (p. 95). Un intervento che era rivolto a tutte le persone adulte con disabilità che fruivano dei servizi. Solo dal 2004, su nostro forte impulso, si attiva il Servizio di aiuto alla persona, rivolto a persone adulte con disabilità motoria. Segnalo questo aspetto perché mi pare importante sottolineare alcuni passaggi “culturali” nella storia dei nostri servizi. L’assunto che una persona con disabilità motoria adulta dovesse avere come riferimento un educatore (non è opportuno definirlo così per le mansioni svolte) aveva come presupposto la convinzione che non fosse capace di autodeterminazione e avesse necessità di tipo educativo.
Tornando alla domanda, l’idea perno quando sono nati i servizi era che l’educativa territoriale fosse uno strumento per l’inclusione delle persone con disabilità nel territorio. Doveva offrire l’opportunità di frequentare i “luoghi di tutti”, soprattutto per le persone che avevano concluso il percorso scolastico; in quel periodo per molti il percorso terminava con la scuola dell’obbligo (spostando di qualche anno l’uscita con le ripetenze). Il problema che si è posto poco dopo l’inizio del servizio è che spesso questo obiettivo si scontrava con la realtà, in particolare (ma non solo) dei piccoli paesi, dove le possibilità di frequentare i luoghi di tutti erano molto limitate. E le ore, spesso pomeridiane, diventavano ore di passeggio operatore-utente oppure di “attività” all’interno delle abitazioni. Molto spesso una sorta di badantato. Va aggiunto che in quegli anni l’educatore era un operatore per la gran parte dei casi senza competenze educative; per lo più persone che avevano un qualsiasi diploma di scuola superiore. Una situazione che si è trascinata per tantissimi anni e sostanzialmente non ancora risolta.
Va segnalato che la Regione non ha definito il requisito delle figure educative fino alla metà degli anni 2000, quando ha previsto, in analogia con i Centri diurni, che gli operatori in servizio avessero come requisito minimo almeno tre anni di esperienza nel settore. Tutti coloro che lavoravano senza titolo potevano dunque restare in servizio. E sarebbe bastato anche qualche ora di lavoro settimanale, nel triennio precedente, per regolarizzare la posizione. Nessun percorso di riqualificazione è stato previsto da parte della Regione. Ma vorrei porre l’attenzione su un altro aspetto: l’organizzazione del servizio. In estrema sintesi: la persona con disabilità fruisce di questo servizio dopo che l’Unità multidisciplinare redige il Piano educativo al cui interno è presente l’indicazione, per gli obiettivi indicati, di una dotazione oraria. Il PEI viene inviato al Comune di residenza (dal 2012 tutti i Comuni si avvalgono dell’Azienda servizi alla persona, ASP) per l’impegno finanziario. Una volta assunto, il servizio si attiva, attraverso la cooperativa che lo gestisce. Un unico operatore, quasi sempre, assume l’intero orario assegnato. Gli obiettivi da raggiungere sono quelli indicati nel PEI. Ogni lavoratore, dunque, opera o può operare con più utenti, con un orario dato dalla somma delle ore assegnate alle singole persone. Se si dovessero raggiungere alcuni obiettivi di autonomia con riduzione delle ore, l’operatore perderebbe ore di lavoro a meno che non se ne aggiungessero altre di altri utenti. Noi da molti anni sosteniamo che questa modalità caratterizzata da estrema precarietà è inadeguata e anche inaccettabile dal punto di vista lavorativo. Si dovrebbe avere un numero dedicato di operatori che lavorano nei servizi di educativa territoriale. Operatori con un bagaglio professionale congruo all’obiettivo. Evidentemente si tratta di ripensare la modalità organizzativa che ha necessità di adeguate competenze educative, della capacità di ricerca e lettura delle risorse del territorio. Non basta, chiaramente, richiamare nei progetti i “percorsi inclusivi” affinché questi si realizzino. Il lavoro dovrebbe essere fortemente legato alla comunità locale. L’educativa domiciliare oltre alle problematiche sopra evidenziate è un servizio che ricade per circa l’80% del costo sui Comuni; la Regione finanzia questo intervento con una quota variabile annuale, mai certa. Ciò determina una precarietà del servizio che deve fare i conti con aumento delle richieste da parte di minori con disabilità (nel periodo 2020-2022 gli utenti totali sono passati da 233 a 248, anche se poi sarebbe necessario verificare la dotazione oraria). Con riferimento all’età adulta possiamo vedere, anche se non in termini di paragone, la strutturalità del servizio Centro diurno: un servizio autorizzato con definizione oraria: giornaliera, settimanale, annuale, standard di personale, ripartizione degli oneri tra sanità e sociale. Servizio che rientra tra quelli essenziali da assicurare. Servizio, peraltro, che segna una diminuzione di “frequentanti” nell’ultimo triennio (da 62 a 56). Anche questo è un dato su cui sarebbe necessario porre attenzione.

Vorrei inoltre porti il delicato tema delle figure professionali nei servizi domiciliari. In queste interviste abbiamo chiesto alle persone “chi è per te l’educatore”; le risposte sono varie, alcuni dicono che sono gli amici con cui uscire senza i genitori. Questo ci mostra la necessità e l’importanza delle relazioni extra-familiari e i rischi della figura educativa quando i ruoli e le funzioni non sono chiari. Ecco il tema delle professionalità e delle competenze: è un punto su cui iniziare una riflessione seria per i nostri servizi?
Si tratta di una questione sulla quale dobbiamo essere molto chiari. Abbiamo ritenuto che per fare questo lavoro, in fondo, non ci volessero molte competenze, ma disponibilità e buon cuore. Tanto che, a livello regionale, nessun percorso di riqualificazione è stato attivato. Un geometra poteva fare “l’educatore”; un assistente sociale poteva lavorare con persone con autismo a basso funzionamento, ecc… Situazioni nelle quali non è difficile che l’educativa si traduca in assistenza, declinata in termini di badanza: si chiude il ciclo. Quando questo accade la discussione si sposta dal progetto alla negoziazione delle “ore”: la copertura oraria. Bisogna dire con molta chiarezza che sono temi sui quali, nel nostro territorio, la riflessione è assente da troppo tempo. Se manca o è carente il progetto, se c’è un problema di competenze, gli esiti sono facilmente prevedibili e sono quelli di una cronicizzazione assistenziale. Mi sembra che se non riprendiamo il filo di questo discorso - chiarezza di obiettivi, modalità e strumenti -, l’oggetto di riflessione rischia di essere esclusivamente la dotazione oraria. Capire l’importanza della funzione di mediatore dell’educatore. Un tessitore territoriale.  Altri aspetti andrebbero inoltre analizzati: la solitudine dell’operatore, l’entità del turn-over, la richiesta di trasferimento verso servizi strutturati (centri diurni o residenze).

Nel libro del 2014 “Raccontiamo noi l’inclusione” dicevi che nel nostro territorio si è creata una ricca rete di servizi ma facciamo ancora fatica nelle politiche e facevi riferimento al tema del lavoro, dei trasporti e della mobilità. Prendiamo il tema del diritto al lavoro, nessuna di queste persone che abbiamo intervistato in questo progetto ha un’assunzione; sono perlopiù persone che svolgono tirocini di inclusione sociale, con gradi di soddisfazione più o meno alti. Il problema che emerge è se davvero questi tirocini rispondano alle aspettative e ai desideri delle persone, se vengono verificati nel tempo, se si situano dentro a delle progettualità. A dieci anni di distanza da quell’affermazione che lettura ne fai?
Il tema del lavoro è un tema, nei fatti, dimenticato. Abbiamo sostanzialmente rinunciato a tematizzarlo. Di sicuro in termini di diritti. Anche qui dovremmo fare uno sforzo di analisi e cercare di approfondire e verificare quello che è accaduto in questi anni. Quanto investimento c’è stato a livello territoriale. La necessità avvertita a inizio anni 2000 di creare un servizio dedicato volto a mettere in relazione domanda e offerta è venuta progressivamente meno negli anni.  Un dato da segnalare (che andrebbe letto e analizzato) è quello della diminuzione dei tirocini di inclusione: 120 nel 2020; 108 nel 2022. Mi sento di poter dire che la sofferenza del “lavoro”, richiama in realtà una più generale sofferenza progettuale. Ed è evidente che laddove c’è più complessità, gli esiti sono più facili da verificare. Mi sembra questo il problema più grande che viviamo anche in questo territorio. Non ci sono soluzioni facili, ma necessità di percorsi nei quali tutti i soggetti coinvolti portino il loro contributo. Temo che oggi, forse senza accorgercene troppo, ci troviamo presi da una “necessità collocativa”, intesa come urgenza di risposte da dare all’interno di una cornice vecchia, ad esigenze che invece stanno cambiando rapidamente e che sollecitano risposte diverse dal passato. Ma lo facciamo con strumenti datati. Per concludere: dobbiamo mettere insieme immaginazione e passione per provare strade nuove.

 

Per approfondire i temi affrontati in questa intervista vedi anche:

ASP-Ambito 9 Jesi. Disabilità. Servizi educativi: alcuni spunti di riflessione 

Disabilità. Tempi attesa UM Età evolutiva. 12 associazioni chiedono chiarimenti 

L’INTOLLERABILE ATTESA. Persone con disabilità nell’ATS9 e del Distretto di Jesi 

Disabilità. Scheda normativa Marche su valutazione e presa in carico

 


    L’intervista a Fabio Ragaini è stata realizzata nel dicembre 2023 e pubblicata nel libro del Gruppo Solidarietà (2024), “STORIE DI VITA. Genitori e giovani con disabilità si raccontano”. Qui riproposta con alcune modifiche. 

Vedi, DGR 1668/2021, Accordo tra Regione e ARIS Marche 2019-21.


Appunti sulle politiche sociali

SOMMARIO DEGLI ULTIMI NUMERI

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  • n1/2024 (246) - Disabilità e adultità, Contro la contenzione, La professione educativa, Raccontiamo l’inclusione.
  • n4/2023 (245) - Le crisi del volontariato; disabilità: accompagnare alla vita; Quali cure domiciliari, Raccontiamo l’inclusione
  •  n. 3/2023 (244) - Storie di vita e sguardo dal basso, Dalla scuola al lavoro, La gentilezza nelle relazioni di cura, Persone con demenza e servizi
  • n. 2/2023 (243) -  Raccontiamo l’inclusione, Servizi: quali modelli?, Tutto come prima? Dopo la pandemia, Politiche e servizi nelle Marche
  • n. 1/2023 (242) - Persone con demenza e residenze, Palliazione auspicabile, Raccontiamo l’inclusione, Volontari a Palermo
  • n. 4/2022 (241) - Lavoro e persone con disabilità, La “crisi” degli educatori, Residenze per anziani, Persone non autosufficienti e servizi.
  • n. 3/2022 (240) - Persone con disabilità e vita adulta, Ripensare i servizi. Come?, Amministrazione di sostegno. Facciamo il punto.
  • n. 2/2022 (239) - Ricordo di Andrea Canevaro, Riforme non autosufficienza, Ripensare i servizi, Alunni con disabilità: evoluzione normativa, Il vaso di pandora della guerra.
  • n. 1/2022 (238) -  Modelli aziendali nelle residenze anziani, Servizi. Cambiare prospettiva, Alunni con disabilità a scuola. Un bilancio, Un volontariato esigente.
  • n. 4/2021 (237) -  Il maltrattamento nelle residenze per anziani, Il dibattito sul caregiver, Raccontiamo l’inclusione, Volontariato. Presente e futuro.
  • n3/2021 (236) - Pandemia e strutture residenziali, Sul modello di nuovo PEI, Accompagnare l’esistenza, La pandemia nelle Marche.
  • n2/2021 (235) - Politiche sociali e budget di salute, Scuola e comunità educanti, Raccontiamo l’inclusione, Persone con disabilità e servizi.
  • n1/2021 (234) - Politiche sociali nelle Marche: un bilancio, Disabilità intellettiva e condizione adulta, Storie da un manicomio, Raccontiamo l’inclusione.  

Alcuni articoli pubblicati nella rivista

- Fausto Giancaterina, Garanzia dei diritti sociali e accompagnamento all’esistenza

Francesco CrisafulliLa professione educativa. Il diritto che sia riconosciuta e il bisogno di riconoscer-se-la

Ennio Ripamonti, Immaginare i servizi che si vorrebbero per sé. L’esperienza della residenza anziani di Pinzolo 

- Salvatore Nocera, L’arco della normativa inclusiva italiana dal 1971 ad oggi 

Elena CesaroniProtezione giuridica e amministrazione di sostegno. La necessità di una riflessione

- Letizia Espanoli, Persone con demenza: dar casa al tempo fragile: errori da evitare, strade da percorrere

Sergio Tramma, Sui "conflitti” interni all’area del lavoro educativo e alla carenza di educatori/trici

- Maurizio Motta, Riforme per la non autosufficienza: ma quali? 

- Fausto Giancaterina, Non più un welfare territoriale dove ancora sanitario e sociale non si parlano! 

- Tiziano Vecchiato, Volontariato, solidarietà, democrazia

- Antonio Censi,  Curare le ferite sociali degli anziani non autosufficienti

- Angelo Lascioli, Alunni con disabilità. Il cambio di prospettiva dei nuovi modelli di PEI

- Luca Fazzi,  Il maltrattamento nelle strutture residenziali per anziani

- Carlo Lepri, Diventare grandi. La condizione adulta delle persone con disabilità intellettiva 

- Gruppo Solidarietà, Ricordo di Andrea Canevaro 

- Fabio Ragaini, CAMBIARE PROSPETTIVA. A proposito di politiche, modelli, interventi, servizi 

- Roberto Medeghini, Scuola. Pratiche immunizzanti che favoriscono lo speciale e l’escludibile

- Andrea Canevaro, La vista corta. Riflessioni su una delibera della Regione Marche

- Fausto Giancaterina, Disabilità. Come superare le difficoltà attuative della legge 112. Una proposta 

Gloria Gagliardini (a cura di), Raccontiamo noi l’inclusione. Storie di disabilità

Antonella GalantiMario Paolini, Un manicomio dismesso. Frammenti di vita, storie e relazioni di cura

- Tiziano Vecchiato, La spesa assistenziale in Italia. Dati, riflessioni, proposte

- Luca Fazzi, Ha senso un terzo settore senza un’idea di giustizia?

Andrea Canevaro, Dario Ianes, Giovanni Merlo, Salvatore Nocera, Vittorio Ondedei, Inclusione scolastica degli alunni con disabilità e scuole speciali 

- Giacomo Panizza, La crisi, i deboli, le istituzioni, la società 

- Andrea Canevaro, Le parole sono importanti, come le carezze. Lorenzo e Adriano Milani Comparetti

- Sergio Tanzarella, Don Lorenzo Milani. Il suo messaggio, la sua eredità

- Tiziano Vecchiato, La spesa assistenziale in Italia. Dati, riflessioni, proposte

- Giovanni Merlo, Persone con disabilità. Dalla prestazione alla presa in carico 

- Cecilia M. Marchisio, Natascia Curto, Cittadinanza e reti per praticare il diritto alla vita indipendente

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